Il Piano Solo. Intervista con Mimmo Franzinelli |
Il Piano Solo. Intervista con Mimmo Franzinelli a cura di Francesco Algisi
Mimmo Franzinelli, studioso del fascismo, ha scritto numerosi libri, fra cui: I tentacoli dell'Ovra (Bollati Boringhieri 1999) e, da Mondadori, Delatori (2001), Le stragi nascoste (2002), Squadristi (2003), Guerra di spie (2004), Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza, 1943-1945 (2005), L'amnistia Togliatti (2006), Il delitto Rosselli (2007). È inoltre autore, con Valerio Marino, del libro fotografico Il duce proibito (Mondadori 2003), con Marco Magnani, Beneduce (Mondadori 2009) e con Paolo Cavassini Fiume (Mondadori 2009). Nel 2002 gli è stato conferito il Premio internazionale Ignazio Silone. È inoltre autore del recente volume Il Piano Solo. I servizi segreti, il centro-sinistra e il «golpe» del 1964 (Mondadori, pagg. 381, Euro 20,00).
Dottor Franzinelli, qual era l’obiettivo del Piano Solo? Condizionare la politica italiana nel senso favorevole ai progetti del presidente della Repubblica Antonio Segni: sostituzione del centro-sinistra con un governo tecnico, centrista, di emergenza nazionale. Segni e il generale de Lorenzo intendevano il Piano Solo alla stessa stregua? Il presidente della Repubblica lo percepiva, sul piano politico, come garanzia d’ordine e quale argine a temibili agitazioni di piazza in chiave eversiva. Il comandante dei carabinieri non si arrogò ruoli politici, ponendosi quale volonteroso esecutore della volontà di Segni sul terreno della gestione dell’ordine pubblico. Francesco Cossiga le disse (cfr. pag. 206) che con il Piano Solo non si sarebbe potuta fronteggiare “neanche la rivolta di un gruppo di scolaretti”… Il presidente emerito Francesco Cossiga amava i paradossi, gli piaceva stupire e fare colpo sugli interlocutori. Per valutare il Piano Solo, dobbiamo fare uno sforzo di contestualizzazione e immaginarlo applicato congiuntamente alla svolta politica con l’abbandono del centro-sinistra, la nascita di un governo d’emergenza minoritario in Parlamento e lo scioglimento delle Camere con indizione di elezioni anticipate: in questo frangente, è probabile che dopo i primi scontri di piazza e l’ondata di arresti mirati (le cosiddette enucleazioni) la situazione sarebbe precipitata inevitabilmente verso misure di carattere straordinario, con il crescente peso di carabinieri e militari e la marginalizzazione del Parlamento. È possibile riscontrare qualcosa di analogo al Piano Solo negli altri Paesi dell’Europa occidentale? In vista di temibili tentativi comunisti di conquista del potere, in ambito NATO esistevano piani di assunzione del potere da parte dei militari. Uno di questi verrà applicato nella primavera del 1967 dai colonnelli greci, col risultato di instaurare una dittatura. Ma il Piano Solo non venne elaborato in ambito NATO. Il suo diretto procedente sono le circolari ES emanate dal capo della polizia Angelo Vicari nel 1961, con la peculiarità 1964 dell’attivazione dei soli carabinieri. Il generale de Lorenzo scelse la base presso Capo Marargiu per deportarvi gli “enucleandi” e di ciò non informò “le strutture NATO” (pag.91). Come va letta tale decisione? Credo attesti la convinzione di de Lorenzo che il Piano Solo rispondesse più che altro all’esigenza di rassicurare il presidente Segni e di consentirgli – a seconda della loro collocazione politica – di rassicurare o allarmare gli avversari interni alla Democrazia cristiana (Moro in primis) sulla possibilità di attuare la radicale svolta politica da lui desiderata, nonché all’intento di contrastare la strategia riformista del Partito socialista. La soluzione della crisi politica dell’estate 1964 – si legge a pag. 151 - deluse soprattutto i missini. Quale epilogo auspicavano gli esponenti del MSI per quella crisi? Da sempre i missini ambivano a trasformare l’Italia in una grande caserma, ovvero a spostare il baricentro politico dal Parlamento alle Forze Armate. Ma sono convinto che in tutta la vicenda del Piano Solo i neofascisti siano stati del tutto marginali e irrilevanti. A pagina 48, lei scrive che il generale de Lorenzo, dopo aver assunto il pieno controllo dell’Arma, promosse “la costruzione di una rete telefonica autonoma sia dalla struttura militare sia da quella civile”, la Rete Rossa, “che consente di conoscere i segreti della NATO”. Ciò può lasciar trasparire uno scarso entusiasmo – o addirittura la diffidenza – verso il Patto Atlantico da parte del generale? No. Questa misura rientra nella concezione modernizzatrice, corporativa e autocratica dell’Arma: concorrenziale rispetto alla Polizia di Stato (nell’ambito di una tradizionale rivalità) ma non verso la NATO, che evidentemente aveva ben altre competenze, mezzi e orizzonti strategici. Come veniva visto il generale de Lorenzo dagli americani? Il generale aveva collaborato con la CIA nella seconda metà degli anni Cinquanta, in veste di capo del SIFAR: i rapporti erano pertanto cordiali, ma quando egli a inizio 1964 si avvicinò molto a Segni, sino a divenirne sostanzialmente uno strumento con il Piano Solo, gli americani lo valutarono con quella certa diffidenza che riservavano al presidente della Repubblica, ostile al governo Moro e sostenitore di una linea aggressiva sul terreno della guerra fredda che in parte contraddiceva le tesi del Dipartimento di Stato. Infine, quando nell’aprile del 1967 il governo e il generale Aloia ne prospetteranno agli americani l’allontanamento dalla carica di capo di Stato Maggiore dell’Esercito, tale proposta verrà accettata. Perché la convocazione al Quirinale di de Lorenzo preoccupava il ceto politico (cfr. pag. 57)? Perché si interpretava il connubio de Lorenzo-Segni come un sintomo tra i più imprevedibili dell’interventismo del presidente della Repubblica nelle vicende politiche, nel quadro dei rapporti di reciproca sfiducia, attestati dalle registrazioni segrete delle consultazioni avviate all’indomani della caduta del primo governo Moro. Il generale de Lorenzo nel 1963 – e anche negli anni successivi… (cfr. pag. 167) – era considerato “un ufficiale democratico, se non addirittura di sinistra”. Come mai, dunque, la sua chiamata sul Colle fu intesa “quale conferma dell’orientamento conservatore del Capo dello Stato”? Bisogna contestualizzare: ai tempi della sua ascesa ai vertici del SIFAR, gli avversari di de Lorenzo in seno al microcosmo militare tentarono di danneggiarlo avvalorando (inesistenti) simpatie di sinistra, attestate dalla partecipazione alla Resistenza e dal suo lavoro alle dipendenze del comunista Scoccimarro durante le procedure di epurazione contro i fascisti. Evidentemente de Lorenzo era uomo d’ordine, che tuttavia sino a fine febbraio 1964 guardò con simpatia alla linea riformista di Moro. Quando Segni lo coinvolse quale protagonista e garante dei propri progetti politici, il generale si adattò di buon grado al ruolo commissionatogli; in questa nuova prospettiva (testimoniata dai contatti con la CIA, trascritti a corredo del libro) egli venne valutato con sospetto e timore, particolarmente dai socialisti. Come si spiega la presenza dell’ex direttore de l’Unità Eugenio Reale tra i “cattivi consiglieri che giocano sulle paure di Segni” (pag. 81)? Reale apparteneva alla categoria degli ex comunisti divenuti strenui paladini dell’anticomunismo. Uscito dal PCI nel 1956, divenne assertore di teorie che individuavano nel Partito comunista il più temibile avversario della democrazia e pertanto si trovò in sintonia con Segni. Alla fine del 1965, de Lorenzo sostituì il generale Aloia nella carica di capo di SM dell’Esercito. Perché – come si legge a pag. 167 - i provvedimenti adottati da de Lorenzo nel suo nuovo incarico riscossero il plauso dei comunisti? Perché Aloia aveva istituito i «corsi di ardimento», ovvero scuole di addestramento ideologico e pratico alla controguerriglia, in tutto e per tutto in sintonia con le teorie dei neofascisti alla Pino Rauti, che difatti venne incaricato della stesura di un pamphlet in cui de Lorenzo era descritto quale strumento dei comunisti, poiché egli aveva abolito i «corsi di ardimento». Il PCI era per l’esercito di popolo e contro ogni forma di professionismo delle forze armate. A pag. 254 (n. 171), si legge che l’ordinario militare mons. Arrigo Pintonello “aveva condiviso le ultime battaglie politiche di de Lorenzo”. A che cosa allude in particolare? Mi riferisco all’adesione di de Lorenzo nel 1968 al Partito monarchico e poi al passaggio nel Movimento sociale italiano, formazione per la quale monsignor Pintonello – convinto neofascista – simpatizzava da lungo tempo.
13 novembre 2010 Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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