Le guerre attuali nell’analisi del Gen. Fabio Mini |
Le guerre attuali nell’analisi del Gen. Fabio Mini Intervista a cura di Francesco Algisi
Fabio Mini (Manfredonia, 1942) si è laureato in Scienze strategiche per poi perfezionarsi in Scienze umanistiche presso l’Università lateranense e in Negoziato internazionale presso l’Università di Trieste. Generale di corpo d’armata, ha comandato tutti i livelli di unità da combattimento e ha prestato lunghi periodi di servizio negli Stati Uniti, in Cina, nei Balcani e nella Nato. È stato capo di stato maggiore del Comando Nato per il Sud Europa che, a partire dal gennaio 2001, ha guidato il Comando interforze delle operazioni nei Balcani. Dall’ottobre 2002 all’ottobre 2003 è stato comandante della forza internazionale di pace a guida Nato in Kosovo (Kfor). Tra i vari incarichi è stato portavoce del capo di stato maggiore dell’Esercito italiano e, dal 1993 al 1996, ha svolto la funzione di addetto militare a Pechino. Ha inoltre diretto l’Istituto superiore di stato maggiore interforze (Issmi). Commentatore di questioni geopolitiche e di strategia militare, scrive per Limes, la Repubblica, l’Espresso e Il Piccolo. Membro del Comitato scientifico della rivista Eurasia, è autore di diversilibri, tra cui La guerra dopo la guerra. Soldati, burocrati e mercenari nell’epoca della pace virtuale (Einaudi, 2003), Soldati (Einaudi, 2008), Eroi della guerra. Storie di uomini d’arme e di valore (il Mulino, 2011), Perché siamo così ipocriti sulla guerra? Un generale della Nato racconta (Chiarelettere, 2012) e Mediterraneo in guerra. Atlante politico di un mare strategico (Einaudi, 2012). Gen. Mini, lei scrive (1) che “i falsi pretesti” per fare la guerra non “si accompagnano necessariamente all’ipocrisia, specialmente quando sono palesemente falsi e incredibili”. Che cosa significa? La menzogna plateale e palese, ciò che è chiaramente una balla, è già una forma indiretta per dire la verità. Quindi l’ipocrisia cade, almeno per quelli che colgono la balla per quello che è. Purtroppo ci sono ancora molti al mondo che non sanno discernere bene tra una balla e la verità e allora per questi l’ipocrisia è necessaria. Riguardo alla guerra all’Iraq del 2003, lei scrive: “Di certo furono ipocriti quei capi di governo che autorizzarono l'intervento delle proprie truppe al fianco degli americani pur conoscendo la verità e sacrificandola sull'altare della sudditanza” (2). Allude al governo italiano? Anche ma non solo. Nel 2003 gli stessi inglesi sapevano benissimo che l’avventura irachena sarebbe stata un disastro, ma decisero di stare comunque con gli americani sperando di essere più furbi e di guadagnarsi lucrosi contratti di ricostruzione. Finsero di credere alle balle delle armi di distruzione di massa e abbandonarono perfino i Balcani. Le “ultime guerra balcaniche” miravano “allo smantellamento della Iugoslavia” (3), mentre con i bombardamenti del 1999 “forse” si voleva punire la Serbia “per aver eletto liberamente e democraticamente Milošević” (4). Come si spiegano questi fatti? Lo smantellamento della Yugoslavia era un progetto preciso perseguito già durante la guerra fredda. La punizione della Serbia per aver eletto democraticamente Milosevic è una nota di sarcasmo ma non peregrina sul piano reale. Paradossalmente la prima guerra della Nato non è stata fatta contro un regime autoritario o illegale, ma contro un leader serbo per la prima volta democraticamente eletto. Del resto gli Stati Uniti e altri paesi Nato non danno gran peso alla democrazia altrui e nel Mediterraneo hanno dimostrato di sostenere molto di più i regimi autocratici e autoritari che quelli (pochi) democratici. Il rafforzamento dell’Iran conseguente al rovesciamento del regime di Saddam Hussein in Iraq (5) è stato un fatto imprevisto? Era prevedibile, largamente considerato da molti analisti e da molti anni, ma ignorato nel momento della decisione del 2003. Sulla stabilità della regione e sull’equilibrio dei poteri contrapposti tra sciiti, sunniti e curdi, tra regimi laici e regimi fondamentalisti, tra socialisti e capitalisti, tra Arabia saudita, Emirati, Iran, Iraq, Oman, Yemen, Israele, Siria, Turchia ecc. sono prevalse le ragioni degli affari e dell’esercizio della forza come dimostrazione di potenza. Sfortunatamente la dimostrazione è stata forte dal punto di vista esclusivamente militare (e ci sarebbe pure mancato che non lo fosse). Per il resto questa logica ha soltanto eroso il prestigio americano e la sua capacità di controllo politico globale. La multipolarità è la conseguenza del fallimento dell’unipolarità che si voleva affermare. Che cosa intende quando scrive che “l'unica "speranza" americana è che [la Cina], magari con un aiutino, si sbrighi a diventare una minaccia seria” (6)? Ci sono studiosi e pianificatori statunitensi e anche nostrani (europei e italiani) che “rimpiangono” la guerra fredda e la contrapposizione dei blocchi, che non sanno sviluppare alcuna strategia perché non riescono a individuare bene un avversario comparabile. Per questi pianificatori, collegati al mondo di coloro che traggono profitto dai conflitti, la stessa pace è una minaccia e quindi la loro segreta (ma non troppo) speranza è che si realizzi presto un competitore o meglio antagonista globale per ripristinare le logiche e le strategie della guerra fredda e del contenimento. La Russia non sembra avere né la forza né la voglia di diventarlo e allora rimane solo la Cina. Su questa possibilità molti stanno già “investendo”, alimentando i sospetti e le paure del nemico giallo. Qual è l’aspetto “imbarazzante” delle recenti “iniziative europee” (7)? Che con la potenza militare di cui dispone l’Europa (la somma delle forze armate dei 27 Paesi dell’UE è superiore in uomini e mezzi a quella russa e a quella americana), nonostante le enormi risorse spese nel mantenimento di 27 eserciti non sia riuscita né a sviluppare una politica di difesa autonoma, né una politica estera, né uno strumento prontamente impiegabile e, soprattutto, comune ed integrato. Per carità di patria (europea) ho definito questo “imbarazzante” ma penso che sia un vero scandalo. Lei parla di un “ampio movimento nazionalsocialista di distacco delle regioni del Nord [Italia] dall'autorità statale” (8)… Mi riferisco a quelle fazioni della Lega che minacciano il ricorso alla rivolta e persino alle armi o ad altri sistemi di separazione e discriminazione di stampo nazionalista in nome di una entità storicamente inventata e culturalmente inesistente. A proposito della Nato, chi sono gli “agitatori guerrafondai e predicatori da salotto” (9)? L’infinita schiera di gente che non sapendo come risolvere i vecchi problemi cerca di crearne di nuovi. Nelle file dei neocons americani erano praticamente presenti sia i guerrafondai apertamente schierati sul piano degli affari e dei profitti di guerra come Wolfowitz, Rumsfeld, Libby, ecc. sia i predicatori ideologi, intolleranti e razzisti come Kristol. I corridoi della Nato sono pieni di postulanti per conto delle industrie belliche e di ideologi che predicano l’intolleranza e l’uso della forza come mezzo principale per l’esercizio del potere. Sfortunatamente hanno successo. Perché gli Usa vogliono che Assad lasci il potere in Siria (10)? Perché non hanno capito niente della Siria così come non hanno capito niente del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale. Per coprire la loro ignoranza sui motivi e gli sviluppi delle rivolte arabe ora cercano di far credere che l’abbattimento dei regimi islamici sia una loro politica deliberata, una strategia. In realtà sono stati colti di sorpresa e non sanno che pesci pigliare. Paradossalmente stanno riprendendo con una amministrazione democratica le stesse iniziative prese dai neocons di Bush II e che hanno portato al disastro iracheno e a quello afgano. In base a quali elementi ritiene improbabile “un confronto diretto tra Washington e Teheran nel prossimo futuro” (11)? I rischi politici di deflagrazione mediorientale sono troppo alti per gli stessi Stati Uniti. Il progetto americano della creazione di un Grande Medio oriente poggia su un Iran che cooperi e non che sia destabilizzato. D’altra parte le forze politiche iraniane, a prescindere dalle dichiarazioni velleitarie e palesemente propagandistiche di Ahmadinejad, sono contrarie a provocare uno scontro diretto con gli Stati Uniti. Per questo non lesinano minacce contro Israele, che rimane il vero nemico dell’Iran, cercando di minare i rapporti con gli Usa. La strategia iraniana è rivolta a fare del paese un ago della bilancia proprio all’interno del Grande Medio Oriente voluto dagli americani. In questo disegno non c’è posto per Israele e la priorità iraniana è quella di scollegare Israele dagli americani. Le guerre americane contro l’Iraq e l’Afghanistan possono essere considerate “deludenti” (12)? Assolutamente sì. Nessuna delle aspettative e degli obiettivi delle guerre sono stati raggiunti. L’Iraq non è stabile, non è nella sfera americana ma è in quella iraniana, il petrolio non copre i fabbisogni, i governi sono labili, il terrorismo dilaga e le compagnie petrolifere americane hanno bisogno di decine di migliaia di soldati e mercenari per sopravvivere. Inoltre la promessa che l’abbattimento del regime di Saddam avrebbe fatto scendere il prezzo del petrolio a 10 (dieci) dollari al barile si è rivelata per quello che è: un clamoroso errore di valutazione o, meglio, un pretesto per la guerra palesemente disatteso. In Afghanistan la delusione è persino più evidente: per andarsene o per restare bisognerà scendere a patti con coloro che finora sono stati chiamati talebani e che comandano le milizie, gestiscono la droga, corrompono e sono corrotti. Come si spiegano i finanziamenti elargiti dagli Usa agli apparati militari di diversi Paesi del Mediterraneo e del Vicino Oriente? Ufficialmente è cooperazione militare, in realtà è mantenimento di una dipendenza infinita e il modo per imporre politiche favorevoli. Non lo fanno solo gli americani. Lo hanno sempre fatto i russi e in maniera più velata lo fanno i cinesi che tuttavia preferiscono i finanziamenti per progetti infrastrutturali in cambio di risorse strategiche. La Cina non sta creando una dipendenza militare diretta, ma una dipendenza economica e strutturale senza imporre condizioni sociali e politiche capestro come invece fanno il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale manovrate dagli americani. L’Egitto ha però dimostrato che non sempre i soldi americani garantiscono la piena obbedienza. La giunta militare di Mubarak da vent’anni riceve dagli americani un finanziamento di 1,3 miliardi di dollari all’anno con l’impegno di spenderli in armamenti forniti dagli stessi Stati Uniti. In realtà è la triangolazione di un finanziamento statale americano alle proprie industrie. Negli ultimi 3 anni la giunta militare aveva cominciato a spendere quei soldi per comprare armi anche da altri paesi (Russia, per esempio) oltre che continuare ad intascarne una buona parte per arricchimenti personali.
NOTE: (1) Fabio Mini, Perché siamo così ipocriti sulla guerra? Un generale della Nato racconta, Chiarelettere, 2012, pag.7 (2) Ivi, pag.26 (3) Ivi, pag.32 (4) Ivi, pag.33 (5) cfr. Fabio Mini, Mediterraneo in guerra. Atlante politico di un mare strategico, Einaudi, 2012, pag.6 (6) Ivi, pag.42 (7) Ivi, pag.56 (8) Ivi, pag.78 (9) Ivi, pag.130 (10) Ivi, pag.149 (11) Ivi, pag.201 (12) Ivi, pag.305
23 luglio 2012 Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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