Almirante. Biografia di un fascista. Intervista con Aldo Grandi Stampa E-mail

Almirante. Biografia di un fascista
Intervista con Aldo Grandi


a cura di Francesco Algisi

 

grandi almirante-biografia  È in libreria da qualche settimana un'interessante biografia di Giorgio Almirante ("Almirante. Biografia di un fascista", Sperling & Kupfer), del quale quest'anno ricorre il centesimo anniversario della nascita (nacque il 27 giugno 1914). L'autore è Aldo Grandi, uno scrittore che i nostri lettori già conoscono per un'altra apprezzata biografia, quella di Guido Pallotta edita da Mursia. Almirante fu, durante il Ventennio, un giornalista del quotidiano "Il Tevere" e il segretario di redazione della rivista "La difesa della razza". Capo di gabinetto del Ministro Mezzasoma nel periodo della Rsi, nel dopoguerra fu tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, di cui fu segretario dal 1947 al 1950 e dal 1969 al 1987. Morì nel maggio 1988, lasciando il partito nelle mani di Gianfranco Fini, che aveva scelto come "delfino" e successore. Prendendo spunto dal volume di Grandi, abbiamo rivolto alcune domande all'autore con l'intento di approfondire aspetti controversi della figura dello storico segretario del Msi.

  Dottor Grandi, lei scrive che Giorgio Almirante, il quale aveva sempre sostenuto una "differente visione della politica" rispetto ad Arturo Michelini, divenuto segretario del Msi nel 1969 "non si discostò da quella che era stata la politica del suo predecessore" (pag.307). Come si spiega questo fatto, considerando che Almirante era stato un oppositore di Michelini negli anni precedenti?

  Almirante si discostò da Michelini soprattutto dal punto di vista organizzativo, imprimendo una accelerazione e un rinnovamento alle strutture accentrandone, tuttavia, progressivamente, la gestione. Fondamentalmente anche Almirante aveva a cuore, prima di tutto, l'unità del partito e sarebbe stato disposto a tutto pur di salvaguardarla. Di Michelini non amava, probabilmente, quel suo cercare sempre di raggiungere accordi con la Dc e la Politica istituzionale, ma una volta divenuto segretario dovette affrontare problemi di gran lunga più grandi e tragici rispetto al suo predecessore, il ché, tuttavia, non gli impedì di cercare costantemente un equilibrio tra le diverse anime del partito.

  Perché Almirante si schierò, al fianco della DC, a favore dell'abrogazione della legge sul divorzio nel referendum del 1974 (cfr. pag.209)?

  Almirante ha sempre spiegato questa scelta di campo imputandola alla volontà della maggioranza dei dirigenti del suo partito. In realtà, non è da escludere che abbiano giocato due motivazioni pressoché inconfessabili: la prima, quella di non voler trovarsi a fianco delle sinistre; la seconda, nel pensare di poter così costituire una sorta di argine al dilagare delle stesse sinistre nella politica nazionale; quindi, una eventuale vittoria avrebbe consentito al Msi-Dn di far valere, presumibilmente, il suo appoggio e scongiurare quel compromesso storico che era ormai all'orizzonte. Infine, vi fu anche una motivazione ideologica: il divorzio andava contro l'unità della famiglia e della tradizione italiana. Personalmente e politicamente, però, si trasformò in un boomerang per il partito e per lo stesso Almirante vista la sua situazione familiare.

  La proposta di reintrodurre la pena capitale – che Almirante avanzò nel 1981 (cfr. pag.361) – fu dettata da ragioni opportunistiche ed elettorali?

  Non soltanto. Anche da convinzione. Ed è qui che Almirante ha dimostrato la sua straordinaria sintonia con la maggioranza silenziosa degli italiani. Certo, egli calcò troppo la mano sul fronte politico mentre avrebbe dovuto sottolinearla anche per quello criminale. In realtà a quei tempi l'emergenza vera e propria era quella del terrorismo e la criminalità comune godette di una certa 'libertà'.

  Alle pagg.386-387 lei ricostruisce brevemente i rapporti intercorsi tra la massoneria e il Msi negli anni della segreteria almirantiana. Sebbene il segretario missino si definisse "antimassone da sempre", questo aspetto non presenta forse qualche ombra alla luce della ricostruzione che lei offre nel libro?

  No. Credo che Almirante, in realtà, non abbia avuto grandi legami con la massoneria soprattutto per ragioni di carattere ideologico anche se era sufficientemente scaltro da non sdegnare eventuali interessamenti da parte di altri componenti del partito che agivano se non su sua direttiva, certamente con la sua benedizione.

  Come giudica l'attacco che Almirante sferrò contro Stefano Delle Chiaie nell'intervista rilasciata a Giorgio Bocca nel 1984 (cfr. pag.389), visti i rapporti intercorsi fra i due negli anni Settanta (cfr. pag.284 e pagg.329 ss.)?

  Almirante era, per certi versi, un politico di grande abilità e se con Delle Chiaie aveva avuto rapporti anche non ufficiali, non poteva certamente rivelarlo in una intervista a Bocca. Il Msi stava faticosamente cercando di venire alla luce uscendo dalla emarginazione cui era stato relegato. Delle Chiaie era, sicuramente, un personaggio scomodo e gli anni di piombo, ormai, prossimi alla fine.

  Nel libro, si legge che Craxi contribuì a sdoganare il Msi "permettendogli di entrare a far parte, a tutti gli effetti anche se su dimensioni al momento ridotte, del club di coloro che potevano partecipare alla vita politica nazionale, sia pure con una serie di steccati che non andavano né potevano essere dimenticati" (pag.407)...

  Era un'apertura di credito, quella di Craxi, simbolica e, comunque, tendente , a mio avviso, a far capire alla Dc che non voleva tutele di sorta né essere sotto scorta. Era ovvio, però, che il Msi-Dn fu tutt'altro che sdoganato in quegli anni. Del resto ciò che accadde sull'Achille Lauro prima e a Sigonella poi, scavò un fossato tra Almirante e la politica di acquiescenza di Craxi verso arabi e palestinesi.

  Come si spiega la posizione "del fascista Almirante, schierato, nella realtà, non soltanto con gli americani, ma anche, come era sempre stato nonostante i suoi trascorsi, a fianco di Israele e degli ebrei" (pag.409)?

  Con una motivazione squisitamente di carattere politico. Almirante non era più quello della "Difesa della Razza", mentre era divenuto, ancor di più, acerrimo nemico dei comunisti: per lui e per tutto il suo partito, al di là delle distinzioni, il vero nemico stava a sinistra, non certo in Israele, paese filoccidentale e amico degli americani. Almirante aveva da tempo abbandonato l'ostilità contro gli Alleati che aveva avuto all'indomani della fine della guerra.

  Nel 1980, Almirante dichiarò di non voler "morire da fascista" e di credere nelle istituzioni e nella Costituzione antifascista del 1948 (cfr. pag.371). Alla luce di tali affermazioni, la "svolta di Fiuggi" del 1995 può essere vista in un'ottica di continuità con la posizione di Almirante degli anni Ottanta?

  Se Almirante disse o scrisse di non voler morire da fascista, di sicuro non disse mai di voler morire da antifascista. Almirante non rinnegò mai il suo passato e i seicento giorni della Rsi rappresentarono sempre, per lui, un irrinunciabile punto di riferimento. Era ovvio che, essendo tutt'altro che stupido, aveva compreso, primo tra i tanti, che andare in giro, a fine secolo, con fez e distintivo all'occhiello, era una stupidità e un nonsenso storico.

  Montanelli scrisse che Almirante mai rivendicò "il fascismo truculento della prima ora, né dell'ultima" (cfr. pag.422)...

  Il fatto che Almirante non abbia mai rivendicato il fascismo truculento della prima e dell'ultim'ora, come scrisse Montanelli, in realtà è un errore interpretativo. La verità è che Almirante non ha mai rinnegato né bocciato né condannato il fascismo e non solo quello della prima ora visto che era impossibile essendo appena bambino, ma anche quello dell'ultim'ora a lui sempre particolarmente caro e vicino.

  Almirante, capo di gabinetto del ministro Fernando Mezzasoma durante la Rsi, non seguì gli altri gerarchi diretti a Como nell'aprile 1945, trovando invece rifugio nella casa del suo vecchio amico ebreo Emanuele Levi (cfr. pagg.130-131)...

  Almirante disse che fu il ministro a impedirglielo dicendogli di adempiere a tutta una serie di compiti residui. La verità, però, la sapeva solo Almirante. Di sicuro se avesse voluto seguire Mezzasoma e Mussolini, nessuno glielo avrebbe impedito. Io credo che Almirante si pentì, visto come andarono le cose, di non aver seguito Mezzasoma, il suo mentore, così come, probabilmente, si vergognò di non avere avuto il coraggio di farlo, ma egli, a differenza di altri fascisti come, ad esempio, i Giani, i Ricci o i Pallotta, non era un mistico, né dell'Idea né dell'azione. Scelse e, a mio avviso, giustamente, di vivere e questa scelta si portò dietro per tutta la vita al punto che il coraggio mostrato negli anni successivi alla fine delle ostilità rappresentò, per lui, una sorta di riscatto per quel gesto non attuato nell'aprile del 1945.

15 dicembre 2014

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