Le tensioni tra Mosca e Minsk. Intervista con Serena Giusti Stampa E-mail

Le tensioni tra Mosca e Minsk. Intervista con Serena Giusti

a cura di Francesco Algisi

 

lukashenko_putin  Serena Giusti è docente del corso di Istituzioni europee e di Russia nelle relazioni internazionali presso l’Università Cattolica di Milano e del corso The EU and the former Communist Countries al Master in European Studies presso la LUISS di Roma. Ha svolto attività didattica presso: New York University-Florence, IES-Milano, Belgrade Open School, Pázmány Péter Catholic University-Budapest, Kazakh Humanitarian-Law University, Belarus-State University. Ha altresì lavorato per la Commissione europea e l’UNICEF-icdc. Dal 2001 è Associate Research Fellow presso l’ISPI nell’ambito dell’Osservatorio Russia e vicini orientali.

  Professoressa Giusti, come si spiegano le recenti tensioni tra Mosca e Minsk?

  Le tensioni tra i due Paesi sono dovute a un conflitto di interessi: da una parte, la Bielorussia cerca di ottenere maggiore autonomia dalla Russia; dall’altro, la Russia non rinuncia a esercitare la propria influenza sulla Bielorussia e a controllare la distribuzione delle risorse energetiche (il 20 per cento del gas esportato dalla Russia verso l’Europa passa dalla Bielorussia). C’è un tentativo da parte di Mosca di bypassare la Bielorussia con il progetto South Stream (che connetterà direttamente Russia e Unione Europea, eliminando ogni Paese extra-comunitario dal Transito) che si pone in competizione con il progetto del gasdotto Nabucco sostenuto dall’Unione Europea. Anche l’ultima crisi, relativa al prezzo del gas, presenta, a mio avviso, due piani di lettura: uno è politico, con la Russia che intende mostrare il proprio potere e la propria capacità di influenza sulla Bielorussia; l’altro, invece, è pragmatico-mercantilistico: gli introiti degli idrocarburi sono fondamentali per l’economia russa. Quindi i russi tentano – come già hanno fatto con altri Paesi, per esempio l’Ucraina – di incrementare gli introiti aumentando il prezzo del gas destinato agli ex satelliti: un prezzo che, comunque, continua a essere per tali Paesi al di sotto di quello di mercato.

  Minsk, perdendo il sostegno di Mosca, si isola ancora di più; nello stesso tempo, la Russia, inimicandosi la Bielorussia, rischia di favorire uno spostamento della stessa verso l’Unione europea. Questo potrebbe gettare le basi di una futura “rivoluzione colorata” bielorussa?

  Una rivoluzione colorata non sembra attualmente possibile in Bielorussia. Minsk gioca col fuoco, paradossalmente, perché dipende, dal punto di vista economico, quasi totalmente da Mosca. Le esportazioni della Bielorussia verso la Russia sono il 30,4 per cento del totale; segue l’Olanda verso cui la Bielorussia esporta appena il 12,5 per cento. Se si guardano le importazioni bielorusse, il 54,5 per cento proviene dalla Russia; il partner successivo è la Germania da cui Minsk importa semplicemente l’8 per cento. La Bielorussia, quindi, è fortemente dipendente dal punto di vista economico: il regime di Lukashenko si è finora potuto sostenere grazie all’aiuto economico russo. Mosca ha un grande potere, una grande influenza sulla Bielorussia. Le tensioni fra Minsk e Mosca ricalcano piuttosto uno scontro di personalità. Lukashenko non è più sostenuto come un tempo dalla Russia, non tanto perché si stia avvicinando all’Unione europea (questo non intimorisce eccessivamente Mosca), quanto piuttosto perché ha assunto una postura di troppa autonomia, a volte perfino conflittuale, rispetto alla “diarchia” Putin-Medvedev. Per esempio, Lukashenko si è rifiutato di riconoscere l’Ossezia del sud e l’Abkhazia; sta inoltre ponendo resistenza all’avvio dell’unione doganale tra la Russia, la Bielorussia e il Kazakhstan.

  Questo che cosa significa?

  Che Lukashenko è debole, perché il suo regime vive grazie all’aiuto economico della Russia. La Bielorussia è l’unico Paese dell’Europa dell’Est con un’economia centralizzata, pianificata e comunista; non ha mai avviato un processo di transizione e di liberalizzazione economica (qui il 1989 non ha significato assolutamente niente); è ancora un esempio di che cos’era l’Unione sovietica un tempo. Quindi, Minsk è un caso atipico e, dal punto di vista politico, rappresenta un regime autocratico, l’unico tra i Paesi post-sovietici.

  Il governo di Lukashenko si basa su un consenso popolare diffuso?

  Sì. Alle ultime elezioni parlamentari del 2008, l’Osce rilasciò una dichiarazione in base alla quale le elezioni, pur non rispettando i criteri minimi previsti dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, avevano mostrato dei miglioramenti e un largo sostegno popolare per Lukashenko. La popolazione sostiene il presidente bielorusso perché egli non ha promosso le riforme economiche che nei Paesi dell’Europa centro-orientale – e nella stessa Russia - hanno prodotto, nella fase iniziale, degli effetti devastanti. In Bielorussia, inoltre, il tasso di disoccupazione è inferiore all’1 per cento: non si vive la stessa crisi economico-sociale che si è avuta negli altri Paesi. Quindi, la popolazione non ha la voglia di cambiare, anzi nutre timore verso ogni ipotesi di cambiamento. Gli incentivi che vengono offerti, per esempio, dall’Unione europea non sono così allettanti e tali da convincere i bielorussi a guardare oltre Lukashenko. D’altronde, l’Unione europea rimane un’entità sconosciuta ai più.

  Esiste un’opposizione organizzata in Bielorussia?

  C’è un’elite che cerca di contrastare il governo di Lukashenko; ma per ora l’opposizione è frammentata, molto marginale e ristretta alla capitale Minsk: difficilmente potrà costituire un pericolo per Lukashenko nel breve-medio periodo. Qualche possibilità di cambiamento potrebbe essere offerta da un settore dell’attuale classe dirigente, caratterizzato da forti interessi economici e sostenuto dal figlio di Lukashenko (il quale ovviamente è già stato cooptato nel governo).

  Le elezioni presidenziali del prossimo anno, dunque, non riserveranno sorprese…

  Direi di no, perché l’opposizione non è così forte per mettere a rischio il potere di Lukashenko. Ci potrebbe essere un sostegno inferiore, insieme con un maggior discredito internazionale (c’era chi suggeriva, per esempio, che la Russia, l’Unione europea e gli Stati Uniti non dovrebbero riconoscere la legittimità di Lukashenko). Il discredito internazionale del presidente bielorusso, tuttavia, influisce in maniera minima sulla situazione interna della Bielorussia. Tanto meno la Russia è in grado, in questo momento, di puntare su un proprio candidato: circolano dei nomi, ma non sembra realizzabile che i russi riescano a influenzare le elezioni e a “scavalcare” Lukashenko. Mosca sta cercando senza dubbio di delegittimare e mettere in cattiva luce il presidente bielorusso. Nei giorni scorsi, un canale televisivo posseduto da Gazprom, che trasmette in Bielorussia, ha mandato in onda due documentari molto critici sulla figura di Lukashenko, con accuse di violazione dei diritti umani ecc.. Il processo di cambiamento è ancora lungo...

  L’espressione “ultimo dittatore d’Europa”, comunque, sembra impropria…

  Se esaminiamo la situazione politica bielorussa con i nostri parametri di democrazia, Lukashenko è un dittatore e il suo è un regime autocratico. Sicuramente nei confronti di alcune frange di opposizione c’è stata repressione (hanno avuto luogo degli arresti e, negli anni scorsi, delle uccisioni sospette). Non c’è però un ampio uso della forza. Non c’è nemmeno un movimento di protesta molto diffuso. E, nel Paese, la situazione è generalmente tranquilla.

  Insomma, Lukashenko governa in maniera autoritaria con il consenso popolare…

  I bielorussi – come i russi, del resto – sono abituati a essere governati da personalità molto forti (c’è una personalizzazione del potere). Lukashenko finora ha garantito la stabilità politica e soprattutto il benessere economico e la sicurezza sociale. La Bielorussia è un Paese che continua a crescere economicamente: gli ultimi dati dicono che quest’anno il tasso di crescita si aggira intorno al 7,5 per cento (secondo le previsioni, nel 2011 subirà un lieve calo attestandosi attorno al 6 per cento). La legittimità di Lukashenko è, per così dire, una legittimità di tipo economico (come per Putin e Medvedev): la popolazione sostiene la politica del governo perché finora essa ha garantito un miglioramento sensibile all’economia del Paese.

  Come venne vissuta dai bielorussi la guerra tra la Russia e la Georgia dell’estate 2008?

  Con il timore che, se un Paese si allontana da Mosca, quest’ultima è sempre pronta ad aggredirlo militarmente (anche se, in quel caso, le cose andarono in maniera diversa). Nella percezione popolare, questo è il messaggio che si è diffuso. Quindi, taluni atteggiamenti di maggiore autonomia dalla Russia non fanno altro che rafforzare Lukashenko, poiché l’orgoglio nazionale è molto vivo fra i bielorussi.

  Come va interpretata l’apertura di Lukashenko verso il presidente georgiano Saakhasvili?

  È un avvicinamento tra due personalità che, per motivi diversi, nutrono una certa acrimonia nei confronti della Russia. Da parte di Lukashenko, è l’ennesimo tentativo di irritare Mosca. Dal punto di vista economico, non ci sono grandi vantaggi per Minsk nell’aprire verso Tbilisi (la Georgia non figura ai primi posti nella bilancia commerciale della Bielorussia). Dal punto di vista politico, Saakhasvili in questo momento è debole, perché non riceve più come un tempo il sostegno dell’Occidente, dal quale è visto ormai con sempre maggiore circospezione; all’interno del Paese stesso c’è un declino del sostegno a favore di questo personaggio; la sua azione dell’estate 2008 si è rivelata fallimentare (anche il documento dell’Unione europea sull’origine della guerra russo-georgiana ha stabilito la responsabilità di Tbilisi).

  Dal punto di vista internazionale, fatta eccezione per il legame “privilegiato” con la Russia, quali Paesi hanno stretti rapporti con la Bielorussia?

  I Paesi “amici” di Lukashenko sono il Venezuela, l’Iran e la Siria: questo dice già tutto. L’Unione europea, che rimane una prospettiva, lanciò, nel mese di maggio dello scorso anno, la strategia del partenariato orientale: però le aperture di Bruxelles verso Minsk sono naturalmente condizionate al rispetto di determinati criteri. L’UE sta osservando attentamente ciò che avviene in Bielorussia, ma non può costituire un’alternativa politica ed economica alla Russia (almeno in questo periodo di crisi, in cui è più difficile finanziare dei progetti di sviluppo). Bruxelles sostiene le ONG bielorusse, cercando di promuovere la democrazia dal basso. Lukashenko, tuttavia, è molto pragmatico e sa giocare con abilità tra i due attori. L’avvicinamento a Bruxelles non è di natura “ideologica”, ma è semplicemente dettato dall’interesse: non c’è stato, infatti, alcun mutamento nella visione politico-strategica di Lukashenko. La stessa Unione europea fa bene a non perseguire una politica di isolamento della Bielorussia come negli anni passati, ma deve anche essere molto cauta nelle aperture: essa dovrebbe aprire verso i bielorussi sulla questione dei visti.

  Il governo italiano ha cercato di rompere l’isolamento internazionale di Minsk…

  Il nostro Paese si pone tra quelli che più attentamente seguono l’evoluzione della Bielorussia. Il viaggio di Berlusconi a Minsk e soprattutto le dichiarazioni che il Presidente del Consiglio ha fatto riguardo a Lukashenko (“una persona fortemente voluta dal proprio popolo”) sono, però, sembrate inopportune negli ambienti europei. Dal punto di vista diplomatico, insomma, l’azione italiana non è stata particolarmente apprezzata a Bruxelles: essa semmai conferma il fatto che gli Stati membri spesso conducono una politica estera che va al di là degli interessi dell’Unione, privilegiando rapporti bilaterali particolari (come nel caso del rapporto tra l’Italia e la Russia). L’Italia agisce soprattutto in un’ottica nazionale, cercando di ottenere accordi economici vantaggiosi, più che in una logica di apripista per l’Unione europea (anche se poi ovviamente così è stata presentata). Gli scambi economici e gli accordi raggiunti, comunque, possono favorire un cambiamento della società e una maggiore apertura.

 

6 agosto 2010

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