La miglior parte della mia anima Stampa E-mail

Gabriele d'Annunzio

La miglior parte della mia anima
Lettere alla moglie (1883-1893)
A cura di Cecilia Gibellini


Archinto, pagg.274, € 20,00

 

dannunzio miglior  IL LIBRO – Molte furono le donne amate da D'Annunzio, e molti i carteggi amorosi che il poeta ci ha lasciato. Ma una sola fu la moglie, e pochi epistolari hanno l'importanza e la ricchezza di queste lettere, inedite e finora ignote agli studiosi. La parte più interessante che qui si offre, quella del decennio 1883-1893, è una vera e propria miniera di dati biografici, psicologici, culturali, e spicca per l'intrinseca qualità letteraria della scrittura. Sposando la diciannovenne Maria Hardouin dei duchi di Gallese, il ventenne e rampante Gabriele conta di affermarsi nel bel mondo romano, di essere nella vita l'Andrea Sperelli del "Piacere", il raffinato aristocratico destinato a diventare il personaggio esemplare dell'estetismo italiano. La fuga concertata, il «peccato di maggio» subito comunicato al gossip mondano, otterranno l'effetto opposto: il duca romperà per vent'anni i rapporti con la figlia, e Gabriele comincerà il suo penoso pellegrinaggio che, malgrado il crescere della sua fama letteraria, lo vedrà vagare tra Roma, l'Abruzzo e Napoli, perennemente in fuga dai creditori. Egotista da sempre e ben presto fedifrago, D'Annunzio si mostra però anche padre affettuoso verso i tre figli che Maria gli dà. E quante confessioni nelle lettere: la passione divampante dell'inizio, la tenerezza verso Maria e la madre, la pena del servizio militare, la preoccupazione di salvare dai pignoramenti i capi eleganti e gli oggetti d'arte che gli stanno a cuore, il dramma dei tradimenti e dei turbamenti familiari, compreso il suicidio tentato da lei e ventilato da lui. Ma anche momenti gioiosi con i commossi e divertiti ritratti del piccolo Mario, le distese descrizioni della bellezza del paesaggio adriatico e della terra d'Abruzzo. Nelle lettere sentiamo solo la voce del poeta; ma attraverso le sue parole emerge anche la figura di Maria: bella, innamorata ma lucida, presto consapevole dei tradimenti di Gabriele eppure sempre dignitosa e generosa. Lui non vorrà mai risposarsi, e anche nel dorato esilio del Vittoriale la vorrà accanto a sé, riservandole sempre un'ospitalità regale e affettuosa nella sua casa e nel suo cuore.
  Il volume raccoglie 142 lettere inviate da Gabriele d'Annunzio alla moglie Maria Hardouin dei duchi di Gallese nel primo decennio del loro rapporto, dal 1883 al 1893. Le 137 lettere della Raccolta Gaidoni - le più rilevanti sul piano biografico e letterario, e più serrate cronologicamente rispetto a quelle degli anni successivi, che si diradano e assumono un carattere più spiccatamente privato - sono tutte inedite. Le missive sono tutte manoscritte e in massima parte non sono datate o recano indicazioni cronologiche parziali.

  DAL TESTO – "Sono stato qui tanto tempo senza poterti scrivere una parola, in una immobilità spaventosa, con un singhiozzo alla gola, scosso da un tremito violento. Mi sento come schiacciato dalla grandezza del mio amore, del nostro amore; mi sento oppresso.
  "Vorrei espandermi, e non so, e non posso, vorrei ridirti quel che provo, e non so, e non posso.
  "Oh, ma con che immenso impeto di tenerezza e di gratitudine, Maria, io ho baciati tutti questi fogli! Come ti ho chiamata dal fondo dell'anima e ti ho tese le braccia, e son caduto riverso su i guanciali senza poter singhiozzare!
  "Povera Maria mia! povera santa!
  "Non amarti? Non averti mai amato?
  "Ma le sai tu le mie lotte silenziose, prima di cedere alla passione, prima di darti tutto me, di abbandonarmi a te tutto? Ma le sai tu le mie ore di tristezza e di sconforto passate col pensiero di te fitto nel cervello, con l'immagine di te luminosa nell'anima, in un'adorazione quasi paurosa, sentendo l'alito della tua divinità spirarmi in torno, sentendo di aver trovato al fine quella per cui io avevo tanto sognato, quella per cui io avevo tanto sofferto nelle veglie dell'adolescenza, quella a cui volevo dare lieto tutta la mia giovinezza, tutti gl'ideali dell'arte mia, tutti i miei desiderii superbi e sconfinati? (lettera 2, primavera 1883)."

  L'AUTORE – Gabriele d'Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863, terzo figlio di Francesco Paolo Rapagnetta (il più aristocratico cognome d'Annunzio era quello di un ricco zio adottivo) e di Luisa de Benedictis. Dal 1875 al 1881 studiò al Collegio «Cicognini» di Prato. Nel 1879 esordì con la raccolta poetica Primo Vere, pubblicata a spese del padre. Nel 1881 si trasferì a Roma dove si iscrisse, senza poi laurearsi, alla Facoltà di Lettere. Nella capitale diventò collaboratore di alcuni periodici e condusse una vita sontuosa e sempre pronta allo scandalo. I suoi amori tempestosi e volubili furono oggetto di pettegolezzi tutt'altro che scoraggiati dal Poeta: a partire da Giselda Zucconi seguirono altre donne, fino alla clamorosa fuga con la duchessa Maria Hardouin di Gallese, che sposò nel 1883 e da cui ebbe tre figli. Risalgono a questo periodo le raccolte di versi "Canto novo" (1882), "Intermezzo di rime" (1884), "L'Isotteo-La Chimera" (1890), "Elegie romane" (1892) e i romanzi "Il Piacere" (1889), "Giovanni Episcopo" (1891), "L'Innocente" (1892). A seguito della lettura di Nietzsche e suggestionato dalla musica di Wagner scrisse il romanzo "Trionfo della morte" (1894). Il 1894 fu un anno di svolta: cominciò infatti una relazione con la grande attrice Eleonora Duse, incontrata nel settembre di quell'anno a Venezia. Dal 1898 al 1910 visse con lei a Settignano, in una villa denominata «la Capponcina». Qui compose i primi tre libri delle "Laudi del cielo, della terra, del mare e degli eroi" (Maia, Elettra, Alcione, 1903), il romanzo "Il fuoco" (1900) e una tra le sue opere teatrali più fortunate, "La figlia di Iorio" (1904). Nel 1910, costretto dai debiti, si trasferì in Francia, dove compose altre opere teatrali. Nel 1915, scoppiata la guerra, tornò in Italia dove guidò lo schieramento interventista. Perso l'occhio destro durante un'azione militare, scrisse nel periodo dell'infermità le prose del "Notturno" (1916). Animato da fiero spirito nazionalistico, d'Annunzio ritenne la vittoria italiana mortificata dalla mancata annessione all'Italia della città croata di Fiume, e perciò la occupò con la forza nel 1919, istituendovi un governo militare. Dopo pochi mesi, però, fu costretto dalle truppe governative ad abbandonarla. Nel 1921 si ritirò a Gardone Riviera (sul lago di Garda) nella villa detta «Il Vittoriale degli Italiani» dove morì il 1° marzo 1938.

  LA CURATRICE - Cecilia Gibellini (Brescia, 1977) si è laureata a Pavia, ha conseguito il dottorato di ricerca in Critica, teoria e storia della letteratura e delle arti alla Cattolica di Milano, ed è ora assegnista all'Università di Verona. Ha pubblicato il carteggio fra Antonio Pizzuto e Vanni Sceiwiller ("Le carte fatate", Libri Scheiwiller, 2005), le "Lettere e scritti di Camillo Togni sulla musica del Novecento" (Fondazione Cini-Olschki, 2006) e il catalogo dei "Libri d'artista di Vanni Scheiwiller" (Mart 2007), oltre a studi in rivista su Leopardi, Carducci, Giotti, Quasimodo, Pomilio, Sereni.

  INDICE DELL'OPERA – Introduzione – Nota al testo – Lettere 1883-1893 – Indice dei nomi