La riforma dell’educazione Stampa E-mail

Giovanni Gentile

La riforma dell’educazione

Le Lettere, pagg.187, Euro 22,50

 

gentile_opere  In questo volume, sono raccolte le lezioni di filosofia dell’educazione tenute da Giovanni Gentile nel 1919 a Trieste “per un corso magistrale”.
  Spiega l’Autore: “La scuola, questa eredità gloriosa delle umane esperienze, questo focolare, che attraverso i millennii non si è lasciato spegnere mai, dell’umana spiritualità agitata da un bisogno sempre più vasto d’investire la vita e di sublimarla; la scuola, noi crediamo che (come tutto ciò che fu criticato, ma rimase pur sempre caro agli uomini) possa essere trasformata, non distrutta. Rimanga la scuola, e il maestro sulla cattedra con la sua autorità e con la sua limitazione della spontaneità e della libertà dell’alunno. Questa limitazione, noi diciamo, è soltanto apparente”.
  “All’educatore”, aggiunge Gentile, “è indispensabile e sacra la coscienza del delicatissimo valore morale d’ogni parola che egli dica a’ suoi scolari, e dell’essenza profondamente etica dell’istruzione che impartisce. La scuola che istruisce e non educa è veramente scuola che non istruisce. E tutti i difetti che per questo riguardo si sogliono attribuire alla scuola, e alla correzione dei quali si cerca sempre di provvedere aggiungendo all’istruzione tutto quello che dovrebbe integrare la funzione veramente educativa, derivano da codesto astratto concetto della istruzione considerata semplice cultura di un’intelligenza, che per se stessa non sia volere, carattere, morale personalità”.
  Per Gentile “nell’anima semplicetta del bimbo che si abbandona fiduciosa al pollice plasmatore, vibra l’infinito, e nasce ogni attimo una vita che si ripercuote in tutta la sconfinata distesa dello spazio, del tempo, d’ogni reale”.
  “L’educatore deve intravvedere, deve sentire questo infinito in cui si spande ogni sua parola, ogni suo sguardo, ogni suo gesto; deve, entrando in iscuola, accostandosi a quel fanciullo, a cui non si deve soltanto magna reverentia, ma lo stesso culto che a tutte le cose divine, deve sentirsi in alto, molto in alto, e sentire la difficoltà e il dovere di mantener visi: deve perciò lasciar cadere di dentro a se stesso tutte le miserie della sua particolare persona, e le sue preoccupazioni e passioni, e i pensieri prosaici del giorno e di tutti i giorni, e le basse voglie della carne che ci tira in giù, e aprire l’animo alla fede esaltatrice delle sue energie, al dio che deve reggerlo e ispirarlo. Chi non è in grado, dentro la scuola, di sentire la santità del luogo e dell’opera che imprende a celebrarvi, non è un educatore”.
  Rivolto ai maestri di Trieste, il filosofo afferma ancora: “nelle vostre mani è l’anima dei vostri alunni; da voi essi devono e ora possono apprendere che sia libera cultura, che sia questa gioia che è la massima della vita, di formarsi gradatamente il proprio mondo, per viverci dentro liberamente, come lo spirito vive sempre che riesca ad attuare il proprio ideale. Possiate sempre ricordarvi della vostra potenza; possiate sempre sentirla come un dovere, ma non come un peso. Sarete così da questo estremo e più prezioso lembo della vostra patria, già tanto sospirata e finalmente ottenuta, gli artefici di una Italia più grande; più grande moralmente, ora che si è ingrandita materialmente, e le sono cresciuti gli obblighi verso di sé e verso l’umanità”.