Pablo Escobar. Vita, amori e morte del “re della cocaina” Stampa E-mail

Domenico Vecchioni

Pablo Escobar
Vita, amori e morte del "re della cocaina"


Diarkos, pagg.359, € 18,00

 

vecchioni escobar  Domenico Vecchioni, già diplomatico di carriera e oggi apprezzato scrittore, racconta in questo bel libro la "straordinaria storia" di Pablo Emilio Escobar Gaviria, il "contadino che volle farsi re. Re della cocaina".

  Escobar, "fondatore e animatore del cartello di Medellín, portò il traffico di cocaina a livelli mai raggiunti prima e rimasti forse ineguagliati, rivelandosi uno dei più grandi criminali, assassini e corruttori della sua epoca".

  Originario di una piccola località poco distante da Medellín, "la città più importante della Colombia dopo Bogotà", egli "era nato per essere un bandito, in un Paese dove la violenza era diventata endemica, la corruzione dilagava, la legge faticava a farsi rispettare, il senso della pietà sembrava sparito e la vita umana aveva perso ogni carattere di sacralità".

  "Quella del crimine insomma – osserva Vecchioni – fu la sua vocazione originaria, quella del bandito sarà la sua professione, la scorciatoia per diventare ricco, potente e temuto".

  A Escobar si attribuiscono più di cento omicidi compiuti personalmente o "su suo ordine diretto", mentre pare che il cartello di Medellín abbia provocato la morte di oltre 5000 persone (di cui 550 poliziotti): "Cifre, come si vede, da vera e propria guerra civile". "Si calcola che 15 mila persone siano state uccise, secondo stime ufficiali, nei vent'anni della "guerra" al narcotraffico. 5.500 di queste persone morirono tra il 1989 e il 1993, il periodo di massima potenza operativa del cartello di Medellín".

  All'apice della sua "carriera", Don Pablo ebbe rapporti con il regime di Fidel Castro, che vedeva nel narcotraffico "un utile strumento rivoluzionario" oltre che "una fruttuosa opportunità per fare cassa", ma anche "con Noriega e con il dittatore di Haiti, Raoul Cédras, e coltivò contatti ad alto livello in molti Paesi del Sud America".

  Dopo sedici mesi trascorsi in clandestinità, il 2 dicembre 1993 l'uomo più ricercato della Colombia finì i suoi giorni sul tetto di una casa di Medellín, a soli quarantaquattro anni, trafitto dalle raffiche di mitra sparate dagli uomini del Blocco di ricerca guidato dal tenente Martínez: "Finalmente era stato eliminato un cancro che rischiava di estendersi all'intera nazione, mettendo in pericolo la stessa Patria".

  "Era vissuto e morto – osserva l'Autore – come lo desiderava, da bandito che «preferiva una tomba in Colombia piuttosto che una prigione negli Stati Uniti»".

  Al funerale del Capo de capos, oltre alla madre "in prima fila in lacrime e in preghiera", parteciparono "migliaia di persone provenienti dai rioni poveri di Medellín": "Si formò una fila infinita perché tutti volevano dare l'ultimo saluto a Pablo il generoso, il loro benefattore, e toccare come una sorta di reliquia il suo corpo. La commozione era intensa, palpabile. Sembrava di assistere al seppellimento di un eroe del popolo, un difensore degli umili ingiustamente ucciso dalla polizia e non a quello di uno dei più grandi criminali della storia della Colombia, morto perché non aveva voluto arrendersi".

  In Colombia, tuttavia, "il sentimento prevalente fu di sollievo e di soddisfazione. Quattro anni di guerra avevano prodotto danno incalcolabili. Era arrivato il momento di cambiare pagina e di ripartire".