Convertirsi alla guerra |
Mario Isnenghi
IL LIBRO – Tra il giugno 1914 e il maggio 1915 l'Italia operò un clamoroso ribaltamento delle sue alleanze internazionali, che condusse alla decisione di dichiarare guerra all'Austria e alla Germania. Si trattò di una riconversione non solo militare, ma anche politica, culturale e ideale, fatta di abdicazioni, di trasfigurazioni, di palinodie e di abiure d'ogni sorta. La trasfigurazione dall'Italia triplicista alleata di Francesco Giuseppe a quella irredentista protesa alla liberazione di Trento e Trieste comportò la conversione dell'immagine della Germania da modello ad antimodello; l'eclissi dell'internazionalismo socialista e il conseguente passaggio al nazionalismo di settori importanti dell'opinione di sinistra, repubblicana, mazziniana; la trasformazione dei cattolici da intransigenti nemici dello Stato a clerico-patrioti; il completo riassetto degli equilibri interni alla classe dirigente liberale. In quella concitata transizione, si consumava il passaggio storico dalla società dei notabili alla società di massa. Così, i dieci mesi di maturazione dell'entrata in guerra trascorsero all'insegna di un clamoroso dualismo. Da un lato, avanzava sulla scena un nuovo, tumultuoso coacervo di minoranze, un labirinto di comitati mobilitati per la guerra che, mettendo in mora il Parlamento, si affermava come politicamente egemone, sempre più minaccioso nei confronti di chi alla guerra si dichiarava contrario. Dall'altro lato, continuava a esistere, quantitativamente forse maggioritaria, un'Italia composta di pura e semplice lontananza ed estraneità alla politica, un blocco d'ordine che contribuiva a rafforzare i poteri di un modesto governo di centro-destra, non certo pensato per così grandi compiti. Le risorse principali cui attingere per schierare le truppe in questa situazione appartenevano in larga misura al campo della disciplina e dell'ubbidienza. Anche per questa via più modesta – e a bassa temperatura – si supponeva che i tricolori potessero scaldare le menti e i cuori. Una volta ottenuto l'effetto desiderato e forzato il passaggio dalla pace alla guerra, queste risorse minimali si sarebbero rivelate essenziali al fine di ottenere che le masse militari rimanessero il più possibile ancorate alla «religione della patria» e al «senso del dovere» di coloro a cui spetta di comandare. E così, dopo il 24 maggio, il coinvolgimento dei cittadini attivi e politicizzati viene messo decisamente alla porta, lasciando il posto alle logiche della coercizione e dell'ubbidienza – sostenute e incoraggiate da una schiera di sacerdoti prontamente inviati al fronte –, unici strumenti con cui tenere a freno forme di obiezione e contrasto rispetto a una morte «assurda» che solo in una nuova «fede» patriottica può trovare la sua giustificazione. Ma in vista di Caporetto e dopo, nell'ultimo anno di guerra, le retoriche dell'ubbidienza e della passività rassegnata non basteranno più, e si torna questa volta per tutti a fare appello alle risorse del civismo e della politica, ridando protagonismo all'immaginario, alla parola e alle idee. DAL TESTO – "Le risorse principali cui attingere per schierare le truppe appartengono, data la situazione, al campo della disciplina e dell'ubbidienza; proviamo tuttavia momentaneamente ad accantonare gli ambiti e i percorsi di accesso alla guerra, governativi e d'ordine, da cui a priori le autorità possono maggiormente attendersele. Spenti i lumi, è sì vero che i colori svaniscono e lo stato di necessità si impone, senza fronzoli, in sintonia con le attese e lo stile di comando di chi governa, a Roma non meno che a Udine. Si sono - lo abbiamo rilevato sopra - tenuti sempre sin troppo accesi i riflettori sui fattori di spinta volontaristica dell'entrata in guerra, che la condizione militare finirà presto per smorzare. E però, se [...] ci muoviamo all'interno delle accelerazioni trasformative dei dieci mesi a cavallo fra l'estate del '14 e la primavera del '15, i colori contano, scaldano e sommuovono le menti e i cuori. Le negoziazioni e ridislocazioni che impegnano i due ministri degli Esteri e.le principali ambasciate in una lenta e recalcitrante uscita dalla Triplice - cioè, alla fin fine, dall'alleanza con i nemici - sono solo una parte e lo sfondo delle negoziazioni e delle ridislocazioni pubbliche e intime, che intanto altri attori politici vanno conducendo. E fra queste rappresentano una svolta di grande impatto proprio le risorse insite nell'adesione all'idea dell'entrata in guerra dell'Italia e le inattese ondate promozionali di patriottismo che vengono – diciamolo senza tergiversare - da sinistra, più che da destra: da un «popolo» di sinistra a vantaggio di un governo di destra. La destra – triplicista sino a ieri, o a tutt'oggi - darà a fianco degli uni o degli altri, quando verrà il momento dell'azione, quello che è nella sua natura di dare: comando e ubbidienza, il senso del dovere, i valori d'ordine. Da sinistra - ma da sinistra non doveva venire il no assoluto alla guerra, l'opposizione di classe, la negazione internazionalista della patria? E invece lo scenario appare tutto in movimento e il ventaglio delle risorse per la causa dell'intervento non certo riducibile alla «strana coppia» Bissolati-Mussolini: il più riformista e istituzionale dei riformisti - che per questo, solo due anni prima, proprio quel rampante leader del giovani ha spinto fuori dal Partito socialista - e il più inquieto e autocritico dei massimalisti, un movimentista impegnato a ribattezzare la sinistra di pace come sinistra di guerra." L'AUTORE – Mario Isnenghi, uno dei più autorevoli storici italiani, è professore emerito dell'Università di Venezia e presidente dell'Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea. Studioso dei conflitti fra le memorie nella storia dell'Italia ottonovecentesca, ha pubblicato fra l'altro: "Il mito della Grande guerra" (il Mulino, 2014); "L'Italia in piazza" (il Mulino, 2004); "I luoghi della memoria" (Laterza, 2013). INDICE DELL'OPERA – Parte prima - Le risorse per l'entrata in guerra (1914-15) - La «nostra guerra»... in Alsazia - Un fascio di «ex» - Donne in politica: una leader emergente - Socialisti e patrioti: Ernesta e Cesare Battisti - Il testa-coda dell'«energumeno» - Tener buoni i soldati - Religiosi al Comando - Parlare, parlarsi, «esser parlati» - La leadership di Benedetto Croce - Compagni, non aderite! - Compagni, non sabotate! - I «né aderire né sabotare» dei borghesi - Al governo e in guerra, senza fronzoli - Il ministro Martini, l'interventista di governo - Parte seconda - Le risorse alla prova (1915-18) - Un referendum d'ogni giorno - Dovere di comandare/dovere di obbedire - Reti. Il «Corriere» al comando - Albertini, il direttore - Il fac-totum Ugo Ojetti - Uno storico a futura memoria - Reti. Vescovi e Vaticano (Roma/Verona - Vicenza/Roma - A Trento. E da Vienna - Diocesi di Gorizia, diocesi di Udine - Da Padova, nuova capitale al fronte - A furor di popolo) - La diaspora socialista (Strana coppia. Bissolati e Mussolini - Ministro e combattente - L'uomo del cambiamento - Minoritari nel tempo delle masse - Patrie difficili) - Parlare da destra - La Nazione armata, non garibaldina - Guerre di donne - Indice dei nomi |