Il Revisionista |
Giampaolo Pansa Il Revisionista Rizzoli, pagg.486, Euro 22,00
IL LIBRO - “Siete voi giovani che dovete tirare i sassi nei vetri. Così, quando i vetri si rompono, noi vecchi ci rendiamo conto che era il momento di cambiarli. Per ringraziarti, mio caro spaccavetri, ti darò una borsa di studio.” Così, nel maggio 1959, Ferruccio Parri si rivolgeva a un giovane di ventitré anni, non ancora laureato: quel giovane era Giampaolo Pansa. In questo libro il giornalista racconta la sua avventura umana e intellettuale, nata nel segno della nonna, Caterina Zaffiro vedova Pansa, che con il suo fastidio per comunisti, democristiani e fascisti è stata, senza saperlo, un esempio di revisionismo anarchico imposto dalla povertà. Dalle stregonerie di nonna Caterina si passa all’infanzia nella guerra civile. Giampaolo aveva otto anni, e con la memoria dei bambini ha fotografato quel tempo: i partigiani fucilati, i fascisti ammazzati, ma anche le ragazze che ballavano nude ai festini dei tedeschi e poi alle baldorie degli americani. Il destino di Pansa si compie quando, dopo le mille pagine della tesi sulla guerra partigiana tra Genova e il Po, viene assunto alla “Stampa”. Decenni di lavoro nei grandi giornali, di incontri con i big politici e i direttori famosi, che l’autore narra nei loro lati nascosti: Giulio De Benedetti, Italo Pietra, Alberto Ronchey, Piero Ottone, Eugenio Scalfari e Claudio Rinaldi. A colpire sono i personaggi inattesi: Gianna, la fascista rapata dai partigiani, la saggezza di Borghese, comandante della X Mas, Almirante dagli occhi magnetici, il doppio Fortebraccio dell’“Unità”. Ma a dominare è il maledetto Pansa. Inviso alla sinistra ottusa per i suoi libri sulla guerra civile e amato da chi ha infranto il silenzio imposto dai vincitori. Ecco un settantenne che ci dà un libro scritto con la schiettezza allegra del giovane spaccavetri di un tempo.
DAL TESTO - "Ci rivedemmo il sabato successivo, nella stessa sala da ballo. E poi ancora la settimana dopo. Mi resi conto che Gianna si era informata sul mio conto, forse da qualche collega che conosceva bene la nostra città. Sapeva molte cose di me. La prima era che mia madre Giovanna aveva un negozio di mode in via Roma. Mi domandò: «È vero che sei un ragazzo di sinistra?». "La domanda mi sorprese: «Sei la prima persona che me lo chiede. E non mi sono preparato una risposta. Forse sì, sono di sinistra. Ma non del tutto. Comunque non ho la tessera di nessun partito». "Gianna sorrise: «Meglio così. Il rosso non mi piace. Soprattutto il rosso dei comunisti. Loro non posso proprio soffrirli». "«Perché?» le chiesi, incuriosito. "«Un giorno te lo dirò. Ma adesso non mi va più di stare qui. Non sono ancora le sette. Hai voglia di offrirmi un cinema?». "«D’accordo. In città abbiamo quattro sale. Che film vorresti vedere?». «Uno qualsiasi, purché non sia di guerra». Esitò un istante, poi continuò: «Ho un pessimo ricordo della guerra». "«Bene, troveremo un film diverso». "Lei mi guardò incerta, e disse: «Ci ho ripensato: lasciamo perdere il cinema. Preferisco andare a casa. Domani è domenica, però non voglio tornare in questa sala da ballo. Invitami a cena e ti spiegherò la faccenda della guerra. Scegli un posto che non sia di quelli cari. Per il conto faremo a metà». "L’indomani ci ritrovammo davanti ai Canottieri, con le biciclette. C’era la solita nebbia spessa ed era sceso il freddo. Lei indossava un vecchio giaccone pesante e io la mia giacca a vento. "Andammo al di là del Po, verso la frazione di Casale Popolo. Avevo scelto una trattoria dove non si spendesse troppo. Non c’era nessuno, a parte una coppia anziana che questionava a bassa voce. Ordinammo un risotto, salame, formaggio gorgonzola e una bottiglia di barbera. Gianna divorò tutto, con la fame di un suonatore, avrebbe detto la nonna Caterina. Bevve soltanto un goccio di vino, come me del resto. A quel punto le dissi: «Mi avevi promesso di spiegarmi perché non ti piacciono i film di guerra…». "Lei s’intristì di colpo. E balbettò: «Non mi piacciono perché la guerra l’ho vista e l’ho anche pagata molto cara». "«Molto cara in che senso?». "Gianna s’irrigidì: «Perché mio padre è stato ucciso. Ma non al fronte: in casa. Era un fascista della Repubblica sociale, uno senza importanza, un geometra con un piccolo studio. Però si sentiva fascista per davvero. Da giovane aveva fatto lo squadrista nella marcia su Roma, a ventidue anni. Poi si era calmato, dedicandosi soltanto al lavoro. Quando aveva trent’anni sono nata io. Mio padre diceva sempre che ero l’unica fortuna della sua vita. La mamma è mancata che ero piccola. Poi è morto anche lui, accoppato dai partigiani». "Non era la prima storia del genere che ascoltavo. Però la voce di Gianna mi spaventò: fredda e al tempo stesso carica di un rancore impaurito. Le chiesi: «Te la senti di raccontarmi qualcosa di più?». «Su mio padre non c’è granché di più. Una squadra di partigiani con i fazzoletti rossi è entrata in casa nostra, poco dopo il mezzogiorno del 26 aprile. Li aveva mandati qualcuno che si ricordava dello squadrismo e voleva farla pagare a papà. Stavamo per sederci a tavola. Lo afferrarono, lo trascinarono nel cortile e gli spararono alla testa. Morì subito, altrimenti lo avrebbero finito con i calci dei fucili. Poi arrivò il mio turno». "«Che cosa ti è accaduto?» domandai, spaventato. "«Dopo aver ucciso papà mi portarono in una caserma della città. I partigiani stavano radunando lì i fascisti rastrellati. Ricordo un posto infernale. Molti dei prigionieri venivano massacrati di botte, con i bastoni. C’era sangue dappertutto. E una ferocia disumana, da bestie che volevano fare del male, con un sadismo senza limiti. I fascisti dovevano soffrire e sperare soltanto di morire. Non esisteva differenza tra uomini e donne. Ho visto ragazze come me e anche donne più adulte picchiate senza pietà. Le più giovani le violentavano». "«È toccato anche a te?» le chiesi con il cuore in gola. "«No, a me no. Ma il giorno dopo, con altre cinque o sei donne, mi hanno portata sulla piazza centrale della città. E lì ci hanno rapate, davanti a gente forsennata, stravolta dall’odio. Ero la più giovane, avevo compiuto da poco quindici anni, e fui la prima a essere tosata. A zero, con le forbici e poi con una macchinetta da barbiere. Mi andò bene perché non mi spalmarono il catrame sulla testa e in faccia. Di solito facevano così con le fasciste». "Gianna mi descrisse questo strazio come se parlasse di un’altra persona. Guardava nel vuoto. E il suo tono di voce era diventato freddo. Il racconto non era rivolto a nessuno, neppure a me che stavo seduto accanto a lei. "Le rivolsi una domanda stupida: «Che cosa hai provato?». "«Sul momento non ho provato nulla. Mi sembrava di stare dentro un sogno. E poi pensavo: i capelli mi torneranno e io sono ancora viva. Non mi avevano ucciso, come era accaduto a mio padre. E non ero stata stuprata. Il ricordo più orribile di quella mattina riguarda un’altra donna e non me». "«Chi era?» domandai. "«Non lo so. E dopo non l’ho neppure cercata. Aveva un figlio piccolo, un bambino di un paio d’anni. Al momento della cattura l’aveva preso con sé, non sapeva a chi affidarlo. Lo teneva per mano quando la fecero sedere per tosarla. Lei lo abbracciava e il bambino le si accucciò in grembo. Non sembrava spaventato. Sorrideva e accarezzava le mani della mamma. Quando cominciarono a tagliare i capelli alla madre, le ciocche gli cadevano sul viso. Lui cercava di prenderle. E continuava a sorridere». "«Che schifo!» esclamai. «Non avere pietà neppure per un bambino». Gianna mi sorrise, quasi materna: «Anche tu sei stato bambino quando c’era la guerra. Poteva toccare pure a te. Per tua fortuna, i tuoi non stavano con nessuno di quelli che si ammazzavano da una parte e dall’altra. Così mi pare di aver capito»."
L'AUTORE - Giampaolo Pansa, nato a Casale Monferrato nel 1935, scrive per “Il Riformista”. Ha pubblicato numerosi saggi e romanzi di grande successo. Tra questi ricordiamo: Il sangue dei vinti, La Grande Bugia, I Gendarmi della Memoria e I tre inverni della paura.
INDICE DELL'OPERA - Al lettore – Parte prima – 1. Stregonerie – 2. Bambino della guerra – 3. Nerostellati – 4. Il dissidente – 5. Quarantotto – 6. Ernesto – Parte seconda – 1. La fascista rapata – 2. Spaccavetri – 3. Mille pagine – 4. La Bugiarda e la Feroce – 5. Liberazione in nero – 6. Le due etnie del “Giorno” – Parte terza – 1. L’esercito di Salò – 2. Il consiglio del comandante – 3. Baffi tagliati – 4. Troppe bugie – 5. I firmaioli – 6. Guardarsi le spalle – Parte quarta – 1. Il partigiano Enrico – 2. Fortebraccio uno e due – 3. Il Libertino – 4. Boicottaggio – 5. Chi sa, parli! – Parte quinta – 1. Morire per l’Aquila – 2. I vinti e il sangue – 3. E la mia storia? - 4. Così uccisero mio padre – 5. Revisionismo rosso – Parte sesta – 1. L’eroe malato – 2. Senza coraggio – 3. Maledetto Pansa! – 4. Antifascismo militante – 5. Gli occhi di Almirante – Parte settima – 1. La destra incerta – 2. Melò – 3. Spara e scappa – 4. Il Principe e la verità – Il giornale prigioniero – Indice dei nomi |