Ribelli d'Italia Stampa E-mail

Paolo Buchignani

Ribelli d'Italia
Il sogno della rivoluzione da Mazzini alle Brigate rosse


Marsilio Editori, pagg.413, € 19,50

 

buchignani ribelli  IL LIBRO – Perché ancora oggi in Italia stenta ad affermarsi una cultura politica riformista? Per quale motivo persistono, tanto a destra quanto a sinistra, consistenti tracce di populismo e di estremismo? Perché abbiamo avuto il più grande Partito comunista dell'Occidente e non è riuscita a mettere radici una solida socialdemocrazia di tipo europeo? E su quale terreno affonda le radici il terrorismo, da noi così virulento? Il tentativo di rispondere a queste domande, più che mai attuali, non può prescindere da un'analisi della storia del nostro Paese che ponga al centro il mito della rivoluzione. Un mito non soltanto italiano, ma che in Italia si è dimostrato particolarmente vitale e incisivo. Un'idea potente e trasversale, fonte allo stesso tempo di grandi speranze e di luttuose tragedie: la patologia di un secolo, il Novecento, segnato da guerre e totalitarismi.
  In questo libro, Paolo Buchignani traccia un percorso che, dal Risorgimento agli anni di piombo, mostra la fortuna e la longevità della rivoluzione: «tradita», «incompiuta», via via corredata da varie denominazioni, così seducente e popolare da essere stata per tanto tempo, più o meno consapevolmente e strumentalmente, abbracciata anche da coloro che rivoluzionari non erano. Emerge con forza come, al di là della volontà di uomini, partiti, élite intellettuali, spesso mossi da sincere intenzioni di rinnovamento e di giustizia sociale, il richiamo alla rivoluzione abbia avuto esiti deleteri e abbia costituito un ostacolo rispetto all'affermazione di una cultura politica autenticamente democratica e riformista. Una cultura di cui, specialmente in questa fase storica, si avverte la necessità, per affrontare con efficacia le drammatiche sfide del nostro tempo.

  DAL TESTO – "E questo «mito fuorviante» ha segnato nel profondo la cultura politica del nostro Paese, coi suoi intellettuali, i movimenti, i partiti (eterogenei e contrapposti), in un arco temporale che si estende dal Risorgimento fino agli anni settanta del XX secolo: da Mazzini, Garibaldi, Pisacane ad Alfredo Oriani, un autore, in questo senso, come vedremo, fondamentale; dai vociani, ai futuristi, agli anarco-sindacalisti e a tutto l'interventismo rivoluzionario; dal socialismo massimalista al Mussolini socialista prima, animatore dell'interventismo e fondatore del fascismo sansepolcrista dopo; dall'esteta D'Annunzio coi suoi seguaci interventisti e fiumani al «padre» del comunismo italiano Antonio Gramsci e a quello dell'azionismo Piero Gobetti. E poi i tanti giovani scrittori, pubblicisti, artisti degli anni trenta (da Berto Ricci a Romano Bilenchi, da Vasco Pratolini a Elio Vittorini, da Ruggero Zangrandi a Felice Chilanti, a Fidia Gambetti, da Pietro Ingrao a Delio Cantimori), quasi tutti mossi da lodevoli, sincere aspirazioni di rinnovamento e di giustizia sociale, quasi tutti rivoluzionari nel fascismo prima, rivoluzionari nell'antifascismo, prevalentemente comunista, dopo il '45: cambia il colore politico, ma non l'idea che essi hanno della rivoluzione come palingenesi; un'idea che ritorna nei loro «figli» sessantottini, critici verso il presunto «moderatismo» o «tradimento» di Togliatti e di Berlinguer, come essi, in un'altra stagione, lo erano stati nei confronti non tanto del Duce (cui avevano attribuito la loro stessa volontà rivoluzionaria), ma dei gerarchi succubi o compiacenti dell'odiata borghesia «traditrice» del Risorgimento e del fascismo.
  "Tuttavia, è opportuno osservare che se tutti questi soggetti hanno una visione giacobina (e dunque totalitaria della democrazia), non tutti credono al millenarismo. A politici di razza, concreti, pragmatici, spregiudicati come Mussolini e Togliatti, per esempio, rimane davvero difficile attribuire quella fede. Certo, il primo aspirava a fondare la «nuova civiltà fascista» e il secondo quella comunista, ma l'uno e l'altro non erano e non furono disposti ad accettare le impazienze e gli estremismi di tanti loro seguaci, né ritenevano seriamente di creare il paradiso in terra. Il mito della rivoluzione fu da essi strumentalmente utilizzato per ragioni di consenso e di potere: cavalcato o accantonato a seconda dei tempi e delle circostanze. Il Duce si muove con abilità e spregiudicatezza, come rileva Renzo De Felice, tra «fascismo regime» e «fascismo movimento», alternando blandizie e reprimende nelle due direzioni; i segretari comunisti, a partire dal «Migliore», tengono un analogo comportamento non solo nei confronti della sinistra extraparlamentare (quando comincia prepotentemente a manifestarsi alla fine degli anni sessanta), ma anche verso le componenti interne: il «partito di governo» e quello «di lotta», il riformismo di Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano da un lato, il «movimentismo» di Pietro Ingrao (non a caso ex fascista rivoluzionario) dall'altro.
  "Il mito della «rivoluzione tradita e incompiuta» viene, dunque, utilizzato, sia da chi gli attribuisce un reale fondamento storico e crede alla possibilità di creare la «società perfetta», sia da leader più smaliziati e cinici, in funzione della strategia e della lotta politica; esso diventa, per tutti coloro che intendono fondare uno «stato nuovo» rispetto a quello esistente, una legittimazione, come si è detto, e un'autocandidatura ad assumere la guida del governo. Due condizioni dichiarate necessarie, per esempio dal fascismo, dal comunismo e dall'azionismo per completare il processo risorgimentale che il liberalismo borghese avrebbe lasciato interrotto, e, di conseguenza, per realizzare insieme la nazionalizzazione delle masse e un profondo rinnovamento sociale: obiettivi il cui raggiungimento ogni forza politica rivoluzionaria assegna, naturalmente, alla sua specifica rivoluzione."

  L'AUTORE – Paolo Buchignani (Lucca, 1953), studioso di storia della cultura italiana del Novecento, ha pubblicato numerosi saggi sulle avanguardie e sul fascismo, tra cui: "Un fascismo impossibile. L'eresia di Berto Ricci nella cultura del ventennio" (1994), "Fascisti rossi. Da Salò al Pci: la sconosciuta migrazione. 1943-53" (1998), "La rivoluzione in camicia nera. Dalle origini al 25 luglio 1943" (2006). Collabora a «Nuova Storia Contemporanea». È docente di Storia Contemporanea all'Università per Stranieri Dante Alighieri di Reggio Calabria.

  INDICE DELL'OPERA - Introduzione. Rivoluzione e totalitarismo - Dall'Unità al fascismo (1861-1922) (Alfredo Oriani: il «padre» della rivoluzione italiana - L'«aristocrazia nuova»: vociani, sindacalisti, futuristi - Radicalismo anarchico e socialista - La guerra rivoluzionaria - La «rivolta populista») - Tra le due guerre (1922-1945) (Gentiliani - Rivoluzione risorgimentale e rivoluzione fascista - Rivoluzione e nazione nel comunismo italiano - I socialisti e la rivoluzione - «La rivoluzione liberale») - Fascismo e antifascismo a cavallo della guerra (1938-1953) (Da una rivoluzione all'altra - Il mito della Resistenza tradita) - Dopoguerra (1945-1956) (Rivoluzionari della Fiamma - «Fascisti rossi» - Il Pci stalinista: dalla «guerra di classe» alla «rivoluzione evirata» - I «compagni di strada» di Botteghe Oscure) – Le origini del Sessantotto (1956-1968) (La terza «rivolta populista» - Il trauma del '56 - Incunaboli della nuova sinistra - La rivoluzione degli «operaisti» - La rivoluzione dei cattolici - La rivoluzione della destra radicale) - Il «lungo Sessantotto» (1968-1978) (Eredi dell'operaismo - «Studenti e operai uniti nella lotta» - Il Pci, il Sessantotto e oltre - Rivoluzione e lotta armata nell'ultrasinistra - Nazionalpopolari, Nuova Destra e terroristi) - Indice dei nomi