Lo Stato commerciale chiuso Stampa E-mail

Johann Gottlieb Fichte

Lo Stato commerciale chiuso
Un progetto filosofico come appendice alla Dottrina del diritto e come saggio di una politica di prossima pubblicazione
A cura di Carlo Sabbatini


Edizioni Vivarium Novum, pagg.189, € 25,00

 

fichte statocommerciale  L'edizione dell'opera di Johann Gottlieb Fichte, "Lo stato commerciale chiuso", curata da Carlo Sabbatini, presenta ai lettori uno scritto che incarna uno dei tentativi più audaci e problematici di coniugare filosofia e politica economica nel contesto della fine del XVIII secolo. Pubblicato per la prima volta nel 1800, questo testo rappresenta un progetto teorico radicale e originale, nel quale Fichte propone una concezione di Stato che mira a risolvere alcune delle sfide più urgenti dell'epoca, come la disuguaglianza economica, le fluttuazioni dei mercati e i conflitti internazionali, mettendo al centro l'autosufficienza e la chiusura degli scambi con l'estero.

  Il "progetto di uno stato che garantisce a ciascun cittadino un adeguato tenore di vita" è certamente un obiettivo ambizioso, e la sua realizzazione implica l'adozione di una struttura economica basata su tre categorie fondamentali: agricoltura, industria e commercio. La teoria proposta da Fichte assume una forma utopica, nella quale la produzione, la trasformazione e lo scambio avvengono sotto il controllo e la supervisione di un sistema che elimina le fluttuazioni dei prezzi e garantisce una stabilità dei flussi economici attraverso l'uso di prezzi fissi legati al valore del grano. Un tale modello si propone di evitare le disparità economiche che emergono dai mercati non regolati, ma la sua visione comporta anche l'esclusione del commercio internazionale, che Fichte percepisce come una forza destabilizzante e potenzialmente bellicosa.

  Questa proposta di uno Stato commerciale chiuso, in cui la nazione è concepita come autosufficiente e separata dal resto del mondo, ha suscitato e continua a suscitare numerose critiche. Sebbene Fichte stesso giustifichi il progetto come una risposta razionale al problema delle disuguaglianze economiche e alla potenziale causa di conflitto che sarebbe insita nelle relazioni commerciali internazionali, l'idea di un isolamento volontario appare fin da subito come un concetto problematico, che sfida le convenzioni di apertura e interdipendenza economica che si stavano formando all'epoca in Europa. La sua concezione può essere letta come un tentativo di evitare le fluttuazioni dei mercati mondiali, che, secondo Fichte, sarebbero in grado di provocare guerre e tensioni tra le nazioni. La pace mondiale, nel pensiero fichtiano, passa attraverso una drastica riduzione delle dinamiche internazionali e una centralizzazione dei processi economici in ambito nazionale.

  Il testo è concepito come un'estensione della sua più celebre "Dottrina del diritto", un'opera che si fonda sull'idea che il diritto si radichi su una razionalità assoluta, capace di stabilire un ordine giuridico che riconosca la libertà individuale e allo stesso tempo imponga una struttura che garantisca la coesione sociale. Il legame tra l'autonomia del soggetto e la costruzione di un sistema giuridico che si estende alla politica economica è chiaramente visibile in quest'opera. Tuttavia, qui, Fichte sembra compiere un passo oltre, cercando di sviluppare una politica economica teoricamente razionale, la quale si scontra con la visione di un libero mercato come strumento di benessere collettivo. La tensione tra l'astrattezza della proposta e la sua realizzazione pratica è uno degli aspetti più controversi dell'opera: Sabbatini aiuta a illuminare la visione di Fichte nella sua complessità, portando alla luce le possibili interpretazioni del progetto come una riflessione sulla necessità di regolare, e non semplicemente liberare, i mercati.

  L'idea dello Stato commerciale chiuso, tuttavia, non manca di suscitarne critiche, che vengono contestualizzate da Carlo Sabbatini nell'introduzione e nelle note a margine del testo. La concezione di un sistema economico che non ammette il libero scambio con l'estero e che punta esclusivamente sull'autosufficienza nazionale è vista da molti come una risposta utopica a problemi reali e concreti. È difficile non notare l'analogia con le politiche economiche che, nei secoli successivi, saranno adottate da alcuni regimi totalitari, che affermano il principio della chiusura nazionale come soluzione ai conflitti internazionali. Ma Fichte, pur nella sua rigorosa razionalità, non sembra concepire tale esito come il fine ultimo, ma piuttosto come una misura temporanea per garantire la stabilità interna.

  Sabbatini non si limita a presentare il testo in modo filologico, ma lo inserisce all'interno di un contesto filosofico e storico, cercando di cogliere le implicazioni politiche, economiche e morali della proposta fichtiana. Il curatore ha saputo collegare il pensiero di Fichte con la tradizione filosofica tedesca, creando una narrazione che permette di apprezzare l'opera non solo sul piano storico, ma anche come una riflessione viva sui problemi di politica economica e giuridica.

  In definitiva, "Lo stato commerciale chiuso" di Johann Gottlieb Fichte, curato da Carlo Sabbatini, è un'opera che non solo illumina un aspetto poco conosciuto del pensiero fichtiano, ma offre anche un'importante occasione di riflessione sulla relazione tra diritto, economia e politica. Sebbene la proposta di uno Stato autosufficiente e chiuso alle dinamiche del mercato internazionale possa apparire oggi come un'idea lontana, essa continua a sollevare interrogativi cruciali riguardo alla sostenibilità dei modelli economici globalizzati e alle possibilità di garantire la giustizia sociale attraverso l'intervento dello Stato. La lettura di quest'opera, arricchita dal rigore scientifico del Curatore, aiuta a esplorare i legami tra filosofia politica e teorie economiche, nonché le sfide che ancora oggi il pensiero filosofico si trova ad affrontare nel trattare con i temi della libertà, dell'autosufficienza e della pace mondiale.