Nuova Storia Contemporanea
n.4 luglio/agosto 2015
Casa Editrice Le Lettere, pagg.168, € 11,50
- Alberto Indelicato, Osservazioni su destra e sinistra La distinzione tra destra e sinistra, nel campo politico, anche se nata per caso, ha finito per denotare la differenza tra i sostenitori del cambiamento e quelli della tradizione. I primi erano convinti della necessità e dell'inevitabilità del progresso, i secondi preferivano attenersi a vecchi costumi e istituzioni ed evitare esperimenti rischiosi. Ma molti dei valori e delle preoccupazioni della destra sono stati accettati dai suoi avversari.
- Maurizio Serra, La Grande Guerra e gli intellettuali Molti intellettuali europei, più di quanti possiamo credere, erano a favore dell'intervento. Molti andarono al fronte e morirono combattendo, come il poeta francese Charles Péguy. Altri - come Romain Rolland, Heinrich Mann, Stefan Zweig, Benedetto Croce - cercarono di seguire la via del dialogo. La Prima Guerra Mondiale, più che la Seconda, segnò la fine della civiltà europea.
- François Livi, La Grande Guerra nei giornali di trincea. «Sempre Avanti...» (1918-1919) tra Parigi e la Champagne Pubblicato a Parigi dall'8 settembre 1918 al 23 febbraio 1919, «Sempre Avanti...» fu un giornale di trincea atipico. Destinato ai combattenti del 2° Corpo d'Armata italiano in Francia ma anche agli alleati francesi, diffuse una propaganda efficace grazie alla qualità degli articoli letterari pubblicati in lingua italiana o francese (Ungaretti, Soffici, D'Annunzio, Richepin, Paul Fort Kahn) e al suo approccio relativo ai cambiamenti geopolitici che la guerra avrebbe dovuto realizzare.
- Jörg Zedler, Pio X e la crisi del luglio 1914 Il 24 luglio 1914 il Papa e il suo Segretario di Stato ebbero un colloquio con l'inviato bavarese presso la Santa Sede. Entrambi espressero il loro sostegno alla politica inesorabile della Duplice Monarchia contro la Serbia, anche se ciò significava la guerra.
- Alessandro Mazzetti, La rivincita di Lissa. La Grande Guerra italiana in mare L'Italia nella Prima guerra mondiale si identifica con le battaglie vittoriose dell'esercito. Tale aspetto è probabilmente determinato dal carattere assunto all'epoca dalla politica estera italiana, legata a una visione monolitica delle frontiere terrestri. In un periodo di grande sviluppo tecnologico, la Marina italiana avrebbe interpretato le innovazioni nel campo della strategia navale. Queste innovazioni hanno profondamente rivoluzionato l'interpretazione del "potere navale" legato ad una visione unidimensionale.
- Frédéric Le Moal, Les voyages officiels de Victor-Emmanuel III. Actes diplomatiques ou visites de courtoisie? In virtù degli ampi poteri conferitigli dallo Statuto nelle questioni diplomatiche, Vittorio Emanuele III svolse un ruolo di primo piano nella definizione della politica estera del Regno d'Italia prima del 1914. Egli diede un nuovo orientamento alla diplomazia italiana, che, sotto il regno di suo padre, aveva posto fine alla tradizione politica di equilibrio tra le alleanze, una politica cara ai Savoia. Le numerose visite ufficiali compiute all'inizio del suo regno, così come i soggiorni a Roma degli altri capi di Stato europei, ne sono una chiara testimonianza. Al centro di questa diplomazia vi era la questione romana.
- Salvatore Coppola, La Santa Sede e il plebiscito nella Saar. La missione di Monsignor Giovanni Panico (settembre 1934-gennaio 1935) Il plebiscito fissato per il 13 gennaio 1935 nella Saar, secondo quanto previsto nei trattati di pace del 1919, doveva ratificare il ritorno della regione alla Germania o il mantenimento della situazione: un'amministrazione controllata da una Commissione Internazionale. Quel referendum fu segnato dallo scontro tra i filo-nazisti, sostenitori dell'annessione, e gli anti-nazisti. Le due parti si aspettavano che la Santa Sede prendesse posizione, ma Pio XI scelse la neutralità più rigorosa e mandò nella Saar un inviato con il compito di far rispettare la direttiva del Pontefice al clero locale. Tale compito fu affidato a monsignor Giovanni Panico, che negli anni 1932-1933 era stato impegnato nella Nunziatura a Monaco e perciò era ben informato sulla politica tedesca. Il diplomatico salentino, pur tra grandi difficoltà, riuscì a portare a termine la sua missione con saggia abilità.
- Giulia Bianchi, L'«Impresa di Tripoli»: Luigi Einaudi opinion maker In seguito all'intervento militare italiano in Libia nel 1911, un dibattito sulla gestione della nuova colonia prosperò su quotidiani e riviste scientifiche, con il contributo di alcune personalità autorevoli. Il saggio intende analizzare la posizione presa da Luigi Einaudi all'interno di questa discussione, con particolare attenzione al tema della politica doganale; gli interventi di Einaudi sono confrontati con quelli di altri rappresentanti del giornalismo, dell'economia e della politica, come Gaetano Salvemini, Edoardo Giretti, Antonio De Viti de Marco.
- Carlo De Risio, Il mancato incontro Mussolini-Roosevelt Il presidente americano Roosevelt voleva un incontro con Mussolini dal 1937 e cercò di dar seguito a questa idea durante il periodo italiano della "non belligeranza", sperando che ciò potesse convincere il Duce a evitare il conflitto. Il saggio ripercorre, attraverso documenti diplomatici, i motivi per cui quell'incontro non ebbe luogo.
- Pietro Di Muccio de Quattro, Il pacifismo degli italiani In generale, il pacifismo italiano dimostra con i fatti di essere animato da un intento diverso dalla classica dottrina della pace, consolidata dalla Grecia antica ai giorni nostri. L'Occidente ha sempre concepito la pace come indipendenza e libertà nella sicurezza, l'Italia non ha né la voglia né la forza per difendersi. La sua Costituzione è equivoca in tal senso.
- Dino Cofrancesco, L'Italia era un bellissimo vestito di Arlecchino I critici dei modi e dei tempi in cui è stata raggiunta l'unità politica d'Italia rimproverano allo Stato di aver soffocato l'autonomia e le culture regionali. Il nuovo Stato avrebbe distrutto le tradizioni regionali imponendo credenze e modelli uniformi. Tutto questo è pura fantasia. Come l'Impero asburgico anche l'Italia vide il fiorire di lingue, canti, danze nel nostro paese perché la politica non invase né colonizzò la società civile, ma permise di coltivare liberamente le proprie aspirazioni. Tutto è cambiato quando la 'cultura' è diventata una risorsa politica e le tradizioni si sono, per così dire, 'istituzionalizzate'. |