Aa. Vv.
Nuova rivista storica Anno CV – Fascicolo III (settembre-dicembre 2021)
Società Editrice Dante Alighieri, pagg.863-1352, € 70,00
Il terzo fascicolo del 2021 della "Nuova rivista storica", quadrimestrale diretto dal Prof. Eugenio Di Rienzo, contiene un un interessante studio di Fabio L. Grassi dedicato alla storia della diaspora caucasica in Turchia nella Prima Guerra mondiale e nella fase che portò alla nascita dello Stato repubblicano. Secondo l'Autore, tale vicenda è "importante e significativa, imprescindibile per comprendere come è nata e come è stata plasmata la Turchia odierna".
Scrive Grassi: "I Circassi, come tutti i Caucasici e come tutti i Musulmani della grande penisola, si divisero tra fautori e oppositori della "lotta nazionale" guidata da Kemal. Ma fu solo tra i Circassi che sorse un'alternativa di leadership e di prospettiva politica all'interno della [...] "lotta nazionale"". Negli anni della guerra mondiale e nella fase immediatamente successiva, "l'Anatolia fu un territorio in gran parte fuori controllo, devastato da carestia, diserzioni, ribellismo e banditismo. Certamente i profughi caucasici avevano la loro parte di responsabilità in questa situazione". Inoltre, nella primavera del 1923 "il governo di Ankara ordinò e in parte attuò la deportazione nell'Anatolia orientale e sud-orientale dei Circassi" che abitavano i villaggi a sud del Mar di Marmara.
Al tema della trasvolata del Mediterraneo orientale fino a Odessa compiuta nel giugno del 1929 da Italo Balbo – evento che si inserisce nel quadro delle relazioni tra l'Italia fascista e l'Urss – è dedicata la ricerca di Maria Teresa Giusti. "La squadriglia – scrive l'Autrice – partì da Orbetello il 5 giugno 1929, raggiunse Atene per poi proseguire verso Istanbul, Varna in Bulgaria e Odessa sul Mar Nero; al ritorno toccò Costanza in Romania". "Oltre al successo della trasvolata in sé, uno degli elementi di maggior effetto dell'arrivo a Odessa l'8 giugno fu la festosa accoglienza dei Sovietici che per l'occasione avevano approntato un grande arco di trionfo con la scritta «Il saluto ai piloti italiani»". In tale occasione, Balbo – che l'Autrice definisce il "tramite tra le aspirazioni del fascismo e quelle del comunismo nell'aeronautica" – salutò insieme con gli ufficiali dell'Armata Rossa la bandiera dell'Unione Sovietica al suono dell'"Internazionale": la foto irritò non poco sia i comunisti ortodossi sia i fascisti intransigenti. "Con la sua passione e la sua esuberanza – sottolinea Maria Teresa Giusti – Balbo aveva dato un grande contributo nel costruire e rafforzare i rapporti italo-sovietici".
Il contributo di Lucio Barbetta ed Emanuele Parrillo analizza i rapporti tra la Jugoslavia e le due principali potenze occidentali – Stati Uniti e Gran Bretagna – nel periodo del riavvicinamento jugo-sovietico, che fece emergere tutti i limiti e le carenze della collaborazione jugo-anglo-americana instaurata negli anni precedenti. L'elemento peculiare della ricerca – basata in particolare su documenti provenienti dagli archivi britannici – risiede nel tentativo di studiare le relazioni jugo-occidentali parallelamente a quelle jugo-sovietiche, assegnando la stessa importanza alle fonti relative a entrambi i versanti. Spiegano gli Autori che "il progressivo riavvicinamento con Mosca [...] dischiudeva a Tito la possibilità di assumere un nuovo ruolo nello scacchiere internazionale. Egli mirava a proporsi come punto di riferimento per tutti quei paesi che intendevano instaurare relazioni autonome con entrambi i blocchi, senza entrare a far parte di essi".
Achille Conti prende in esame il tema dell'immagine dell'Unione Sovietica che la propaganda del Pci diffuse nel periodo compresa tra la destalinizzazione e la fine degli anni Sessanta. "La destalinizzazione – osserva l'Autore – ebbe come principale effetto quello di rimodulare alcuni aspetti dell'uso propagandistico fatto dell'Unione Sovietica. A partire dal 1953 venne sicuramente meno il mito di Stalin ma questo non comportò un ridimensionamento della portata mitica dell'Urss. Infatti, gli anni Cinquanta videro un rilancio in grande stile dell'esaltazione del modello sovietico, sia per dipingere il modello societario comunista superiore a quello capitalista sia per mettere in secondo piano i crimini stalinisti mai sottoposti a una seria e radicale interpretazione di tipo storico. Questa rappresentazione dell'Urss è quindi andata avanti, con fasi e modalità diverse, fino all'inizio degli anni Sessanta e si concluse con l'ultimo mito spendibile in campo propagandistico e cioè il volo di Gagarin e in generale con le conquiste scientifiche dell'Urss".
L'articolo di Francesco Zavatti è dedicato agli sviluppi delle storiografia romena durante la dittatura comunista (1948-1989). L'Autore ravvisa "nelle differenti esigenze propagandistiche messe in atto dal regime il nodo fondamentale che ha portato ai cambiamenti storiografici nel periodo stalinista (1948-1956) e nel successivo passaggio al nazionalcomunismo (1956-1989). Con l'imposizione dello stalinismo sovietico, l'ideologia nazionale venne dismessa in favore di un canone finalizzato alla glorificazione del regime comunista e del suo alleato moscovita. Con la reazione alla destalinizzazione avviata dal regime romeno dopo il Ventesimo Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, l'ideologia nazionale venne recuperata e mediata in un nuovo canone nazionalcomunista fino a far emergere, negli anni Ottanta, tendenze sempre più marcatamente nazionaliste e il culto del leader Nicolae Ceauşescu". |