L’intrigo di Berna. Intervista con Pino Adriano Stampa E-mail

L’intrigo di Berna. Intervista con Pino Adriano

a cura di Francesco Algisi

adriano_intrigo  Pino Adriano ha realizzato per il cinema e la Rai un centinaio di documentari e programmi su argomenti di storia dell'arte, della scienza, della filosofia, e su temi di storia politica, economica e sociale del XX secolo. È autore con Giorgio Cingolani di Corpi di reato, un libro- inchiesta su quattro delitti degli anni di piombo (Costa & Nolan, 2001) e del recentissimo volume L’intrigo di Berna (Mondadori, 2010), in cui ricostruisce la storia delle trattative che portarono alla resa tedesca in Italia.

  Nel febbraio del 1943, i tedeschi intercettarono (e trasmisero a Mussolini) un telex della Legazione di Berna in cui si parlava di “prospettive di accordi, a fine campagna d’Africa, col gruppo Badoglio, Ciano, Grandi, Cavallero, Umberto”. Secondo lei, l’allontanamento di Galeazzo Ciano dal ministero degli Esteri può essere messo in relazione con questo telex?

  Non penso che il telex in questione sia stato determinante nel provocare l’allontanamento di Ciano dal ministero degli Esteri perché si trattava di una decisione che Mussolini aveva già maturato e che lo stesso Ciano vedeva di buon grado.  Da tempo in disaccordo col duce, Ciano di fatto non aveva più alcuna influenza – se mai l’aveva avuta – nelle scelte di politica estera e l’abbandono della carica costituiva per lui uno sganciamento dai vertici del fascismo che poteva consentirgli maggiori margini di manovra nella prospettiva di un cambio di regime. Ciò detto, Mussolini avrebbe senz’altro preferito risolvere la questione “in famiglia”, senza interferenze da parte di Hitler che svelandogli “il tradimento” del genero lo mise con le spalle al muro.

   Himmler era al corrente delle trattative tra Karl Wolff e Allen Dulles?

  Tutta l’evoluzione della trattativa fa ritenere che Himmler ne fosse non solo al corrente ma che, insieme a Hitler, avesse affidato a Wolff l’incarico di condurla.  Dal canto suo, Wolff  non poteva certo ammetterlo con gli americani, perché avrebbe perso ogni credibilità.  Ma tutta l’azione del plenipotenziario Wolff, sino alla fine, fu in sintonia con le direttive di Berlino: cercare in primo luogo di rompere il fronte avversario mettendo gli occidentali contro Mosca, guadagnare tempo riuscendo comunque a ritardare l’avvio della campagna d’Italia – e Wolff ci riuscì -, tentare fino all’ultimo di dirottare in Germania gli 800.000 armati della Wehrmacht per contrastare l’avanzata dei Russi, infine salvare il salvabile delle SS e della Wehrmacht per farne in qualche modo i garanti dell’odine interno nella Germania occupata dagli occidentali.

  Perché Churchill cercò inizialmente di coinvolgere i sovietici nell’Operazione Sunrise?

  Lo fece per coerenza con gli accordi di Casablanca che, in base al principio della resa incondizionata, escludevano qualsiasi trattativa col nemico. Non bisogna dimenticare che ogni tentativo tedesco di avviare trattative con gli inglesi, e ce ne furono diversi, fallì fin dalle prime battute. Per Churchill i tedeschi dovevano essere combattuti fino alla fine. Se volevano arrendersi in Italia, dovevano farlo senza condizioni e di fronte alle tre potenze alleate.

  I negoziati di Berna riguardavano il fronte occidentale: come si spiega il desiderio di Molotov di prendervi parte?

  I Russi non erano preoccupati di una eventuale resa militare tedesca in Italia, ma temevano le implicazioni politiche della trattativa in corso a Berna. Stalin lo disse chiaramente nella sua risposta a Roosevelt del 29 marzo ’45, che riprendo da p. 203: “Le truppe tedesche a Danzica o a Koenisberg sono accerchiate. Se si arrendono, lo fanno per non essere sterminate… Le truppe tedesche nel Nord dell’Italia si trovano in una situazione completamente differente. Non sono accerchiate e non temono di essere sterminate.  Se, ciononostante, i tedeschi nell’Italia del Nord cercano di trattare la resa e di aprire il fronte alle truppe alleate, significa che devono avere qualche scopo più importante riguardante il destino della Germania”. Stalin e Molotov non sapevano a che punto fosse la trattativa, ma grazie ai loro informatori – vuoi la talpa Philby a Londra, vuoi i servizi segreti tedeschi interessati a rompere il fronte alleato – sapevano quello che Wolff cercava di ottenere: il rientro in patria degli ottocentomila armati per contrastare l’avanzata dell’Armata Rossa.  Il che poteva effettivamente cambiare “il destino” della Germania. Se gli occidentali fossero arrivati per primi a Berlino, avrebbero poi rispettato gli accordi di Yalta per la spartizione della Germania?

  In tali colloqui, comunque, gli inglesi sembrano avere avuto un ruolo secondario e piuttosto defilato. Perché?

  Ho già in parte risposto poc’anzi. Almeno tutta la prima fase della trattativa di Berna si svolse esclusivamente fra Dulles e Wolff. Tuttavia gli inglesi furono presenti all’incontro di Ascona del 19 marzo con uno dei due inviati del feldmaresciallo Alexander, il generale Terence Sydney Airey, capo dei servizi informativi britannici presso il quartier generale di Caserta. Coerente con l’atteggiamento britannico, Airey si mostrò molto più diffidente del suo collega americano Lemnitzer nei confronti di Wolff, ma non si oppose al proseguimento della trattattiva.

  I negoziati di Berna possono essere considerati alla stregua di un 8 settembre a parti invertite?

  Con la firma dell’armistizio e la costituzione del Regno del Sud l’Italia badogliana passa dalla parte degli Alleati senza porre condizioni di sorta. Con la trattativa di Berna Wolff vorrebbe invece convincere gli Alleati occidentali a servirsi della Wehrmacht per respingere i russi, il che provocherebbe la rottura del fronte alleato. Questo non avverrà, almeno fino alla fine della guerra, ma resta il fatto che la trattativa di Berna, nella quale Wolff e Dulles collaborano per la resa tedesca in Italia, che consente tra l’altro di fermare l’avanzata titina a Trieste, è la premessa della futura collaborazione fra servizi segreti americani ed ex-servizi segreti delle SS e della Wehrmacht contro i russi.  In questo senso si può dire che essa costituisca la cerniera tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio della Guerra Fredda.

   Qual era l’obiettivo strategico dei tedeschi coinvolti nell’Operazione Sunrise?

  L’obiettivo strategico di Wolff e Dollmann, in sintonia con le alte sfere vaticane, era di salvare la Germania dall’occupazione sovietica attraverso accordi militari – come la resa tedesca in Italia – che aprissero la strada ad una pace separata con gli occidentali. Ma all’interno di questo obiettivo strategico, Wolff puntava anche a salvare “gli ideali” delle SS ai quali non intendeva rinunciare, impegnandosi con gli stessi apparati delle SS a garantire l’ordine nella fase di passaggio della Germania al fianco degli occidentali e candidandosi addirittura ad un ruolo di governo nella Germania post-bellica.  Se mi si passa l’espressione, Wolff voleva salvare capra e cavoli e  continuò a credere di esserci riuscito finché non venne arrestato a Bolzano, a guerra finita, e trasferito in un campo di internamento.  Una cosa comunque era riuscito ad ottenerla:  un trattamento di favore per tutti gli uomini delle SS che avevano operato sotto il suo comando, a cominciare dal colonnello delle SS Walter Rauff che sarebbe rimasto in Italia ad organizzare le vie di fuga.

  Le intenzioni di Wolff, nei colloqui di Berna, erano animate – a detta del diretto interessato – da nobili finalità (risparmiare ulteriori vittime alle armate tedesche stanziate in Italia). Come si spiegano, quindi, l’odio e il disprezzo dei soldati tedeschi nei suoi confronti, cui lei accenna a pagina 305?

  Tra gli ufficiali e i soldati della Wehrmacht, molti potevano essere grati a Wolff per aver loro risparmiato la vita evitando, con la resa, ulteriori spargimenti di sangue sul suolo italiano.  Ma non mancavano i fedelissimi al Führer che consideravano la resa come il risultato di un complotto di traditori che avevano pugnalato alle spalle il Terzo Reich.  Wolff aveva già corso qualche pericolo la sera del 30 aprile,  quando la radio aveva annunciato la morte del Führer (si vedano le pp. 289-90), e non doveva certo sorridergli l’idea di dormire in un campo di prigionieri senza poter più contare sulla protezione delle proprie guardie del corpo.

   A pagina 307, lei scrive che Wolff, durante gli otto mesi di detenzione a Norimberga, si sentiva “perseguitato da demoni ebraici”. Che cosa significa?

  La ringrazio per la domanda che mi permette di colmare una lacuna, della quale mi scuso, citando la fonte della notizia. Nella prima parte del volume U.S. Intelligence and the Nazis, che affronta la questione delle informazioni sull’Olocausto acquisite dalle agenzie investigative anglo-americane durante la guerra e occultate, Richard Breitman sostiene che i servizi americani avevano le prove del coinvolgimento di Karl Wolff nelle rappresaglie e nelle razzie di ebrei in Italia, “ma non le usarono mai in alcun procedimento contro di lui” (U.S. Intelligence and the Nazis, by R. Breitman, N.J.W. Goda, T. Naftali, R. Wolfe,  Washington 2004, p. 85). E parlando della detenzione di Wolff a Norimberga in qualità di teste, Breitman scrive: “…a inizio 46 fu internato in una clinica per paranoia: si sentiva perseguitato dai demoni ebraici” (ibidem). In effetti, grazie alla protezione di Dulles, Wolff non venne mai processato per i crimini di guerra perpetrati in Italia dalla polizia delle SS e dalle formazioni militari delle Waffen SS, entrambe sotto il suo supremo comando. E soltanto dopo il processo Eichmann, come racconto nelle ultime pagine del libro, venne inquisito e condannato dalla giustizia tedesca per il suo coinvolgimento nella deportazione degli ebrei a Treblinka. Chiuso in una cella del carcere di Norimberga mentre si svolgeva il processo contro i grandi criminali, Wolff aveva avuto tutto il tempo per meditare sulla sua parte di responsabilità nella “soluzione finale della questione ebraica”. Forse sperava di farla franca, ma la paura di essere perseguito per i suoi misfatti era diventata un’ossessione.

24 aprile 2010

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