Andrea Graziosi
L'Ucraina e Putin tra storia e ideologia
Laterza, pagg.200, € 16,00
Andrea Graziosi ricostruisce in questo saggio le radici del conflitto tra la Russia e l'Ucraina, focalizzando l'attenzione sulle "dispute e tensioni già esistenti al momento del crollo dell'Urss, incarnate in confini amministrativi trasformati di colpo nel 1991 in confini politici. Si lacerava così il tessuto, certo malato ma a suo modo integro, creato da decenni di grandi migrazioni interne, sollecitate da Mosca per motivi strategici, politici ed economici, e da decisioni di investimento prese all'insegna di logiche sovranazionali (cioè sovrarepubblicane)".
"L'Ucraina – spiega l'Autore - aveva ereditato dall'Urss più di 4.000 testate nucleari (2.700 tattiche e 1.400 strategiche), che nel 1994 accettò di trasferire gradualmente alla Russia. Lo fece anche su pressione di una Washington comprensibilmente speranzosa di allontanare così disastrosi conflitti, ma ignara del fatto che si eliminava in tal modo anche la funzione deterrente delle armi nucleari. Una Mosca intoccabile dalla comunità internazionale a causa del suo arsenale nucleare divenne allora, col sostegno americano, potenzialmente arbitra del destino dei suoi vicini".
Riguardo al "presunto mancato rispetto delle promesse fatte di non allargare la Nato a oriente come motivo che ha costretto Mosca ad agire", Graziosi ricorda e analizza in dettaglio "due fatti ormai accertati". Innanzi tutto, "più che promesse, di cui non vi è alcuna prova, si trattò di allusioni in discorsi informali sul possibile futuro di una Germania riunificata tenutisi all'inizio del 1990 tra i dirigenti diplomatici sovietici e americani". Quindi, le parti non sottoscrissero alcun accordo "che impegnasse la Nato a non allargarsi. Si trattò piuttosto di ragionamenti ipotetici sull'unificazione tedesca, tenuti a febbraio da James Baker e Eduard Ševardnadze, in cui il primo chiese al secondo se preferiva una Germania unita fuori dalla Nato, indipendente e senza forze americane a controllarla, o una Germania unita legata ad una Nato che non si sarebbe spostata verso Est. Erano inoltre ragionamenti fatti con il ministro degli Esteri di uno Stato che l'anno dopo avrebbe cessato di esistere. Prima di scomparire esso avrebbe fatto in tempo a firmare a novembre la carta di Parigi, che riconosceva «la libertà degli Stati di scegliere le proprie disposizioni in materia di sicurezza», il principio generale che tutti dovrebbero rispettare per non tornare a un mondo di grandi potenze e Stati cuscinetto".
Sulla base di questi ragionamenti informali, inoltre, "il 5 dicembre 1994 Mosca firmò con Stati Uniti, Regno Unito e Ucraina un impegno formale e solenne a non violare, e anzi a garantire, i confini di quest'ultima in cambio della sua adesione al trattato di non proliferazione e della ricordata cessione delle armi nucleari ucraine alla Russia. John Mearsheimer, il politologo americano oggi tra i principali sostenitori delle ragioni di Putin, scrisse allora su «Foreign Affairs» che l'Ucraina avrebbe dovuto mantenere un arsenale nucleare, senza il quale non avrebbe potuto difendersi dalla Russia, e auspicò che anche la Germania si dotasse di un tale deterrente".
Nel maggio 1997 – aggiunge l'Autore - "Nato e Russia firmarono a Parigi un atto costitutivo che stabiliva i passi verso la cooperazione, dichiarava che «la Nato e la Russia non si considerano avversarie» e riconosceva di nuovo «il diritto intrinseco» di tutti gli Stati «a scegliere i mezzi per garantire la propria sicurezza». Mosca vi accettava l'espansione dell'Alleanza atlantica (Ungheria, Polonia e Repubblica ceca furono allora invitate ad entrarvi), in cambio della rinuncia da parte di quest'ultima a dispiegare permanentemente «forze di combattimento significative» e armi nucleari in Europa orientale. L'anno successivo la Russia entrava formalmente nel G7, ribattezzato per l'occasione G8".
Secondo Graziosi, "che la Nato non costituisse una minaccia, per di più crescente, è confermato dai fatti. Per preparare l'invasione dell'Ucraina la Russia ha ammassato truppe ai suoi confini per mesi. Al contrario, i 315.000 soldati americani in Europa del 1989 erano diventati 107.000 nel 1995 e circa 60.000 nel 2006, rimanendo su questo livello fino al 2021. Il dato, da solo, basta a smentire ogni disegno aggressivo e a svelare la natura pretestuosa dell'appello alle ragioni della difesa preventiva". |