Il profumo del nichilismo. Intervista con Luigi Iannone Stampa E-mail

Il profumo del nichilismo. Intervista con Luigi Iannone

a cura di Francesco Algisi

 

iannone_profumodelnichilismo  Luigi Iannone, nato a Caserta, ha scritto per le pagine culturali di quotidiani nazionali ed è saggista per varie riviste di cultura politica. Già componente dell’Osservatorio Sguardo Giovani presso il Ministero delle Comunicazioni (Commissione per l’assetto radio-televisivo) e funzionario presso il Garante della Privacy, è tra i fondatori dell’ISIS (Istituto Italiano di Scienze Sociali) di Napoli. Dal 2011 è membro del Consiglio Accademico dell’Istituto di Alti Studi Strategici e Politici di Milano (IASSP). Nel 2003 ha vinto il Premio Nazionale della Cultura istituito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’attività saggistica. Curatore del saggio di Ernst Nolte, La rivoluzione conservatrice nella Germania della Repubblica di Weimar (Soveria Mannelli, 2009), è autore dei seguenti volumi: Il 1799 in Terra di Lavoro. Storia, storiografia e controrivoluzione (Napoli, 1998), Un conservatore atipico. G. Prezzolini. Intellettuale politicamente scorretto (Roma, 2003), Tolkien e Il Signore degli Anelli (Napoli, 2003), Jünger e Schmitt. Dialogo sulla modernità (Roma, 2009), Storia, Europa e Modernità. Intervista a Ernst Nolte (Firenze, 2008), Il suicidio dell’Occidente. Libro-intervista a Roger Scruton (Firenze, 2010), Manifesto antimoderno (Soveria Mannelli, 2010). Da poche settimane è in libreria il suo nuovo saggio, Il profumo del nichilismo (pagg.144, € 11,00), edito da Solfanelli con la prefazione di Alain de Benoist. 

  Dottor Iannone, come va inteso il titolo del suo libro, Il profumo del nichilismo?

  In senso generale, quando parliamo di nichilismo ci riferiamo ad una idea filosofica ricorrente che è quella dell’inesistenza dell’assoluto (o dell’Essere). In questo libro, diversamente dai precedenti, faccio riferimento alle ricadute sociali e ai pericoli di una simile concezione sulla vita di tutti i giorni: la cieca fiducia nella scienza, la colonizzazione di un immaginario consumistico, una visione materialistica ed utilitaristica, sono tematiche che toccano ognuno di noi e dalle quali non sappiamo in alcun modo sottrarci.

  Il processo nichilistico è l’inevitabile conseguenza della civilizzazione (come sembra trasparire da pag.22)?

  Non so se il processo nichilistico sia una conseguenza inevitabile di quella che comunemente definiamo civilizzazione. Di certo si compenetrano a vicenda. Dietro il diritto alla felicità che è l’idea fondante del nostro tempo si celano contraddizioni enormi che non riusciamo e, forse, non possiamo sciogliere.

  Come spiega l’immenso spazio concesso – “con autocompiacimento” (cfr. pag.22) - dagli organi di informazione alle brutture contemporanee?

  Lo spiego con il fatto che la qualità si confonde con la quantità, il valore artistico con quello economico, la bellezza con il kitsch, e così via. Piero della Francesca, la Commedia di Dante, i Cantos di Pound, le opere di Michelangelo o i versi di Leopardi richiedono un approccio spirituale oltre che uno sforzo culturale; il dito medio di Cattelan o il teschio con diamanti di Damien Hirst non richiedono alcunché per la loro comprensione ma mobilitano folle immense di visitatori, riviste specializzate, quotidiani popolari, tv e critici d’arte. Lo stesso discorso può essere fatto per un atto di una nobiltà unica come la beneficenza che rimanda ad una cultura del dono oramai sparita e che invece subisce un uso strumentale da parte di chi vuole promuovere, grazie a questo atto, la sua immagine pubblica.

  Se lei dovesse scegliere – parafrasando l’“abile sofisma retorico” (pag.24) di Maurizio Ferraris – “tra il vivere fra 300 anni o 300 anni fa”, come risponderebbe?

  Probabilmente sceglierei di vivere fra 300 anni perché forse la scienza medica avrà scoperto nuovi farmaci e debellato tremende malattie. Ma io parlo di abile sofisma retorico perché sono dei tranelli linguistici ai quali la filosofia - da Socrate in poi - ci ha abituato. La questione da porre è invece un’altra: siamo certi che inseguire il progresso scientifico ed economico senza correlarlo ad una crescita spirituale sia l’unica via d’uscita? Che il nostro rapporto con il sacro si manifesti dai frequenti applausi ai funerali o in chiesa, oppure dagli “ola” da stadio per il Papa di turno? Che la nostra sete di conoscenza si qualifichi solo per l’ultimo Tablet comprato o per le molteplici funzioni del telefono cellulare? Che l’etica debba definitivamente abdicare di fronte alla biotecnologia? Che per garantire le esigenze dell’uomo si possa deturpare la natura e il paesaggio?

  Quali sono gli “storici limiti” (pag.24) da cui l’umanità si è affrancata grazie alla civilizzazione?

  Due sono enormi, e sotto gli occhi di tutti. L’azzeramento del tempo e dello spazio è un fatto nuovo nella storia dell’umanità. Oggi raggiungiamo in meno di un’ora luoghi distanti centinaia di chilometri, oppure siamo in video-conferenza con l’altro capo del mondo. Inoltre, la comunicazione globale ci garantisce un flusso continuo ed impetuoso di informazioni e di immagini. E tutto ciò è un bene. Peccato che diventi sempre più complicato discernere ciò che è utile da ciò che è superfluo e, peggio ancora, ciò che viene lanciato nell’agone mediatico per far confondere le acque o ciò che aiuti una comprensione oggettiva dei fatti e delle idee.

  A che cosa allude quando scrive che “l'irruzione definitiva della tecnica in ogni anfratto della vita sociale ci ha privato di molte barriere difensive anche in campo etico” (pag.38)?

  Il fatto che l’uomo moderno possa superare molte barriere grazie ai progressi della scienza è elemento positivo e quindi non secondario; tuttavia, in passato, la comunità, le religioni, le ideologie, lo Stato e ogni altra organizzazione sociale, politica o religiosa fungeva da ammortizzatore e difendeva il singolo individuo dalle fughe in avanti. Oggi, questi limiti paiono sempre più sfuggenti. Non si tratta di chiuderci al futuro anche perché è operazione inutile. Ma almeno decidere cosa sia giusto mantenere e cosa lasciare alle nostre spalle.

  Com’è concepibile un “umanesimo senza uomo” (cfr. pag.73)?

  Definisco “umanesimo senza uomo” il nostro modello di civiltà che fa della libertà e della democrazia i suoi totem, ma al contempo moltiplica regole, norme e leggi in ogni campo e per ogni aspetto del vivere individuale e sociale. Siamo continuamente sottoposti a bombardamenti mediatici che ci invitano più o meno direttamente ad essere più snelli, ad avere un determinato stile di vita, a pensare in un certo modo, a tener fuori la sfera del sacro dalla nostra vita, a credere ciecamente nel capitalismo anche quando le sue crisi provocano effetti devastanti quanto delle guerre, eccetera. Insomma, un modello costruito intorno ad un’idea filosofica dell’uomo e non sull’uomo concreto.

  È possibile sottrarsi al “profumo del nichilismo”?

  Ho poco fiducia che questo possa accadere, anche se intimamente lo spero. Non a caso ho usato il termine “profumo”, proprio per indicare un qualcosa che stimola sensazioni gradevoli. Un benessere effimero e - a lungo andare - deleterio, ma pur sempre benessere. Perciò, per dirla con Heidegger, ormai solo un Dio ci può salvare. Perché credo che nel prossimo futuro la Tecnica continuerà imperterrita il suo corso e la politica come dimensione sociale dell’individuo avrà uno spazio di azione ancora più ristretto di quello attuale. Siamo chiusi in una morsa che si fa sempre più stretta.

 

4 giugno 2012

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