Né con Truman né con Stalin. Intervista con Sandro Saggioro Stampa E-mail

Né con Truman né con Stalin. Intervista con Sandro Saggioro

a cura di Francesco Algisi

 

saggioro_pcint  Sandro Saggioro (1949), laureato in Medicina e Chirurgia, specialista in chirurgia d'urgenza, ha lavorato, come chirurgo, in vari ospedali della provincia di Padova. Dal 2002 al 2007 ha fatto parte del comitato scientifico della Fondazione Amadeo Bordiga. Ha curato il volume Comunismo e fascismo, uscito anonimo nel 1992 per i tipi della Editing di Torino; ha pubblicato con Arturo Peregalli, per la casa editrice Colibrì, Amadeo Bordiga: Bibliografia (1995) e Amadeo Bordiga. La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945) (1998); ha curato con Paolo Casciola il n. 31, settembre-ottobre 2001, dei Quaderni Pietro Tresso Omaggio ad Arturo Peregalli e come autore il n. 57, giugno 2006, Gli ultimi anni di Victor Serge e il n. 64, marzo 2008, Scienza e politica in Amadeo Bordiga. È altresì autore del recentissimo Né con Truman né con Stalin (Colibrì, pagg.416, Euro 22,00), in cui ha ricostruito la storia del Partito Comunista Internazionalista dal 1942 al 1952.

  Dottor Saggioro, lei riporta nel volume numerosi testi “praticamente sconosciuti, un materiale storico lasciato nei cassetti, quando non distrutto” (cfr. pag. 33). Come si spiega l’oblio subìto da tale documentazione?

  Non solo testi e documenti che riguardano il P.c. internazionalista sono oggi dimenticati e non ricordati, ma è misconosciuta l'esistenza stessa di questa formazione politica. Ciò è dovuto non solo alla sconfitta subita da parte dello stato ma anche a quella subita da parte del P.c.i. che non poteva permettere l'esistenza di una forza politica che potesse contrastarlo nella rappresentanza della classe operaia e del proletariato. La Russia doveva essere l'emblema del socialismo e solo chi si legava ad essa poteva avere un ruolo rappresentativo nel proletariato. Chi additava la Russia come paese capitalista e promuoveva una politica autonoma del proletariato doveva essere cancellato ed estirpato. Bisogna aggiungere anche che questo processo di marginalizzazione è connesso, come conseguenza inevitabile, alle posizioni del Partito in materia di tattica e altresì in conformità al suo giudizio circa la natura della fase storica in cui si trovava ad operare.

  In una lettera indirizzata a “una stretta cerchia di compagni” nel 1948 (cfr. pag.150), Bordiga osservò che “qualche migliore buona possibilità poteva venire caso mai – avendo noi le mani pulite da ambo i partigianismi, naturalmente – proprio dalla vittoria militare dei fascismi, meglio detto, della sconfitta dei paesi capitalistici democratici e della Russia”. “Caratteristica dei comunisti internazionalisti sarà […] il rifiuto di ogni crociata antifascista” (cfr. pag. 32). Egli, in una lettera a O. Perrone, scrisse tra l’altro: “perderà Hitler, peccato” (cfr. pag. 108).  Perché – come si legge a pag.26 – per Bordiga, durante la Seconda guerra mondiale, la “preferibile” disfatta dell’imperialismo angloamericano “avrebbe reso più precari gli equilibri della società capitalistica del dopoguerra”? Tale posizione non esponeva il P.c. internazionalista all’accusa di essere al servizio dell’Asse?

  Nel volume Amadeo Bordiga. La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945) (Colibrì, Milano, 1998), scritto con Arturo Peregalli alla fine degli anni novanta (e a Peregalli  il libro di oggi è dedicato), riguardo alla Seconda guerra mondiale si legge: «Da parte sua, Bordiga non riteneva che la guerra che stava travolgendo l'Europa e gli altri continenti potesse essere portatrice di eventi rivoluzionari, come era avvenuto nel conflitto precedente. Il proletariato aveva subito una sconfitta epocale dalla quale gli era difficile riprendersi in pochi anni e, in ogni caso, tutti gli Stati, sia democratici che totalitari, vegliavano attentamente affinché non riacquistasse la sua indipendenza politica.
  «A suo modo di vedere, in questo conflitto il proletariato avrebbe dovuto mantenere da un punto di vista di principio, un atteggiamento di assoluta autonomia. Poiché la seconda guerra mondiale non era altro che una riedizione della Prima, il comportamento dei rivoluzionari non doveva mutare. Se fosse stato possibile, i comunisti avrebbero dovuto attuare la tattica di Lenin e degli internazionalisti nel primo conflitto mondiale, tentando di trasformare lo scontro imperialista in guerra civile. In mancanza di questo sbocco, senza parteggiare per l'una o l'altra parte, sarebbe stata preferibile la disfatta degli imperialismi più forti, di vecchia formazione democratica, perché ciò avrebbe reso più precari gli equilibri della società capitalistica del dopoguerra. Da un punto di vista metodologico e di analisi, il fatto di mantenersi estraneo agli schieramenti in lotta e, nello stesso tempo, di esprimere un giudizio sull'esito dello scontro non significava allontanarsi dalla tradizione comunista. Nel corso della Prima guerra mondiale, lo stesso Lenin aveva espresso apprezzamenti sull'esito del conflitto nella eventualità che il proletariato mondiale non fosse stato in grado di scatenare una rivoluzione internazionale. Nel caso specifico del suo Paese, Lenin aveva sostenuto che la sconfitta della Russia sarebbe stata più che desiderabile perché avrebbe sicuramente avvantaggiato il proletariato russo. E in quella guerra la Russia era alleata delle potenze democratiche in lotta contro il "militarismo prussiano". La tesi di Bordiga si basava sull'ipotesi che se la Germania, invece di rivolgersi contro la Russia, avesse dopo Dunkerque, colpito a fondo la Gran Bretagna il crollo di questa “avrebbe sommerso il capitalismo mondiale o per lo meno lo avrebbe travolto in una crisi spaventosa, mettendo in moto le forze di tutte le classi e di tutti i popoli straziati dall'imperialismo e dalla guerra, e forse invertendo tremendamente le direttive sociali e politiche del colosso russo ancora inattivo”. (Il corso storico del movimento di classe del proletariato Guerre e crisi opportunistiche Prometeo, n. 6, marzo-aprile 1947, pag. 265).
  Se lo scenario di Bordiga è impossibile da verificare, perché i rapporti di forza tra i due blocchi militari erano nettamente favorevoli agli Alleati, egli l'aveva nondimeno posto come possibilità. A interessarlo non erano i risultati immediati del conflitto, bensì il fatto che gli eventi aiutassero ad abbreviare i tempi del processo rivoluzionario. Oltre a teorizzarla nei suoi scritti del secondo dopoguerra, Bordiga rivendicò questa idea mentre l'immane conflitto era ancora in corso. E ciò costituì un nuovo motivo di scandalo sia per i comunisti fedeli alla nuova linea di Mosca sia per tutti i democratici impegnati a sostenere lo sforzo bellico contro il nazifascismo». (pp. 229-230)
  Due parole ancora sulla questione «fascismo-antifascismo». Per Bordiga «il più disgraziato e pernicioso prodotto del fascismo è l'antifascismo» (La classe dominante italiana e il suo stato nazionale Prometeo, n. 2, agosto 1946, pag. 71) .
  Infine, certamente il P.c. internazionalista fu accusato dal P.c.i. di essere al servizio dell'Asse ma questo soprattutto per il suo rifiuto di aderire alla lotta partigiana  e per la posizione che non faceva distinzione tra le potenze che si combattevano ma le vedeva, da una parte e dall'altra, espressioni borghesi e quindi da combattere da parte del proletariato. Alcuni compagni internazionalisti, come è scritto nel libro, furono uccisi per questo da elementi del P.c.i.

  Qual era la prova “matematica” (pag. 58) che Bordiga adduceva nel 1943 per dimostrare che la Germania non avrebbe potuto vincere la guerra?

  "Provare matematicamente" viene utilizzato fra virgolette in maniera ironica come modo di esprimersi di una persona per cui ogni ragionamento ha una base scientifica e quindi anche "matematica". Dopo il 1943 era ormai chiaro che da un punto di vista militare (ed economico) si andava manifestando la netta supremazia degli anglo-russi-americani rispetto alla Germania e quindi una facile previsione per l'esito della guerra.

  Può riferire qualche particolare riguardo ai rapporti intercorsi tra i comunisti internazionalisti e il gruppo di Ruggero Zangrandi (cui allude a pag. 40)?

  L'unico legame esistente tra gli internazionalisti e il gruppo di Ruggero Zangrandi (il Partito socialista rivoluzionario nato nel dicembre del 1939) fu la provenienza di Vittorio Faggioni  da quella esperienza.

  E tra Bordiga (e Fortunato La Camera) e Mino Maccari (cfr. pag.76 n. 138)?

  Tra Bordiga e Maccari non ci risulta alcun rapporto. Maccari nel suo libro Visita al confino (Cultura calabrese editrice, Marina di Belvedere M (Cs), 1985) che raccoglie un suo reportage in undici puntate pubblicato su La Stampa nel settembre del 1930, parla con simpatia del suo incontro con Fortunato ("Natino") La Camera. Oltre alle "lunghe conversazioni" avvenute in quel periodo non ci risulta che il contatto tra i due sia continuato.

  Si registrò qualche contatto tra i comunisti del P.c. internazionalista e Nicola Bombacci durante la RSI?

  Nel periodo della RSI non ci fu nessun contatto tra comunisti internazionalisti e Bombacci. Questi cercò invece, quando nel 1936 pubblico La Verità, di contattare Bordiga. In un rapporto di polizia, citato in Amadeo Bordiga la sconfitta e gli anni oscuri è infatti scritto (pag. 223): “Bordiga pensava che Mosca non fosse estranea al tentativo di Bombacci di fondare una rivista in cui si propugnava l'alleanza tra il fascismo italiano e il comunismo russo. «Non è quindi da escludersi - egli diceva - che il gesto di Bombacci non sia un atto personale, e, comunque, isolato. La pubblicazione della sua rivista (a parte l'episodio dell'invito fatto a me di collaborarvi - e ripetutomi a mezzo di mio cognato - invito che il povero Bombacci, nella sua desolante mentalità avrà potuto rivolgere ad altri nelle medesime condizioni e circostanze) può effettivamente rappresentare una corrente d'idee assai più vasta e profonda di quanto può credere chi non è abituato a considerare i fatti, o a considerarli solo superficialmente... Ti dirò di più... Non è da escludersi che Mosca non sia estranea a questa pubblicazione, se non la ha addirittura incoraggiata... e sovvenzionata»”.

  È possibile quantificare il seguito del P.c. internazionalista nel periodo 1943-1945?

  È difficile quantificare la consistenza numerica dei militanti del partito internazionalista che probabilmente si aggirava, fra il ’43 e il ’45, attorno al  migliaio; in certe situazioni particolari e locali (e questo è riferito al Sud) il partito trascinò, in momenti di lotta, parti non trascurabili della classe operaia e del proletariato.

  Nei rapporti a Mussolini sulla stampa clandestina durante la Repubblica sociale, la rivista dei comunisti internazionalisti «Prometeo» era definita – cfr. pag. 53 – l’unico giornale “indipendente”, “il più interessante e preparato”, fautore di “un socialismo puro, indubbiamente trotzkista”…

  Il rapporto della polizia fascista a Mussolini va preso come tale, cioè sostanzialmente corretto nell'informazione che fornisce.

  Quali erano i rapporti tra il P. c. internazionalista e il movimento trotzkista italiano e internazionale?

  In quegli anni non c'erano rapporti tra il movimento internazionalista e il trotzkismo (che in Italia stava vivendo una genesi tormentata: il P.O.C. (Partito Operaio Comunista) nato nel 1945 dall'unificazione tra la formazione diretta da Nicola Di Bartolomeo e dalla federazione pugliese del Pci capeggiata da Romeo Mangano, stava per essere espulso dalla IV Internazionale; nel 1948 usciva il primo numero di Quarta Internazionale e per il gennaio 1949 veniva convocata la prima conferenza del movimento trotzkista in Italia). Bordiga conosceva ad esempio Libero Villone e forse qualche altro elemento, ma nulla di più.

  Come va intesa la “concezione rigorosamente antidemocratica” (pag. 106) del P.c. internazionalista?

  Se per "democrazia" si intende l'organizzazione formale (contrapposta alla "dittatura") del dominio politico della borghesia, il P.c. internazionalista rivendicò sempre un suo antidemocraticismo.

  Fra i comunisti internazionalisti fu controversa la partecipazione del Partito alle elezioni abbinate al referendum del 2 giugno 1946 (cfr. pag. 126)…

  Bordiga fu contrario alla partecipazione elettorale sia nel 1946 che nel 1948. Nel libro, a pag.138, è citato un suo commento riferito alle elezioni del 1948: "Come sai vanno alle elezioni e non ti dico altro. Covone, Tarsia, Maffi, Vittorio [Faggioni] scocciatissimi come me".

  Dalla ricostruzione fornita nel testo (cfr. pagg.111-126) il radicamento del P.c. internazionalista sembra maggiormente concentrato nell’Italia del Nord (Piemonte e Lombardia, in particolare). Quali fattori determinarono una diffusione non omogenea del Partito sul territorio italiano?

  Come sappiamo il partito si sviluppa in modo diverso tra Nord e Sud. Allora l'Italia era divisa in due. Al Nord il P.c. internazionalista nasce all'interno della guerra come Partito che deve fare i conti con la RSI, la presenza tedesca e la dura lotta che il P.c.i. conduce contro di esso. Al Sud si sviluppa come  "Frazione di Sinistra dei comunisti e socialisti italiani" e, prima dell'intervento del P.c.i. dal Nord, al Sud intere sezioni comuniste  sono sulle sue posizioni. Solo nel 1945 i gruppi del Nord e del Sud si fondono.

  “Se possibile togliamo Baffone da Mosca e mettiamoci, per non sfottere nessuno, Alfa; Truman che oggi ci sta pensando sopra, arriverà cinque minuti dopo”, scrisse Bordiga in una lettera del luglio 1951 (cfr. pag. 190). Che cosa significa?

  Quanto è citato sta solo a significare lo strapotere che rappresentavano gli Stati Uniti. Bordiga dice che se in Russia al potere ci fossero i comunisti (e non Stalin) in qualche ora arriverebbero gli americani a sistemare le cose. Per un verso, la frase citata è un richiamo in chiave di paradosso ai compagni che vengono invitati a non prescindere mai dalle considerazioni dei rapporti di forza in atto. Per un altro verso, bisogna ricordare che a giudizio di Bordiga la dinamica espansionistica degli Stati Uniti era nettamente superiore, anche in aggressività, a quella sovietica.

  Come reagirono i comunisti internazionalisti di fronte alla nascita della Repubblica Popolare Cinese nel 1949?

  Nessuna reazione. In Cina si era compiuta una rivoluzione che giustamente Bordiga giudicava non potesse superare i limiti propri al ciclo delle rivoluzioni democratico-borghesi e questo a seguito del disastro provocato internazionalmente dalla politica staliniana, la quale aveva già dato prova delle sue calamitose conseguenze in Cina fin dal 1927. Nel 1949 in Cina si era stabilita l'unità del paese e Mao era un rivoluzionario borghese che con il comunismo non aveva nulla da spartire.

  Potrebbe spiegare il significato del concetto di “centralismo organico” (cfr. pag. 225)?

  È molto difficile spiegare il "centralismo organico" come modo di organizzazione propugnato da Bordiga per il partito. È ovvio che, se si rifiutava la democrazia, lo si facesse anche come modo di funzionare dell'organizzazione comunista nella quale la linea da seguire doveva essere dettata dall'osservanza ai principi e alla fedeltà ad essi più che dalla conta delle teste (quando si manifestava qualche diversità tra i compagni). Per trattare adeguatamente il tema posto dalla domanda occorrerebbero non meno di dieci pagine.

  Come va interpretata la riottosità di Bordiga a “prendere decisamente in mano la situazione del Partito” (pag. 162)?

  Bordiga fu molto riluttante "nello scendere in campo". All'inizio secondo lui la formazione del partito era prematura, poi una volta avvenuta rifiutò galloni di qualsiasi tipo e volle solo considerarsi un militante come gli altri; quando però intervenne lo fece in modo deciso e risoluto.

  In che misura il P.c. internazionalista può essere definito “bordighista”?

  Il P.c. internazionalista fino alla rottura del 1952 non può essere definito "bordighista" anche se molti dei suoi militanti proveniva dalla Sinistra italiana che aveva guidato con Bordiga i primi anni di vita del Partito comunista d'Italia. L'organizzazione che si aggregò attorno a il Programma comunista fu sulle posizioni politiche che espresse Bordiga, anche se la denominazione "bordighista" fu sempre rifiutata ed usata solo dagli avversari.

  Il volume avrà un seguito con la storia di “«Programma» e l’imponente lavoro svolto al suo interno da Amadeo Bordiga fino a quando le forze glielo permisero” (pag. 227)?

  Per quanto è nelle mie intenzioni, mi proporrei di "seguire" la storia di Programma Comunista fino alla morte di Bordiga ed oltre. Anche oltre, in quanto credo che le vicissitudini politiche ed organizzative successive alla data del 1970 possano rappresentare una verifica del grado di validità che eventualmente può essere riconosciuto all'esperimento della formula centralistico-organica.

 

9 gennaio 2011

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