Nuova Storia Contemporanea, n.2/2011 Stampa E-mail

Nuova Storia Contemporanea, n.2 marzo-aprile 2011

Le Lettere, pagg.170, Euro 11,50

 

nsc02_2011  Il numero 2/2011 della rivista Nuova storia contemporanea contiene in apertura un interessante articolo di Luciano Pellicani intitolato Fascismo, Capitalismo, Modernità. L’Autore considera “le interpretazioni marxiste del fascismo distorsioni ideologiche della realtà che si basano su una visione demonizzante del capitalismo ricavata da una lettura estremamente selettiva degli scritti dei padri fondatori del così detto "socialismo scientifico"”. Fascismo e capitalismo – spiega Pellicani – “sono due realtà antitetiche: se prevalgono i principi del primo, i principi del secondo - i pieni diritti di proprietà, la libertà assoluta di comprare e di vendere secondo le leggi del mercato, la logica del profitto, la concorrenza, ecc. - non possono non essere gravemente lesionati, se non addirittura annichiliti, come hanno sostenuto con particolare vigore - e con solidissimi argomenti - Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek".
  L’ombra della GPU a Roma è il titolo dell’articolo di Riccardo Maffei, in cui vengono ricostruite la rete e le operazioni clandestine dello spionaggio sovietico nell’Italia fascista nel periodo compreso tra il 1926 e il 1938. Lo spoglio sistematico delle carte di polizia presso l'Archivio Centrale dello Stato, effettuato di recente dall’Autore, ha permesso “di avere una dettagliata visione del complesso sistema di sorveglianza attorno all'ambasciata e alle sedi consolari e commerciali sovietiche nonché della rete informativa gestita dalla GPU e dai servizi d'informazione militare dell'Armata Rossa, o meglio l'immagine che la polizia politica era riuscita ad avere attraverso fiduciari, fonti e tecniche d'indagine poliziesca (pedinamenti, intercettazioni, ecc.). Queste carte rivelano anche la profondità e la capillarità della sorveglianza e l'importanza delle fonti al servizio degli italiani, operanti perfino all'interno dell'ambasciata sovietica di via Gaeta. L’inaccessibilità degli archivi dei servizi russi non consente di poter avere raffronti con il quadro reale delle operazioni d'intelligence sovietiche, ma le fonti italiane permettono allo storico di ricostruire il quadro che la polizia del regime aveva dello spionaggio diretto da Mosca”.
  Antonio Donno
firma l’intervento intitolato La guerra contro Israele è jihād. Vi si legge che “è profondamente sbagliato ritenere che Arafat abbia commesso veramente tutti gli errori che gli si imputano: la sua azione politica pluridecennale si imperniò sempre su una visione islamista del confronto con Israele: lo Stato degli ebrei doveva essere cancellato dalla carta geografica del Medio Oriente islamico. La tattica poteva diversificarsi, ma l'obiettivo finale era la pulizia etnica dell'elemento ebraico dalla Palestina”. Secondo l’Autore, Arafat non sarebbe mai venuto meno all’imperativo della distruzione di Israele, “se non a parole di fronte ai suoi interlocutori occidentali. Erroneamente, per molto tempo, si è pensato che il leader dell'Olp fosse un nazionalista, dedito al fine di dare vita a uno Stato arabo-palestinese accanto a Israele; in realtà, il suo vero obiettivo, mai abbandonato, fu quello dello "[...] sterminio del nemico e la distruzione del suo Stato […]”, poiché "[ ...] la sua convinta identità di rivoluzionario e di musulmano gli impediva qualsiasi forma di pragmatismo, ovvero, per dirla più chiaramente, egli era un leader islamico le cui concezioni della lotta politica contro gli infedeli, e in particolare contro gli ebrei, erano completamente assorbite nel contesto ideologico-religioso del jihād. Così, è giusto dire che "i suoi modelli non erano i leader o i teorici nazionalisti arabi, ma le lotte dei primi musulmani per i quali era accettabile soltanto la vittoria totale sugli infedeli e sui crociati””.
  Il colonnello Vittorio Emanuele di Leonardo Malatesta prende in esame un periodo, spesso trascurato dalla storiografia, della vita di Vittorio Emanuele III: il periodo di Napoli, “quando era comandante del 1° reggimento della brigata Re.” L’Autore cerca di colmare questo “buco storiografico” mediante le annotazioni scritte dall’aiutante di campo del Savoia, il capitano Francesco Degli Azzoni Avogadro.
  Degno di nota è il saggio di Paolo Buchignani su L’«ideologia italiana». Dal Risorgimento al «fascismo rivoluzionario». Scrive l’Autore: “Sono in molti a pensare che i mali dell'Italia di oggi, la difficoltà di affrontare annosi problemi con riforme coraggiose e necessarie, sia imputabile a un deficit di liberalismo e di riformismo nella cultura politica dell'attuale classe dirigente. In effetti, se analizziamo la storia del nostro Paese negli ultimi due secoli, ci rendiamo conto di quanto difficile, dopo l'Unità, sia stato il cammino della democrazia liberale, di quanto fragile fosse il nuovo Stato, minacciato sia dall'ostilità delle masse cattoliche e socialiste (forze antisistema riluttanti a lasciarsi nazionalizzare), sia da quella delle élites intellettuali che contribuirono fortemente a delegittimarlo e a spianare la strada, dopo la Grande Guerra, alla dittatura fascista, cui, non a caso, fornirono un ampio e significativo contributo”.
  Alla complessa figura di Winston Churchill dedica attenzione Alberto Indelicato, non fermandosi  “a quegli avvenimenti per cui la sua opera ha lasciato un'orma non piccola nella storia”, ma tornando “alle precedenti fasi della sua vita politica, che fu piena di contraddizioni, di cambiamenti di opinioni, di improvvisi voltafaccia. È vero che giravolte repentine, prese di posizioni inattese, ripensamenti clamorosi, si ritrovano nell'itinerario di numerosi, se non di tutti gli uomini politici. È opportuno in ogni caso cercare di capire come e perché essi si sono verificati e quali conseguenze hanno avuto”.
  Antonio Ciarrapico recensisce “la grande biografia dedicata da Maurizio Serra a Curzio Malaparte […] destinata essenzialmente al pubblico francese, presso il quale si manifesta un rinnovato interesse per l'autore di Kaputt, che coinvolge largamente anche le generazioni sbocciate negli ultimi decenni. Ciò spiega perché Serra abbia preferito scrivere tale biografia in francese, di cui, del resto, conosce tutte le tournures, al punto da farne non solo un uso perfettamente adeguato alle proprie esigenze, ma addirittura scintillante. La preferenza accordata a quel pubblico spiega in parte, al tempo stesso, l'ampiezza del volume (634 pagine), in cui è possibile trovare un fitto corredo di notizie di background, necessarie a rendere pienamente intelligibili a un pubblico straniero tutti i fondamentali passaggi della vita di Malaparte contenuti nel testo. Tale copiosa messe di documentazione appare, in ogni caso, giustificato dalla vita stessa di Malaparte, che fu profondamente intrecciata agli avvenimenti storici da lui osservati e descritti.”