De Christiana Republica. Intervista con Danilo Castellano |
De Christiana Republica. Intervista con Danilo Castellano a cura di Francesco Algisi
Il Prof. Danilo Castellano è preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Udine, nella quale ricopre il ruolo di professore ordinario di Filosofia Politica. Si occupa di filosofia politica, etica sociale e filosofia del diritto (in particolare del fondamento naturale dell’ordinamento giuridico positivo). È stato direttore dell’Institut International d’Etudes Européennes "A.Rosmini" di Bolzano e dirige attualmente l'Istituto Mitteleuropeo Mediterraneo di Studi Politici Superiori. Membro della Reale Accademia di Spagna per le Scienze morali e politiche, è autore di dieci monografie (due delle quali tradotte in spagnolo), di oltre trecento pubblicazioni (saggi, note, recensioni, etc.) alcune delle quali tradotte in francese, tedesco e spagnolo ed è curatore di oltre trenta volumi. Dirige il periodico cattolico Instaurare omnia in Christo, fondato a Udine nel 1972. In questa intervista, il prof. Castellano illustra alcuni aspetti del pensiero di Carlo Francesco D’Agostino, cui ha dedicato il volume De Christiana Republica. Carlo Francesco D'Agostino e il problema politico italiano (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2004). Prof. Castellano, come si può definire il pensiero politico di Carlo Francesco D’Agostino? Un approccio razionale ai problemi politici, rivelatosi conforme alla Dottrina sociale della Chiesa cattolica. Può essere inserito nel filone del pensiero antidemocratico? No, se per democrazia si intende la forma di governo, da lui ritenuta legittima al pari delle altre forme individuate da Aristotele. Sì, se la democrazia viene considerata il fondamento del governo, vale a dire se la legittimità dell'esercizio del potere politico viene riposta nel consenso come mera adesione senza argomenti a un progetto qualsiasi. La distinzione è fondamentale, anche per capire la questione della legittimità che stava a cuore a Carlo Francesco D'Agostino. Egli, infatti, nel referendum istituzionale si impegnò a favore della monarchia. Non per ragioni di preferenza ma per dovere di obbedienza all'autorità divenuta, a suo giudizio, legittima con il Concordato e dopo il Concordato del 1929. Ho detto che egli si impegnò (durante un comizio a Genova nel 1946 fu preso a calci e pugni) a favore della monarchia. Il suo impegno offre la prova dell'accettazione del referendum. Egli, pertanto, non rifiutò né la democrazia (come metodo) né i suoi legittimi strumenti. È corretto dire che l’impegno politico di D’Agostino si poneva come obiettivo la Regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo? È correttissimo. Per la regalità sociale di Gesù Cristo ha speso gran parte della vita e impegnato le sue sostanze personali. Va rilevato che l’impegno per la regalità sociale di Gesù Cristo non nasceva da soli atti di fede. Aveva per fondamento una esigenza razionale. Un ordinamento giuridico che prescinda dal diritto naturale (classico) è destinato, infatti, a farsi strumento dell'irrazionalismo. Lo ha dimostrato, per esempio, il nazismo e lo dimostrano talune liberaldemocrazie occidentali che “autorizzano” la procurata morte dell’innocente e/o dell’incapace. La regalità sociale di Gesù Cristo è l'antitesi della sovranità moderna, sia essa quella dell'assolutismo sia essa quella del «popolo». Quale spazio concedeva ai culti non cattolici la bozza costituzionale elaborata da D’Agostino? La soluzione di equilibrio individuata dallo Statuto albertino era sostanzialmente condivisa da Carlo Francesco D'Agostino. D’Agostino nutriva ammirazione per la figura di Vittorio Emanuele III. Come si spiega ciò, alla luce del fatto che il Savoia era non propriamente un monarca cattolico? D'Agostino riteneva Vittorio Emanuele III il più grande italiano del secolo XX. Lo considerava il "Re martire". Il suo giudizio può apparire non obiettivo soprattutto se si considera che Vittorio Emanuele III era un re "liberale", forse anche "democratico" nel senso moderno. Non solo. Almeno fino al Concordato doveva essere ritenuto "laico" e, secondo alcuni, anche massone. D'Agostino ha provato che Vittorio Emanuele III non fu massone e che fu vittima della cultura "liberale" nella quale era stato rigorosamente educato. Ciò lo portò a considerare sempre sovrana la volontà del Parlamento (come, per esempio, in altro contesto anche il Presidente Oscar Luigi Scalfaro il quale dichiarò che avrebbe promulgato qualsiasi legge approvata in forma proceduralmente corretta). Le riserve di Carlo Francesco D'Agostino verso Vittorio Emanuele III scaturiscono dalla di lui accettazione del sistema liberale che lo rese vittima (e allo stesso tempo martire). D’Agostino non aderì mai al Fascismo. Che giudizio dava del Ventennio? Egli si rifiutò di "prendere" la tessera del P.N.F. (nonostante le pressioni familiari ricevute). Considerava il regime di Mussolini inaccettabile ma non peggiore della liberaldemocrazia precedente e successiva al fascismo. Il fascismo, nonostante la firma dei Patti Lateranensi che illuse tanti cattolici circa il ritorno allo Stato cattolico, era e rimase un regime "laicista" e totalitario. D'Agostino per sottrarre i figli all'educazione imposta dallo Stato (sia quello risorgimentale sia quello fascista, che del Risorgimento rappresenta la continuazione) li fece studiare in casa. La scelta operata e citata come esempio prova che egli giudicava inaccettabile il fascismo innanzitutto per il suo totalitarismo che è la dottrina che chiede agli individui/cittadini di pensare e volere come pensa e come vuole lo Stato, cioè di pensare e volere "per legge". Ebbe modo di pronunciarsi riguardo al Trattato di pace imposto all'Italia dopo la Seconda guerra mondiale? Quello che posso testimoniare è il giudizio-critico negativo di D'Agostino sul modo con il quale De Gasperi condusse la trattativa relativa al Trattato di pace. I Trattati di pace - è vero - sono sempre «Dettati» del vincitore. De Gasperi, da una parte, nulla fece per dimostrare che il Trattato tale non era; dall'altra, assunse un atteggiamento a dir poco «servile», da «esecutore» della volontà del vincitore. D’Agostino approvò l'ingresso dell'Italia nella Nato e la presenza delle basi americane nel nostro Paese? Era favorevole all'indipendenza nazionale. Ciò non esclude alleanze. Esclude, però, certamente occupazioni. L'alleanza avrebbe potuto consentire anche l'installazione di basi. Non, però, nel modo con il quale sono state installate e non per le finalità per le quali sono state collocate. Qual era la sua visione della politica estera? Per quel che attiene alla politica estera Carlo Francesco D'Agostino riteneva che l'Italia avesse diritto di esercitare la sua sovranità su tutti i territori che le appartenevano fino al giugno 1940 e che il Trattato di pace le «sottrasse». Propose, infatti, un Progetto di Costituzione (rimasto incompleto), che all'art. 2 prevedeva il seguente enunciato: «L'Italia rinuncia al ricorso alla guerra per il riconoscimento della sua sovranità sui territori cui si estendeva nel giugno 1940, successivamente sottrattile». Considerava, inoltre, regola di politica estera non lasciare mai cadere le proprie ragioni. Soprattutto considerava che l'Italia avesse una missione: quella di essere modello di Stato cattolico e, pertanto, strumento del diritto naturale (classico) in ogni sede. Quale accoglienza riservava il clero cattolico alle posizioni di C. F. D’Agostino? Nel mio libro De Christiana Republica, dedicato al pensiero politico di Carlo Francesco D'Agostino, ho riferito dell'avversione decisa del clero italiano alle posizioni del D'Agostino. Salvo ovviamente alcune eccezioni che non hanno avuto alcun seguito (si pensi, per esempio, all'onesto riconoscimento del Vescovo di Caserta degli anni dell'immediato secondo dopoguerra). Il clero italiano era compattamente a favore della Democrazia Cristiana. Le ragioni, come ho scritto nel libro citato, sono complesse. Per questo, però, giuocò un ruolo la trappola dell'anticomunismo escogitata dal liberalismo e pesantemente e intelligentemente usata dall'America (U.S.A.) per imporre all'Italia un regime conforme alle esigenze delle dottrine politiche protestanti. Il clero italiano era "militarmente" schierato per la DC che contribuì alla rinascita del modernismo, compreso quello teologico. La figura di D’Agostino presenta qualche somiglianza con quella del pensatore brasiliano contro-rivoluzionario Plinio Corrêa de Oliveira? Credo di no. Per D'Agostino, infatti, l'avversario principale non era il comunismo (come per Plinio Corrêa de Oliveira) ma il liberalismo. Inoltre D'Agostino non era conservatore sul piano sociale. Egli, infatti, era convinto che, per rispondere alle istanze della giustizia, fosse (e sia) necessaria una collaborazione fra capitale, intelligenza e lavoro. Ho illustrato il suo pensiero a questo proposito in un capitolo del citato libro a lui dedicato. D'Agostino ha cercato di realizzare il modello proposto con la casa editrice "L'Alleanza Italiana" da lui e altri soci creata al fine di pubblicare innanzitutto il periodico "L'Alleanza Italiana". Non solo. Egli era favorevole all'opportunità di favorire l'ascesa di tutti, anche di coloro che appartenevano alle cosiddette classi più deboli. Basterebbe pensare, per esempio, alle sue innovative (e alternative rispetto a quelle liberali) proposte tese a favorire l'accesso a ogni ordine e grado di studi dei capaci e meritevoli. Come si poneva D’Agostino di fronte al Concilio Vaticano II e, soprattutto, alla deriva modernista del postconcilio? D'Agostino non considerava il Vaticano II un Concilio di rottura rispetto alla precedente dottrina sociale della Chiesa. Anche a proposito del Decreto sulla libertà religiosa leggeva il Concilio in senso non liberale. In altre parole riteneva che il Decreto rappresentasse (e rappresenti) la rivendicazione del diritto alla libertà della religione e non alla libertà di religione. Il Concilio aveva, a suo giudizio, due meriti: a) non aveva avallato il modernismo democristiano, b) aveva considerato le questioni politiche in un orizzonte più vasto rispetto all'Italia. La deriva era (ed è) da attribuire all'opera culturale del modernismo politico, agli ordinamenti giuridici che hanno favorito il processo di secolarizzazione (come ha dimostrato, per esempio, Pietro Giuseppe Grasso con il suo libro Costituzione e secolarizzazione, edito a Padova dalla Cedam nel 2002), alla paralisi pastorale del Clero che era preoccupato più di affermare il partito erroneamente ritenuto cattolico che gli insegnamenti evangelici, le Parole cioè che non passano. E riguardo al Novus Ordo Missae? Sul piano liturgico D'Agostino non prese posizione. Non si schierò, cioè, né a favore né contro la cosiddetta riforma liturgica di Paolo VI. Non si batté per la conservazione della lingua latina nella liturgia, che, per altro, il Vaticano II aveva raccomandato e raccomanda. Riteneva legittimi tutti i riti riconosciuti dalla Chiesa. Quale eredità politica ha lasciato D’Agostino? E da chi è stata raccolta? L'eredità è principalmente intellettuale e morale. Sotto questo profilo essa è notevole e sarà scoperta e valorizzata in futuro. Chi sono gli eredi? Coloro che sostengono la regalità sociale di Gesù Cristo, vale a dire si propongono di instaurare omnia in Christo.
5 luglio 2010 Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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