I sette anni di Napolitano. Intervista con Davide Galliani Stampa E-mail

I sette anni di Napolitano. Intervista con Davide Galliani

a cura di Francesco Algisi

 

galliani_napolitano  Davide Galliani è ricercatore e docente di Diritto pubblico presso la Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna anche Diritto dei beni culturali nella Facoltà di Scienze e Tecnologie. Svolge la sua attività di ricerca nel Dipartimento di Studi Internazionali, Giuridici e Storico-Politici dell’ateneo milanese. Ha pubblicato, tra gli altri, i seguenti volumi: La più politica delle pene. La pena di morte (Cittadella, 2012); Il Capo dello Stato e le leggi, 2 tomi (Giuffrè, 2011); I sette anni di Napolitano. Evoluzione politico-costituzionale della Presidenza della Repubblica (Università Bocconi Editore, 2012).

  Prof. Galliani, lei scrive che il protocollo del Quirinale può essere “uno strumento di difesa” della Presidenza della Repubblica (cfr. pag.12)…

  Il cerimoniale nelle Monarchie e il protocollo nelle Repubbliche, in effetti, permettono di selezionare gli incontri ed evitare quelli ritenuti scomodi o inopportuni. In questo senso sono strumenti di difesa dell’istituzione, poiché evitano incontri sporadici, casuali, non preventivati, che potrebbero mettere in imbarazzo l’istituzione stessa. Sarebbe un discorso troppo lungo, ma basterebbe andarsi a riprendere alcune pagine più politico-sociali di Freud e non pochi testi sulla democrazia di Kelsen per trovare espliciti riferimenti in tal senso.

  Quali “rischi” (cfr. pag.22) presenta l’elezione diretta del Capo dello Stato?

  La scelta per l’elezione diretta è sicuramente politica. La nostra Costituzione non la esclude; pertanto, se la si vuole introdurre è possibile. Le mie riserve dipendono da due aspetti, uno legato alla storia del nostro Paese e l’altro al sistema di elezione diretta in sé. Per quanto riguarda la nostra storia, è mia opinione che nel nostro Paese non ci sono ancora tutti gli “anticorpi” necessari per poter procedere all’elezione diretta. Non mi riferisco solo ai mezzi di informazione, che dovrebbero essere veramente pluralisti per garantire una buona riuscita dell’elezione diretta, ma anche agli italiani, alla loro cultura, alla loro istruzione: ho paura che siano predisposti a credere nell’uomo della provvidenza, nell’uomo dalle doti salvifiche. Quanto all’elezione diretta, poi, è da dire che servirebbe poco a diminuire il deficit democratico che attualmente riguarda il Presidente della Repubblica, appunto eletto dal Parlamento e non dal popolo. Niente può evitare che venga eletto un Presidente con pochissimi voti in più rispetto al concorrente e che insieme non raggiungano il 60 per cento dei voti. Il che significa un Presidente eletto dal 30 per cento del corpo elettorale.

  Perché, secondo lei, sarebbe “forse auspicabile un divieto di secondo mandato” del Presidente della Repubblica (pag.99)?

  Non è solo un mio auspicio. Pensi che il primo messaggio che un Presidente rivolse al Parlamento, quello di Antonio Segni nel 1963, contemplava proprio l’esplicito auspicio a prevedere in Costituzione in modo espresso il divieto di rielezione. E poi, prima del cambio di opinione, è stato lo stesso Napolitano a ben documentare il perché confermare il divieto di rielezione. Intanto, sette anni sono tanti. Quattordici diventerebbero molti, troppi. Poi, se il Presidente può essere rieletto, è facile che sul finire del settennato possa tenere comportamenti “utili” appunto alla sua rielezione. Non è il caso di Napolitano, ma è meglio evitare sin dal principio il problema. Insomma, nel mondo attuale alcuni Capi di Stato monarchici abdicano per dare nuova linfa al Trono, mentre noi potenzialmente abbiamo lo stesso Presidente per quattordici anni…

  Quali garanzie offre la qualità di senatore a vita di un candidato alla Presidenza della Repubblica (cfr. pag.107)?

  È sicuramente un punto a favore, ma parlare di garanzie è esagerato. Nel momento in cui si deve eleggere il nuovo Presidente, infatti, sono talmente tanti gli aspetti che si tengono in considerazione che fare previsioni diviene impossibile. Certo, come detto, non guasta essere senatori a vita, ma non è assolutamente una sorta di ipoteca.

  Che cosa rende “perfetto” (pag.112) l’ordinamento istituzionale previsto dalla Costituzione italiana?

  Da un punto di vista formale, essendo il Presidente irresponsabile politicamente, la responsabilità dei suoi atti ricade sul Governo, che deve per questo controfirmarli. Questa è tuttavia la forma; la sostanza è molto differente, perché spesso, in molti casi, la controfirma del Governo è messa come atto dovuto. Pertanto, il problema della responsabilità, da un punto di vista sostanziale, rimane aperto.

  Perché, a suo avviso, nel novembre 2011 il Presidente Napolitano non sciolse le Camere e affidò l’incarico di formare il governo a Mario Monti (cfr. pag. 128)?

  Si possono dare molte risposte. Di certo ebbe forte presa su Napolitano il clima economico in Italia. Probabilmente pensava che se si fossero svolte nuove elezioni i mercati non avrebbero fatto altro che punirci. Poi ci furono anche pressioni da parte di organismi europei e internazionali, nel senso di evidenziare la pericolosità della crisi. Da un punto di vista di politica interna, invece, a me pare evidente che il segretario del Partito Democratico non seppe convincere il Presidente: il Pd allora avrebbe probabilmente stravinto le elezioni, ma come detto il Capo dello Stato non ascoltò le volontà di Bersani, sempre che quest’ultimo le avesse esposte al Presidente.

  Lei scrive che la “nomina a senatore a vita di Monti […] servì probabilmente per rassicurare i partiti” (pag.132). Ne è ancora convinto, alla luce della recente “salita in politica” di Monti?

  Certo, senza dubbio. Nemmeno Napolitano si sarebbe mai aspettato la scelta successiva di Monti ed infatti non mi sembra sia stato molto “contento”, per esempio, quando gli ha proibito di concorrere per la Presidenza del Senato. Gli eventi successivi alla nomina di Monti come senatore a vita non erano preventivabili. Si doveva solo risolvere il problema allora e pertanto quella nomina servì per tranquillizzare i partiti politici e per non sciogliere immediatamente le Camere.

  Quali aspetti dell’operato del Presidente Napolitano hanno avuto “come conseguenza quella di legittimare ancor di più la proposta di alcuni favorevoli all’elezione diretta del Capo dello Stato” (pag.140)?

  Da un punto di vista teorico, più sono i poteri del Presidente più è necessario “agganciarli” al popolo. Questo è normale in un sistema democratico. Il punto è che Napolitano ha fatto ricorso a moltissimi poteri del Capo dello Stato previsti nella nostra Costituzione e quando lo ha fatto è stato sempre molto attento a spiegare all’opinione pubblica il suo operare. Questo rapporto molto stretto tra Napolitano e l’opinione pubblica, evidentemente, non è elezione diretta, ma nella sostanza qualche cosa di molto simile. E per questo alcuni hanno detto: se ha tutti questi poteri, allora, deve essere eletto dal popolo.

  La moral suasion (cfr. pag.108) può essere considerata il tratto caratteristico del settennato di Giorgio Napolitano?

  Un settennato non si riesce a ridurre ad un tratto caratteristico unico. Concorrono molti fattori. Certo, la moral suasion è stata un’arma usata da Napolitano. Ma non solo da lui. Tutti i Presidenti piuttosto che entrare a gamba tesa nel dibattito politico hanno preferito un ingresso meno plateale. Chi più chi meno, ovviamente, alcuni ci sono riusciti, altri meno.

  Il settennato di Napolitano presenta qualche fattore di discontinuità rispetto a quelli precedenti?

  Direi che ciascun settennato presenta proprie e irripetibili caratteristiche. Se proprio si vuole evidenziare un tratto della presidenza Napolitano, direi che il Presidente si è di continuo fatto partecipe di una sorta di co-decisione soprattutto con il Governo. E questo è avvenuto in moltissimi campi, primo tra i quali quello della politica estera. Se poi si chiede il perché di questo, sicuramente è facile rispondere che la politica e la classe politica non hanno saputo assumersi le proprie responsabilità e lo spazio che hanno lasciato vuoto è stato riempito da Napolitano. Si pensi alla guerra in Libia, esempio emblematico: l’esecutivo di centrodestra aveva perso credibilità internazionale, l’opposizione di centrosinistra non volle o non seppe contrastare l’intervento militare. Pertanto, chi se non Napolitano poteva riempire questo vuoto?

  C’è chi ritiene (cfr., per esempio, Marco Travaglio su Il Fatto quotidiano del 21 aprile 2013) che le “telefonate con Mancino” rendano il Presidente Napolitano “potenzialmente ricattabile”. Lei è dello stesso avviso?

  Quella è stata una vicenda molto complicata. Io sono stato tra coloro che hanno sollevato alcune perplessità sul conflitto di attribuzione. Forse è meglio risolvere queste vicende in altri modi, perché altrimenti il rischio è quello di politicizzare la Corte. Quanto a Travaglio, è un ottimo giornalista, molto documentato, ma la sua resta una supposizione: potrebbe essere vera a una condizione, ossia la lettura delle telefonate, cosa evidentemente impossibile.

  Eugenio Scalfari, su la Repubblica del 28 aprile 2013, ha scritto riguardo a Napolitano che “un presidente al di sopra delle parti come lui, salvo Ciampi, non è mai esistito. Garantisce tutti, ma garantisce soprattutto il paese e per questa ragione nell'interesse del paese agisce con tutta l'energia necessaria”. Condivide questo giudizio?

  Stimo molto Scalfari, uno dei più importanti giornalisti del nostro paese. Ma non riesco a rassegnarmi all’idea che oggi il nostro Paese abbia ancora bisogno di uomini della provvidenza, di motori di riserva, di persone che, da un qualche immaginario piedistallo, possano dirigere gli eventi al di sopra delle parti. Non dico che Napolitano ha fatto male, dico solo che essendo un uomo in carne e ossa, come tutti gli uomini, a volte ha fatto bene, altre volte meno bene. E dico questo soprattutto avendo a mente la Costituzione, non tanto le scelte e i loro effetti da un punto di vista politico. Non credo ai magistrati di persuasione e di influenza, non credo ai garanti neutri, imparziali, terzi. Queste tesi mi sembrano, come diceva un grande costituzionalista (Carlo Esposito), appartenere al campo delle concezioni mistiche. Il Presidente Napolitano ha inteso perseguire il bene del Paese e l’interesse generale come hanno inteso perseguirli di volta in volta Prodi, Berlusconi, Monti e ora farà Letta.

  Al termine del volume, lei scrive: “Uno dei pochi partiti che si è dichiarato contrario alla guerra in Libia ha sostenuto che saremmo stati invasi da un’ondata di immigrazione. Se questo è lo stato della cultura costituzionalistica del nostro ceto politico, evidentemente, la strada da percorrere è ancora molto lunga” (pag.184). Il percorso rimane invariato in seguito al recente ingresso in Parlamento di una forza politica che, in occasione della rielezione di Napolitano, ha gridato al “colpo di Stato”?

  La cultura costituzionalistica del nostro ceto politico è bassissima. Non penso che i cinque stelle contribuiscano ad alzarla, ma dobbiamo attendere per dare giudizi, no? La Costituzione non è un testo sacro, ma a me pare che tra i mille problemi del nostro Paese nessuno dipenda dal nostro testo costituzionale. Nessuno. Le colpe non stanno in Costituzione. Ancora una cosa sui 5 stelle, la vera novità politica recente. È vero, bisogna vederli all’opera per giudicare. Tuttavia, potevano partire sicuramente meglio: inneggiare al colpo di Stato mi ricorda le “sparate” del centrodestra degli ultimi venti anni, ogni qual volta qualcosa non andava bene si tirava in ballo il colpo di Stato. Un Paese senza cultura costituzionale è un Paese senza capacità di guardare al proprio futuro riflettendo su ciò che è stato. La cultura costituzionale è quella cosa che permette di risolvere i problemi alzando lo sguardo dalla contingenza, dalla quotidianità. E oggi come non mai è necessario risolvere i problemi in prospettiva, con una buona dose di lungimiranza, altrimenti gli stessi problemi si riproporranno di continuo.

 

3 maggio 2013

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