Aleksandr Blok
Gli ultimi giorni del potere imperiale I dodici
Neri Pozza, pagg.192, € 14,00
IL LIBRO – Nel febbraio del 1917 Aleksandr Blok è di leva, soldato semplice in una compagnia di genieri acquartierata nelle paludi di Pinsk, in Bielorussia. Non ha visto le violente dimostrazioni nelle vie di Pietrogrado né ha assistito al rapido sfacelo del potere imperiale. L'eco del crollo del regno di Nicola II, quel lungo disastro cominciato con i milletrecento morti nei giorni dell'incoronazione e proseguito poi con una feroce e sciagurata politica interna, è arrivata però chiara al suo orecchio. Blok sa che Nicola II ha abdicato ed è agli arresti. Ne gioisce a tal punto da fare richiesta di trasferimento, tornare nella capitale e farsi nominare redattore capo delle registrazioni stenografiche della «Commissione inquirente straordinaria per l'inchiesta sulle attività illegali degli ex ministri, dirigenti amministrativi e alti funzionari». Nella fortezza di Pietro e Paolo assiste, in un misto di atrocità, confusione e cinismo, agli interrogatori dei dignitari che per vent'anni sono stati i padroni assoluti della nazione. Uno spettacolo miserevole, dinanzi al quale si rafforza in lui l'assoluta convinzione che la tempesta della Rivoluzione sia necessaria, che per lasciarsi alle spalle la «falsa, sporca, tediosa, mostruosa vita» del potere imperiale occorra, «con tutto il corpo, con tutto il cuore, con tutta la coscienza», ascoltare la Rivoluzione. La quasi totalità dell'intelligencija russa, tuttavia, fraintende. Crede che Blok sia salito sul carro dei vincitori bolscevichi. Il poeta risponde allora con la lingua che gli è propria, scrive di getto e pubblica I dodici, il grande poema mistico in cui Gesù Cristo, cinto da una bianca coroncina di rose, capeggia una pattuglia di guardie rosse. La pubblicazione suscita il disprezzo e l'indignazione sia degli intelligenty, per i quali Blok diventa definitivamente un traditore, sia dei bolscevichi, per i quali il poeta, con il suo misticismo, non è altro che un nemico di classe. Nell'aprile del 1918, Blok termina "Gli ultimi giorni del potere imperiale", un resoconto preciso, scandito da un ritmo angoscioso, della fine della Russia zarista, poi smette di scrivere. Muore improvvisamente tre anni dopo dicendo nell'addio «la Russia mi ha mangiato come uno stupido maiale mangia il suo porcellino». I due testi, attentamente tradotti e curati da Igor Sibaldi, sono qui riuniti per la prima volta in un'unica edizione. "Gli ultimi giorni del potere imperiale" racconta della corte e dei ministeri; "I dodici" è ambientato tutto quanto nelle vie di Pietrogrado. "Gli ultimi giorni" vuole documentare, scrupolosamente, giorno per giorno, ora per ora, la disgregazione dello Stato, le responsabilità dei potenti, e usa, tristemente, severamente, il linguaggio dei salotti, dei corridoi, della burocrazia politica. "I dodici" è invece appassionato, per lo più gridato in linguaggio da strada. Ha, come Leitmotiv, le cadenze buffe di Savojarov, eccentrico poeta-cabarettista pietroburghese, celebre per il suo numero del malavitoso, amato da Blok, che andava spesso a vederlo nel teatro Minjatjur, quasi sotto casa; e Savojarov gli si rivolgeva dal palcoscenico, scherzava con lui, seduto in prima fila, lo parodiava improvvisando. "Un nemico di classe per i marxisti – scrive Igor Sibaldi nell'Introduzione -, un traditore per gli intelligenty (i frequentatori dei koncerty di poesia gridavano "traditore", quando sul palcoscenico qualcuno faceva il nome di Blok). Aveva voluto il disprezzo, l'indignazione: li aveva avuti. E a peggiorare la situazione ci fu l'amore del pubblico: I dodici furono il maggior successo editoriale di Blok, la prima tiratura fu di 300 copie numerate, la seconda, di lì a poco, di 10.000 copie, e altre edizioni seguirono. Blok riprese a lavorare a Gli ultimi giorni del potere imperiale, che terminò in aprile; e glielo pubblicarono l'anno seguente. Poi smise di scrivere."
DAL TESTO – "Lo zar passeggiò a lungo tra i treni; aveva un aspetto tranquillo. Mezz'ora dopo l'annuncio dell'abdicazione, Dubenskij stava seduto accanto a un finestrino e piangeva. Lo zar passò accanto al vagone in compagnia di Lejchtenbergskij, guardò Dubenskij con aria allegra, annuì e gli fece un saluto militare. «Può darsi sia stata una grande padronanza di sé» scrive Dubenskij «oppure una fredda indifferenza a tutto». Subito dopo l'abdicazione «il volto gli si era irrigidito; e salutava tutti con un inchino, mi tese la mano, e io quella mano la baciai. Eppure sono rimasto stupito: santo cielo, ho pensato, ma dove la trova tanta forza [...] poteva benissimo non venire da noi, nessuno lo obbligava». Tuttavia, «quando ha parlato a tu per tu con Frederiks di Aleksej Nikolaevič, è scoppiato in lacrime, lo so. E parlando con S.P. Fëdorov ha detto tra l'altro – giacché pensava che dopo l'abdicazione avrebbe potuto vivere in Russia come un qualsiasi privato cittadino -: "Non penserete certo che mi metterò a fare intrighi. Vivrò vicino al mio Aleksej e mi occuperò della sua educazione"»."
L'AUTORE – Aleksandr Blok (1880 - 1921, San Pietroburgo) è considerato il più grande poeta della cosiddetta «epoca d'argento della poesia russa», il periodo che va dalla fine dell'Ottocento fino alla Rivoluzione d'Ottobre.
INDICE DELL'OPERA – Introduzione. La fine di un mondo, di Igor Sibaldi - Gli ultimi giorni del potere imperiale - I. La situazione del potere - II. Gli umori della società russa e i fatti che precedettero il rivolgimento - III. Il rivolgimento - I dodici - Scenari de I dodici – Glosse, di Igor Sibaldi - Note |