Adelchi Serena: il gerarca dimenticato. Intervista con W. Cavalieri e F. Marrella Stampa E-mail

Adelchi Serena: il gerarca dimenticato. Intervista con Walter Cavalieri e Francesco Marrella

a cura di Francesco Algisi

 

cavalieri_adelchi_serena  Walter Cavalieri è nato a L'Aquila nel 1951, si è laureato in Filosofia presso l'Università degli Studi di Perugia nel 1974, si è specializzato in Storia Contemporanea presso l'Università degli Studi di Urbino nel 1979, è docente di Scienze Umane e Storia nel Liceo Scientifico dell'Aquila. È coautore del volume "Società, politica e sindacato all'Aquila, fino al fascismo" (Roma, 1989) ed autore de "L'Aquila, dall'armistizio alla Repubblica. 1943-1944" (L'Aquila, 1994), "L'Aquila in guerra" (L'Aquila, 1997), "Tre punti e una linea" (Consiglio Regionale d' Abruzzo, L'Aquila, 2008). È autore inoltre di numerosi articoli, saggi e contributi critici pubblicati sui varie riviste abruzzesi.

  Francesco Marrella è nato a Lanciano (CH) nel 1979, si è laureato in Storia presso l'Università degli Studi dell'Aquila nel 2005, si è poi specializzato in Storia Contemporanea presso l'Università degli Studi di Siena nel 2008 con una tesi dal titolo "Giornali di propaganda per i soldati. 1940-1943".

  Cavalieri e Marrella hanno recentemente dato alle stampe il volume Adelchi Serena. Il gerarca dimenticato (Edizioni GTE, pagg.270, Euro 30,00), il primo saggio biografico dedicato a colui che, durante il Ventennio fascista, fu podestà de L’Aquila (1926-1934), ministro dei Lavori pubblici (1939-1940) e segretario del Partito nazionale fascista (1940-1941).

  La figura di Adelchi Serena non offre molti elementi utili a una ricostruzione negativa del Regime fascista. Potrebbe essere questa una delle ragioni della damnatio memoriae che ha investito il gerarca aquilano?

  In effetti, la figura di Serena non rientra nel consueto cliché del fascista sanguinario (come Farinacci) caro a una certa storiografia faziosa che usa le vicende storiche come strumento di propaganda politica. Del resto, però, Serena non rappresenta neppure lo stereotipo del fascista irriducibile (come Pavolini) prediletto dalla destra nostalgica del ventennio e della Repubblica Sociale. Per questi motivi complementari, egli è stato un personaggio “inutilizzabile” dalle opposte fazioni politiche e dalle loro storiografie di riferimento.

  Fra i primi atti amministrativi deliberati da Serena in qualità di podestà, ricordate – a pag. 45 del volume - la realizzazione del monumento a Teofilo Patini in Piazza del Teatro a L’Aquila. L’artista sangrino fu un noto massone, affiliato alla Loggia “Fabio Cannella”…

  Il podestà Serena è spinto da una fortissima volontà di celebrare i fasti della sua Città, e quindi vuole rendere omaggio al famoso artista sangrino che all’Aquila aveva istituito la prestigiosa Scuola di Arti e Mestieri. Non è poi secondario che, non Serena, ma molti altri gerarchi aquilani (come Bernardi e Cimoroni) ed italiani (Bianchi, Starace, Volpi di Misurata) erano stati convinti massoni.

  Come venne accolta da Serena la firma dei Patti Lateranensi?

  Serena, che all’epoca era ancora un amministratore locale, subì la politica concordataria del governo e, nonostante non fosse un simpatizzante dell’istituzione ecclesiastica, adottò in città tutte le direttive del duce, come ad esempio la realizzazione della nuova chiesa di Cristo Re e l’insediamento dell’Istituto Salesiano.

  Che ruolo ebbe il gerarca aquilano nella “messa in quarantena” (pag. 125) della riammissione nel PNF dell’ex federale milanese Mario Giampaoli?

  La vicenda, che si svolge durante l’assenza dell’allora segretario Starace (impegnato nella guerra d’Etiopia), non è la sola. Serena, che svolgeva funzioni di reggenza, ricevette spesso domande di riammissione al Partito, ma preferì sempre accantonare tali pratiche in attesa del rientro del segretario, al quale era particolarmente devoto e che del resto gli lasciò pochissimo potere decisionale. È il caso ad esempio della stessa vicenda relativa alla riammissione del potente ras siciliano Alfredo Cucco.

  Come si pose Serena di fronte alla “decisione irrevocabile” dell’entrata in guerra dell’Italia, che – come si legge a pag. 149 – egli apprese direttamente dallo storico discorso del Duce pronunciato dal balcone di Palazzo Venezia il 10 giugno 1940?

  Nel giugno ’40 Serena non aveva incarichi decisionali di rilievo nell’ambito del Partito, essendo ancora Ministro dei LL.PP.  Pertanto si limitò ad assecondare lealmente la scelta del duce, prodigandosi col suo ministero nella preparazione dello sforzo bellico, che peraltro era già da tempo prevedibile. Intimamente non era tuttavia convinto della necessità della guerra, né soprattutto era favorevole all’alleanza con la Germania nazista.

  Divenuto segretario del PNF, Serena richiamò alle cariche di comando del partito “i migliori uomini di Starace” (pag. 155). Quale fu l’influenza esercitata dal “mastino della Rivoluzione” sulle decisioni politiche del neo-segretario?

  Serena mantenne sempre rapporti, almeno di tipo epistolare, con Starace, anche quando egli cadde profondamente in disgrazia. Il recupero nel Partito di alcuni dirigenti di area staraciana non va interpretata però come una forma di ossequio verso l’ex-segretario, ma come una necessità di avvalersi di personale politico esperto nell’organizzazione e affidabile nella direzione politica. Ciò è un bisogno tanto più avvertito dopo il disastroso coinvolgimento di dirigenti inesperti ed impulsivi verificatosi durante la gestione Muti.

  Come reagì Serena alla notizia della rimozione di Starace dal comando della Milizia?

  Così come anche Ciano, Serena giudicò quella rimozione ingiusta ed umiliante, e soprattutto lamentò che a Starace non fu consentito di difendersi, privandolo dei mezzi di sostentamento e costringendolo ad una forma avvilente di autoemarginazione.

  Perché l’unico modo possibile con cui Serena avrebbe potuto abbandonare la segreteria del PNF era la richiesta al Duce di essere inviato al fronte (pag. 207)?

  Per il fatto che qualsiasi altra procedura diversa dalla richiesta di richiamo alle armi avrebbe comportato un atto di insubordinazione all’autorità del duce e avrebbe offerto al Paese l’immagine di un regime diviso al suo interno e quindi debole in un periodo particolarmente critico dell’andamento della guerra. Del resto, Serena non si sarebbe mai messo a capo di una fronda contro Mussolini, il che avrebbe contraddetto la sua provata fedeltà, il suo carattere e il suo consueto modo di operare.

  A pag. 131, si legge che Serena non condivise interiormente la politica antiebraica del Regime. Come vanno interpretati, quindi, gli attacchi contro l’internazionale affaristica “giudaica e massonica”, contenuti nel discorso del segretario del PNF del 3 gennaio 1941 (cfr. pag. 183 n.395), e la sua denuncia contro gli “atteggiamenti favorevoli […] alle famiglie ebree” (pag. 222) di molti ufficiali di stanza in Croazia?

  Nei discorsi ufficiali Serena confermò inevitabilmente le scelte compiute dal regime nel 1938 e gli argomenti ossessivamente ripetuti dalla propaganda. Analogamente, per quanto riguarda la guerra in Croazia, Serena invocò pubblicamente il pugno duro contro gli ebrei pur essendo autorevole portavoce di quella II Armata i cui ufficiali tolleravano nascostamente l’aiuto prestato dai nostri soldati agli ebrei locali. Tale condotta ambigua era perfettamente coerente con lo stesso atteggiamento di Mussolini che solo a parole incitava a una maggiore durezza contro gli ebrei, in modo da assecondare lo scomodo alleato tedesco.

  Da chi fu maggiormente appoggiato Adelchi Serena nel ruolo di segretario del PNF?

  L’ascesa di Serena nel ruolo di segretario del P.N.F. è alternativa alla candidatura di Farinacci, caldeggiata direttamente dall’ambasciata tedesca in Italia. È Mussolini a volerla, d’intesa con Ciano che, come afferma anche Knox MacGregor, fu il suo più grande sostenitore. Gli uomini che maggiormente affiancarono Serena nel suo ruolo di segretario furono invece Pietro Capoferri, Alfonso Gaetani, Michele Pascolato e soprattutto Fernando Mezzasoma. Un grosso sostegno fu anche fornito dalla popolarità che Serena conquistò presso i giovani dei GUF.

  Chi, invece, lo osteggiò?

  La folta schiera degli oppositori a Serena comprendeva i gerarchi filo-tedeschi vicini a Farinacci, gli ambienti corrotti che gravitavano intorno al “clan Petacci”, nonché il potente sottosegretario Guido Buffarini Guidi. Va tenuto presente che Serena giocò il suo ruolo di massima responsabilità non solo nel periodo più critico della guerra, ma anche nel momento di maggiore scollamento del regime dall’opinione pubblica e di massimo sfaldamento interno di un Partito ormai travagliato da lotte intestine, congiure e spiccati personalismi.

  Quali erano le radici politico-culturali del totalitarismo fascista propugnato da Serena?

  Serena avvia una riforma politica tesa ad instaurare un regime autoritario con velleità totalitarie, nel quale il Partito riconquisti il ruolo di guida della rivoluzione fascista ormai di fatto usurpato dagli uomini dello Stato (Governo, Senato, Esercito). Così facendo, egli vuole rivitalizzare un P.N.F. da tempo relegato in un ruolo puramente organizzativo ed in perenne conflitto con le autorità prefettizie. Tuttavia non si può parlare di un progetto pienamente totalitario, dal momento che nessun documento emanato da Serena mette in discussione l’autonomia o l’esistenza stessa della monarchia sabauda e della Chiesa cattolica.

 

31 ottobre 2010

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