Garibaldi fu ferito. Storia e mito di un rivoluzionario disciplinato Stampa E-mail

Mario Isnenghi

Garibaldi fu ferito. Storia e mito di un rivoluzionario disciplinato

Donzelli Editore, pagg. VIII - 216, Euro 14,00

 

garibaldi_isnenghi.jpg  IL LIBRO – Mazzini e Garibaldi: nessuno sembra contraddire di più la nostra autorappresentazione di italiani privi di carattere. I nostri due padri della patria ne avevano fin troppo, ecco perché tanti hanno cercato di smorzarne la leggenda. L’intento di Mario Isnenghi è qui di ricostruire proprio le tante forme del mito di Garibaldi, imponente per diffusione e durata, rivisitandone l’oleografia non meno delle dinamiche conflittuali. La condanna a morte del 1834 non austriaca ma piemontese, per esempio, e quella sorta di fucilazione procrastinata che fu la ferita nello scontro sull’Aspromonte solo un anno dopo l’Unità: due elementi che restituiscono veridicità e nerbo alla favola delle origini. Nelle istituzioni del nuovo ordine monarchico il capitano del popolo è infatti un movimentista che morde il freno e fatica a rientrare nei ranghi. L’uomo e il simbolo stanno stretti nell’immagine rassicurante del rivoluzionario disciplinato, cucitagli addosso dai trasformisti neo-monarchici, ex mazziniani e garibaldini che costituiscono buona parte della classe dirigente dell’Italia liberale. Persino i monumenti che riempiono le piazze coltivano immaginari alternativi, contraddicendo le forme usuali della rispettabilità borghese. Ecco perché il mito di Garibaldi può risorgere ogni volta in forme diverse: nell’Ottocento proto-socialista e nel Novecento interventista della Grande guerra; nell’impresa di Fiume e nella guerra di Spagna; nella Resistenza dei partigiani garibaldini vicini al Partito comunista e nei simboli elettorali del Fronte Popolare – social-comunista – nelle cruciali elezioni politiche del 1948. A servirsi di lui ci provano tutti, o quasi, persino un nipote fascista e, nel secondo dopoguerra, a contenderlo saranno pure Bettino Craxi e Giovanni Spadolini. E ai nostri giorni? La politica pare non sogni più o forse sogna altri sogni. Non restano che la Lega e i clericali di Comunione e Liberazione a tenere in vita Garibaldi come antimito.

 

  DAL TESTO – “Ora però prima di addentrarci nel controcanto e nel disincanto, richiamiamo almeno i dati essenziali del canto e dell’incanto. Che non ci sfuggano i fatti. Il disgusto corrucciato e offeso per le grandi narrazioni del Novecento, che ci hanno – o che abbiamo noi – tradito, si diffonde oggi in maniera illimitata affondando i colpi anche all’indietro nel tempo. Poiché non intendiamo o non ce la facciamo più noi a “innamorarci” di grandi cause, ci adoperiamo a sporcare e mettere in dubbio anche quelle altrui. La politica e la storia ci si configurano ormai come un cimitero di illusioni deluse e di cause omicide. Miti ed eroi sembrano poi offendere il nostro saputo spirito di posteri. Se questo è l’approccio, tutt’al più riusciremo a rimetterci in sintonia con il pragmatismo e l’abilità diplomatica di un Cavour, ma Garibaldi e Mazzini non potranno apparirci che degli alieni. E però, senza Mazzini e Garibaldi, e le due generazioni di giovani da loro interpretate e guidate, che possibilità rimarrebbe di capire qualcosa del Risorgimento? La blanda saggezza della vulgata scolastica - finita la poesia sopraggiunge alfine la prosa – prescinde dall’ovvia circostanza che non si dà età adulta senza attraversamento della giovinezza. Localismo e clericalismo, facendo di nuovo ai nostri giorni riaffiorare l’Antirisorgimento, hanno almeno avuto il merito di contraddire la messa in questione più radicale e distruttiva di tutte, cioè la sopraggiunta negligenza che apre la strada all’oblio. In questo discorso pubblicato attuale, che per un cumulo di umori convergenti, il felice azzardo del Risorgimento o lo sviluppa o lo ignora, sarebbe nostro intendimento cercare di rimettere un po’ di attenzione rispettosa dei fatti, fors’anche di pietas per il vissuto della gente. Della gente di allora, ma capiterà anche a noi di rappresentare il passato e forse anche, a nostra volta, gli alieni dei nostri pronipoti”.

 

  L’AUTORE – Mario Isnenghi, uno dei più autorevoli storici italiani, è professore ordinario all’Università di Venezia. Studioso, in particolare, dei conflitti fra le memorie nella storia dell’Italia otto-novecentesca, ha pubblicato fra l’altro: Il mito della Grande guerra (1970), giunto alla sesta edizione (il Mulino, Bologna 2007); L’Italia del fascio (Giunti, Firenze 1996); I luoghi della memoria (Laterza, Roma-Bari 1996-97); L’Italia in piazza (il Mulino, Bologna 1994, 2004); La tragedia necessaria. Da Caporetto all’Otto settembre (il Mulino, Bologna 1998).

 

  INDICE DELL’OPERA – Ringraziamenti – Preambolo – I. Il 1848-49 – 1. Primo motore: la rammemorazione - 2. Torna Garibaldi! - 3. Roma repubblica – II. Il 1860-62 – 1. La nazione volontaria - 2. Controcanto critico e guerra civile strisciante - 3. Il calcio dell’asino – III. Il ponte e lo strappo – 1. Il Parlamento, storico dell’accaduto - 2. Spezzare la vita in due? - 3. La rivoluzione disciplinata - 4. “Ma non per questo…” - IV. Libertà della memoria – 1. Fra il Varignano e Caprera. Il Poema autobiografico - 2. Una storia romanzata - 3. La segnatura del territorio - 4. La diarchia simbolica – V. La tradizione garibaldina – 1. Reinneschi - 2. I Poeti Vati - 3. La “Canzone di Lavezzari” - VI. Fra guerre città e dopoguerra - 1. Fiume città legionaria - 2. Nero, rosso, tricolore - 3. Tracce - L’Inno - Il Fronte - Il momento - Il Poema - Il ritratto che manca – Indice dei nomi