Nuova Storia Contemporanea, n.5 settembre/ottobre 2012
Le Lettere, pagg.168, € 11,50
Nel 1970, passata da tempo l'ondata della contestazione studentesca, apparve in Francia, per i tipi di Le Table Ronde, un vivace e corrosivo pamphlet dal titolo Demarxiser l'université firmato da un importante studioso. L’autore, Jules Monnerot, era stato, alla fine degli anni Trenta, insieme a George Bataille e a Roger Callois, uno dei fondatori del Collège de Sociologie e della rivista «Critique» e poi, negli anni Cinquanta, dopo la scoperta dell'elitismo italiano di Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, fra gli animatori, insieme a Raymond Aron, della rivista «Liberté de l'Ésprit». Nel campo degli studi aveva legato il suo nome a opere come Sociologie du communisme (Callimard, 1949) e Sociologie de la révolution (1969) nelle quali aveva introdotto e utilizzato la categoria di “religione secolare” per individuare e caratterizzare i movimenti di tipo messianico e i regimi totalitari del XX secolo. Il suo pamphlet, che ebbe larga eco, non era però, se non incidentalmente, legato agli avvenimenti del maggio 1968 e alle loro conseguenze sulla cultura accademica del proprio paese perché in realtà esso, riprendendo il discorso sviluppato da Raymond Aron in L'oppio degli intellettuali, sfiorava un problema più profondo, quello delle responsabilità dell'intellettuale impegnato, o progressista che dir si voglia, nel cedimento della cultura universitaria e, più in particolare, della cultura umanistica a quella che egli definiva la “truffa intellettuale del marxismo”. Anche il saggio che apre il n.5/2012 di Nuova storia contemporanea, pur riferendosi soprattutto al mondo americano e muovendosi su un terreno apparentemente diverso e con un approccio più filosofico che sociologico, sviluppa un tema analogo, quello dell'egemonia del progressismo nella cultura accademica. L’Autore è il cattolico Edward Feser, un professore di filosofia nel californiano Pasadena City College, di formazione aristotelico-tomistica: è uno storico delle idee, particolarmente attento e sensibile al pensiero liberale e conservatore. Tesi centrale dello scritto è che il moderno intellettuale considera l'ideologia di sinistra come un dogma, un postulato immodificabile da propagandare; il sinistrismo è l'immagine allo specchio distorta del grande patrimonio religioso e culturale occidentale, un tempo promosso nelle Università; i «Dottori» della Contro-Chiesa che lo ispirano sono professori delle Accademie moderne non meno impegnati dei leggendari dottori medievali nell'indottrinare i giovani nel loro credo preferito. George-Henri Soutou, docente di Storia contemporanea presso l'Università Sorbona e l'Istituto di Studi politici di Parigi, prende in esame gli obiettivi politico-strategici della Francia dopo la crisi di Suez. In seguito al cessate il fuoco del 7 novembre 1956, infatti, agli occhi delle autorità, civili e militari, francesi “si vengono a definire priorità diverse. Le posizioni strategiche e politiche appaiono spesso divergenti, se non addirittura in contraddizione le une con le altre: per alcuni appare prioritario difendere l'Algeria francese attraverso l'eliminazione del nasserismo, per altri tutelare lo statuto internazionale del canale di Suez, ostacolare l'avanzata sovietica nel mondo arabo, o costruire un nuovo Medioriente riorganizzato intorno all'Iraq; per altri ancora, invece, si tratta innanzitutto di garantire, nonostante il fallimento dei piani iniziali, la sicurezza di Israele. Infine, numerosi esponenti delle autorità non rinunciano alla speranza di mantenere l'influenza francese in Libano, se non addirittura di ristabilirla in Siria”. Alle vicende dell’occupazione italiana dei Balcani, con particolare attenzione all’Albania, è dedicato il saggio di Federico Niglia (docente di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche della Luiss “Guido Carli” di Roma). “In quella regione – spiega l’Autore - gli italiani avevano realizzato una scientifica opera di conquista, avviata nell'aprile 1939 con la campagna d'Albania, continuata con l'occupazione di alcune parti della Grecia e conclusasi con la partecipazione alla spartizione della Jugoslavia. La presenza italiana era stata peraltro segnata da violenze e sistematici atti di prevaricazione, come confermato dalla storiografia più recente: questo negava l'immagine del "bravo" italiano contrapposto al "cattivo" tedesco che molti, dal dopoguerra in poi cercarono di avallare.” Andrea Rossi (ricercatore in storia militare, cultore della materia presso l'Università di Ferrara e curatore del blog "Orientamenti Storici") compie un’accurata indagine sulla storia della 16esima divisione SS Reichsführer in seguito all’eccidio di Marzabotto: “la formazione più malfamata dell'esercito tedesco in Italia, negli ultimi mesi di guerra non sarà più in alcun modo coinvolta in eccidi e rastrellamenti, anzi, in Romagna, dove le SS resteranno da dicembre 1944 al momento del trasferimento sul fronte magiaro, questi soldati avranno un comportamento difficile da distinguere dal resto della Wehrmacht”. Sull’attività pubblicistica di Arturo Labriola dalla fine dell’Ottocento all’avvento del Fascismo si concentra l’analisi di Giulia Bianchi (ricercatrice in Storia delle dottrine economiche presso il Dipartimento di Scienze Economiche dell'Università di Pisa). L’Autrice ritiene che “l'analisi diacronica delle collaborazioni di Labriola alla stampa quotidiana rispecchi la molteplicità dei suoi interessi politici e culturali testimoniando, oltre al suo particolare iter politico, anche la profonda crisi di incertezza e instabilità politica attraversata dalla società italiana tra la fine dell'Ottocento e gli anni Venti. Crisi che tra profonde polarizzazioni sociali e ideologiche avrebbe portato al dramma della dittatura fascista. Le collaborazioni di Labriola possono essere considerate come parte essenziale di una precisa e oculata strategia politica volta sia a giustificare le proprie posizioni politiche, ma anche, e soprattutto a costruire attorno a esse una base di consenso.” Donato D’Urso (saggista e studioso del Risorgimento) ricostruisce la vicenda umana e politica di Gian Gaetano Cabella, “ricordato nei testi di storia contemporanea per avere diretto durante la Repubblica Sociale Italiana «Il Popolo di Alessandria», periodico che acquistò notorietà per violenza verbale, populismo esasperato, satira dissacrante, "numeri speciali" e falsi clamorosi”. Alla figura di Luciano Lucci Chiarissi è dedicato il saggio di Luca Tedesco (ricercatore in Storia contemporanea, docente presso l'Università degli Studi Roma Tre) intitolato Contro gli imperialismi americano e sovietico. “L’interesse che riveste la figura di Lucci Chiarissi – spiega l’Autore -, volontario a Salò e nell’immediato dopoguerra militante dei clandestini Fasci di azione rivoluzionaria, non risiede […] certo nell’adesione alla sinistra fascista postbellica, fenomeno corposo, se non maggioritario, nella base giovanile neofascista, ma nell’aver fatto assumere al suo antiamericanismo e anticapitalismo gli accenti più radicali all’interno della galassia del neofascismo.”
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