Geminello Alvi
La necessità degli apocalittici
Marsilio Editori, pagg.464, € 30,00
Questo saggio di Geminello Alvi, da poco in libreria, è un commento all'Apocalisse di San Giovanni, "libro dove si racconta di un altro libro che sfogliato contiene le nuvole, la terra e un libro ulteriore, che digerito calamita all'inferno o in cielo".
Il testo "nel suo svolgersi propedeutico è molto umile esperimento d'oltrepassare questo confine di realtà. Goffo, ma violento per tanti anni di sforzo immeritato; lirico, eppure corale in assurda polarità a ogni costo trattenuta, implica l'istante beato. Ricerca, nella lettura dell'Apocalisse, l'esito imprudente, mai quello storico e attende di vederlo mutato dal cielo, risolto. Ma va ammessa l'irresolubilità dell'enigma del male: la storia è risarcimento, non bene. L'Apocalisse è la rivelazione di Cristo, argomento non in tempo storico, ma che precipita il regno in Spirito individuale".
Alvi spiega che il suo è un "ben strano libro e che è però anche diario enciclopedico di quanto appreso durante tanti anni leggendo e rileggendo il libro dell'Apocalisse. Dal che deriva certo lettura stravagante, ma non si potrà mai rimproverarle omissione o il pregiudizio".
L'Autore rimprovera alla teologia "cattolica" contemporanea la "degradazione" dell'Apocalisse, giudicando "volentieri dal basso e socialmente tutto": "La decristianizzazione dell'Occidente, del resto, consiste nel sostituire Cristo con una socialità divinizzata, che non adora l'Agnello come prescrive l'Apocalisse ma le manie del progresso". Dalla Rivoluzione francese in poi, ogni storia "adora le illusioni del momento, ma dopo averle divinizzate. Così adesso avviene anche nella cattolicità in rincorsa altruista: obbedendo all'Onu e al progresso l'uomo si concede facoltà di stabilire il regno ideale per arbitrio, senza Dio; ma divinizzando".
"L'Apocalisse – aggiunge Alvi – richiede al lettore di crederci. Senza questo atto di fede ogni tentativo di ordinarla e intenderla risulta ridicolo, e vano. Si deve volerla, perché tutto sovvertendo riveli la sua vita, che è lo Spirito Santo. La rivelazione di Cristo implica lo spirito vivificante che dispiega altro senso di tempo e di spazio. Restando nell'intento umano, critico che sia umano o meno, il libro dell'Apocalisse non è. Perché sia deve darsi l'inebriamento trinitario dello Spirito che soffia dove vuole, e per sua inspirazione sovverte passato e presente, e il qui e l'altrove".
Per l'Autore, la "lettura dell'Apocalisse è ammaliante. E il tormento che induce e fa smettere di leggerla è avviso più grave dell'ammissione di non averci niente".
Tra i numerosi autori citati da Alvi curioso è il riferimento a Guido De Giorgio, "di cui sarebbe piuttosto difficile dire il mestiere o le traversie". Nella vita di De Giorgio, Alvi trova confermata "l'urgenza degli apocalittici e la necessità dell'Apocalisse, che ci travolge all'impronunciabile".
Il volume si conclude con un "Provvisorio epilogo durante la prima pandemia" in cui si legge: "Il viso del papa arrabbiato, cupo, è lo stesso di Giuda prima di impiccarsi, che guarda per terra e al cielo non crede: barcolla, biascica sociologie, dalle quali non trae sollievo, tantomeno sa darne. Un volto disgustato certifica conclusi duemila anni di papato. Ma restano le sette Chiese, e la testa di alcuni, aperta come un nido di rondini, fino alle stelle".
Alvi ha scritto questo libro "con furia distante, mai per piacere: ma come gratuita offerta" dalla quale si attende "più male che bene. Se il lettore, leggendo troverà faticata salute ne dia merito al cielo". Ma ne consiglia "la lettura con l'Apocalisse accanto". |