Il contrasto tra Farinacci e Giampaoli. Intervista con Giuseppe Pardini Stampa E-mail

Il contrasto tra Farinacci e Giampaoli. Intervista con Giuseppe Pardini

a cura di Francesco Algisi

 

farinacci.jpg  Giuseppe Pardini, professore associato di Storia contemporanea alla Facoltà di Economia dell’Università degli Studi del Molise, dove insegna anche Storia dei movimenti e dei partiti politici e Storia dei sistemi politici europei, ha curato per i tipi di Le lettere la pubblicazione di Sicanus, La verità sull’Ovra. Ha pubblicato inoltre Curzio Malaparte. Biografia politica (Milano, 1998), La Repubblica sociale italiana e la guerra in provincia di Lucca (Lucca, 2001) e Sotto l’inchiostro nero (Firenze, 2002), Roberto Farinacci ovvero della rivoluzione fascista (Firenze, 2007). Collabora alla rivista «Nuova Storia Contemporanea». Riguardo al contrasto tra Roberto Farinacci e Mario Giampaoli, gli abbiamo rivolto alcune domande.

  L’origine del contrasto tra Roberto Farinacci e Mario Giampaoli era di natura personale o ideologica?

  Era fondamentalmente di natura personale. Insanabili contrasti dividevano i due uomini certo anche nel modo di intendere il fascismo e, soprattutto, di servirlo; del resto Farinacci era già deputato da due legislature e nelle elezioni del 1924 aveva preso, nel collegio della regione Lombardia, oltre 43.000 preferenze (secondo in lista dopo Mussolini), un numero incredibilmente alto (i suoi “rivali” revisionisti, i milanesi Torrusio, Bonetti e Rocca, si fermarono a 5.500, 3.300 e 2.700), segno di un consenso radicato e reale nelle masse del fascismo rurale. Per questa ragione occorreva creare un sistema politico antifarinacciano che, non solo a Milano, fosse davvero compatto e deciso. Da qui la lotta tra le due tendenze; Farinacci da una parte contro Giampaoli, segretario federale di Milano, l’onorevole Belloni, podestà, Mataloni, il comandante della Mvsn, l’onorevole Torrusio e, soprattutto, Arnaldo Mussolini, il potente fratello del duce che allora reggeva la direzione de «Il popolo d’Italia» e le sorti politiche della maggiore città italiana. Dietro questo importante e fortissimo gruppo stava ovviamente la regia di Augusto Turati, segretario nazionale del PNF e dello stesso Benito Mussolini.

  Quali sono le differenze tra la concezione che Farinacci aveva del Fascismo e quella che aveva invece Giampaoli?

  Le differenze tra la concezione del fascismo di Farinacci e quella di Giampaoli erano, in quel quadro, poco rilevanti. Per di più entrambi erano tenaci sostenitori di una visione intransigente e radicale del fascismo stesso; entrambi erano stati duri squadristi della prima ora e dello squadrismo conservavano la mentalità e il modo di intendere lo scontro politico. Diversa era però la maniera di concepire la gestione della cosa pubblica e il ruolo del nuovo ceto dirigente nel sistema politico in via di costruzione. Farinacci, per di più, in quegli anni (1925-1929) si sforzava di apparire come strenuo sostenitore della purezza e fiero interprete della moralità pubblica, mentre nello stesso periodo alcuni più smaliziati gerarchi fascisti non si preoccupavano di scendere a compromessi e a collusioni alquanto dubbie.

  L’omicidio di Erminia Ferrari, già amante di Farinacci, vide in qualche modo coinvolto Giampaoli?

  L’assassinio della signora Erminia Ferrari (già moglie di un importante industriale cinematografico), detta anche la “contessa del Viminale”, avvenuto a Milano nel febbraio 1926, è ancora oggi un mistero. Le indagini di polizia vennero effettuate solo parzialmente e si considerarono esaurite allorquando presero la direzione del figlio Renzo Pettine, il quale venne accusato di omicidio e rinchiuso subito in manicomio criminale. Eppure quell’assassinio poteva avere tutti i contorni di un delitto politico, perché si diceva che la donna fosse stata a giorno di numerosi retroscena e che avesse annoverato tra i suoi amanti personalità di spicco del fascismo, come Cesare Rossi e lo stesso Farinacci. Certo era che la donna aveva cercato di contattare sino all’ultimo proprio l’allora segretario del PNF, Farinacci, per fargli avere importante documentazione. A quei documenti sembrava fossero interessati anche Giampaoli e lo stesso Arnaldo Mussolini, che la polizia politica aveva persino individuato come la persona che aveva visto per ultimo la Ferrari ancora in vita. Ma certo quel delitto rimane ancora oggi uno dei – tanti – gialli irrisolti della politica italiana.

  Il 4 luglio 1929 Giovanni Amadori, seguace di Giampaoli, venne condannato a tre anni di confino per «essere stato fortemente sospettato di aver tentato di commettere, per incarico di terzi, un’azione delittuosa contro l’on. Farinacci». Tra i “terzi” si nascondeva anche il Federale di Milano?

  Altro giallo rilevante. Indubbiamente Amadori era uno squadrista dei più accesi del circolo Oberdan di Milano e secondo la polizia in passato aveva già svolto azioni politiche per conto di Giampaoli. Del resto sembra anche che Amadori fosse in rapporti con l’onorevole Giarratana, allora potente braccio destro del segretario Turati. E altrettanto indubbiamente Amadori si era recato nella sede de «Il Regime fascista» a Cremona, la sera del 20 agosto 1928, proprio con il proposito di attentare alla vita di Farinacci, facendosi certo interprete dell’acceso odio che serpeggiava negli ambienti del potere del fascismo milanese nei riguardi dell’ex segretario del PNF. Era, del resto, un momento particolarmente delicato per il fascismo milanese, per Belloni e per lo stesso Giampaoli, in considerazione della potente offensiva che Farinacci avrebbe avviato sulla questione morale nel fascismo e che vedeva proprio Milano come esempio deleterio di collusione e intreccio tra politica, affari e criminalità organizzata. Le indagini di polizia, anche in quella circostanza del tentativo di omicidio da parte di Amadori, non andarono in profondità e si arrestarono al punto della incriminazione dello squadrista, senza neanche mai mostrare – almeno soltanto nelle intenzioni – di indagare verso questi accertati “terzi” mandanti...

  L’allontamento di Giampaoli dalla guida del Fascismo milanese fu dovuta alla “questione morale” o ebbe invece delle motivazioni politiche?

  Sì, l’allontanamento di Giampaoli e di una fitta schiera di importanti gerarchi milanesi fu dovuta alla questione morale. Sulla scrivania di Mussolini erano già piovute numerosissime missive, precise quanto dettagliate, che descrivevano il clima che si era creato nella città. Tutte le informazioni di polizia, inoltre, erano concordi nel dipingere un quadro piuttosto alterato della vita pubblica e politica milanese, e le stesse informative tratteggiavano più i contorni di una associazione a delinquere che quelli di un ceto dirigente. Gli scandali politici-amministrativi erano noti e sulla bocca di tutti, e allorquando Farinacci si decise a scoperchiare il pentolone, la misura era già colma da tempo. Del resto Mussolini doveva prestare molta attenzione alle vicende milanesi, proprio perché in esse era coinvolto anche il fratello Arnaldo, tanto che – allorquando Achille Starace nel giro di 48 ore epurò Giampaoli e l’intera federazione del PNF milanese – l’opinione pubblica sembrò soddisfatta soltanto parzialmente, perché la collusione tra affari, crimine, amministrazione, politica e fascismo non si sarebbe facilmente risolta con quella «parziale» epurazione relativa solo al lato della politica (e che comunque lasciava ancora fuori qualcuno...). Ma di lì a breve, nell’ottobre 1930, il redde rationem sarebbe giunto anche per gli amministratori milanesi.

  Quale fu il ruolo di Farinacci in questa vicenda?

  Anche in questa circostanza lo scandalo venne innescato, con ragione, da Farinacci, che mosse delle accuse precise e circostanziate, al punto da ottenere piena (ma non totale...) soddisfazione nell’importante processo politico di Cremona.

  Dopo il processo Belloni, Giampaoli tentò di sanare il conflitto con Farinacci. Perché? E, soprattutto, vi riuscì?

  Mario Giampaoli avrebbe provato a riallacciare i rapporti con Farinacci (così come avrebbe fatto lo stesso Turati), ma molti dei suoi sostenitori, ancora numerosi in città, erano convinti si trattasse niente di più di una resa senza condizioni. Inoltre la polizia politica prese a utilizzare alcuni importanti esponenti “giampaolini” nella grossa politica antifarinacciana che prese il via proprio a partire dalla fine del 1930 e che si sarebbe conclusa soltanto verso il 1934. Erano tempi di profondi cambiamenti nella politica italiana e, soprattutto, nel fascismo e le vecchie contrapposizioni – anche personali – si andavano diluendo nella dittatura.

10 aprile 2010

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