Mirella Serri
Un amore partigiano Storia di Gianna e Neri, eroi scomodi della Resistenza
Longanesi, pagg.224, € 16,40
Del drappello di partigiani che alla fine dell'aprile 1945 procedettero all'arresto di Benito Mussolini facevano parte anche Gianna e il capitano Neri, gli "eroi scomodi della Resistenza". Ma, come in un ritratto da cui sono stati rimossi tanti dettagli, nei manuali e nei tanti libri che hanno ricostruito il complicato intreccio della fuga del Duce e di Claretta Petacci, le immagini dei due partigiani citati sembrano essere state eliminate con il photoshop. Mirella Serri ricostruisce la loro storia fino al tragico epilogo, facendo luce su una vicenda sapientemente oscurata per decenni dalla vulgata resistenziale. Nelle ore più convulse della storia d'Italia, spiega l'Autrice, Gianna e Neri "ebbero in pugno la sorte di Mussolini e pure quella dell'immenso bottino portato via all'Italia e agli italiani e che fu sequestrato dai partigiani al corteo di fedelissimi che accompagnava il Duce in fuga. Non solo su di lei ma anche sul suo compagno pesava una terribile spada di Damocle, una sentenza formulata non dalle brigate nere, che pure li avevano tenuti in prigionia, bensì proprio dai loro compagni di lotta". Neri era il nome di combattimento che Luigi Canali aveva scelto per simpatia verso i ribelli abissini da cui aveva appreso le tecniche della guerriglia. Egli era odiato sia dai militi della Gnr sia dai partigiani garibaldini, "che lo consideravano un nemico dei metodi stalinisti e un simpatizzante degli Alleati", con i quali "aveva preso contatto trovando accoglienza e rifugio, con l'aiuto di Gianna, per i prigionieri inglesi, serbi, croati, francesi arrivati a Lecco in fuga dal campo di concentramento di Grumello del Piano, vicino a Bergamo". Neri, inoltre, disapprovò l'uccisione di Mussolini, confidando a sua madre Maddalena che la scomparsa del Duce aveva avuto per conseguenza la perdita di un "prezioso patrimonio di notizie, segreti, informazioni". Sarebbe stato meglio, invece, "tenere un regolare processo, a suo parere. Diffidava del colonnello Valerio che al confino di Ponza si era allontanato dai compagni con cui era incarcerato e aveva collaborato con gli sgherri del regime. Aveva chiesto e ottenuto la grazia dal Duce, ovvero l'uomo su cui aveva poco prima tentato di scaricare il suo mitra Thompson che però si era inceppato. Ed era stato soccorso in quel frangente dal Mas calibro 7,65 di Moretti e dalla Beretta modello 1934, calibro 9 mm, di Aldo Lampredi, combattente con un impermeabile color ghiaccio e con gli occhiali cerchiati di metallo altrettanto glaciali. Aveva dato lui, probabilmente, il colpo di grazia a Mussolini e forse pure a Claretta". Dopo la Liberazione, Neri cominciò a temere per "per l'incolumità sua e di Gianna. I garibaldini che operavano in modi che lui deprecava e non condivideva avrebbero potuto anche attentare alla sua vita. Ma la questione che più lo assillava, per il momento, era il chiarimento politico. Voleva che i combattenti garibaldini che avevano condannato lui e la Gianna riconoscessero i loro errori". Egli voleva discutere anche e soprattutto la destinazione del "tesoro" di Dongo, il cospicuo bottino che la 52° Brigata partigiana aveva sottratto alla colonna che seguiva il Duce e di cui il Pci era stato designato "quale custode temporaneo". L'atteggiamento di Neri, la sua autonomia di giudizio "pronta a denunciare autoritarismo e truffe varie, infastidivano e disturbavano. Finivano per mettere i bastoni tra le ruote di chi pensava alla guerra in termini di antagonismo contro i possidenti e come anticipazione di un futuro di stampo sovietico". Egli ormai era diventato una figura scomoda e ingombrante: così, nella notte fra il 7 e l'8 maggio 1945, venne assassinato, mentre Gianna era stata imprigionata per "tutto il tempo necessario a mettere in atto l'esecuzione". Di lì a poco anche Gianna conobbe una sorte analoga. "La tragica avventura di Gianna e Neri – scrive Mirella Serri - si presenta [...] non solo come un episodio della Resistenza ma anche della post-Resistenza, un periodo durato anni, in cui ci si rifiutò di far luce su quell'intreccio di omertà, di paure e di reciproche coperture che alla fine frutteranno carriere, riconoscimenti, onori. Questa storia ci riporta anche ai conflitti interni alle bande partigiane al tempo della loro organizzazione in strutture militari. A una lotta per la sopravvivenza molto più difficile, aspra, dolorosa di quanto non appaia da tanti racconti, a volte edulcorati, della guerra partigiana". |