Attila l’Unno. L’Arco e la Spada Stampa E-mail

Mirko Rizzotto

Attila l'Unno
L'Arco e la Spada


Graphe.it, pagg.199, € 15,00

 

rizzotto attila  L'arco e la spada citati nel sottotitolo di questo libro che Mirko Rizzotto ha dedicato alla figura di Attila – "un uomo in cui luci e ombre si alternavano, davanti a cui, però, tutti dovevano armarsi di coraggio ed essere pronti a subire il peggio", "un sovrano nomade in carne e ossa, che fece, per tre lustri, tremare oggettivamente il mondo romano" - erano due strumenti che gli Unni utilizzarono nelle loro conquiste.

  L'arco composito, che – come ricorda l'Autore – "popolava anche gli incubi dell'imperatore Marciano", era "lungo da 1,4 a 1,6 metri, era di foggia asimmetrica e quando veniva teso il flettente superiore era più lungo di quello inferiore; anche se può parere strano, questa asimmetria non influiva negativamente sulla potenza e sulla precisione del tiro, che risultava sempre affidabile. Era costituito da un corno bovino per il ventre dell'arco, legno di acero (a volte frassino) e un rinforzo in tendine animale, applicato con colla ricavata dal pesce o dalla bollitura di pellame. Si trattava di un'arma temibile e micidiale, in grado di falcidiare qualsiasi esercito avesse avuto la temerarietà di opporvisi".

  Grande importanza aveva fra gli Unni il culto della spada: "rifacendovisi a sua volta, Attila decise di basare il proprio potere sulle più antiche tradizioni e credenze tribali del proprio popolo: in tal modo, chiunque avesse osato mettere in discussione la sua autorità, avrebbe sfidato gli stessi dèi".

  Nato intorno al 395 d.C. "a bordo di uno di quei carri che componevano le immense carovane al seguito delle orde di cavalieri erranti nelle pianure del Danubio", Attila fin da giovanissimo "dovette maturare l'idea di riunire attorno ad un solo capo tutti gli Unni, impedendo loro di vendersi al miglior offerente romano, e di sfruttarne la rinnovata potenza".

  Il futuro Flagello di Dio "inaugurò subito il suo regno con una serie di razzie a danno delle province romane balcaniche".

  Egli si cibava solo di carne servita su piatti di legno "e con estrema moderazione. Anche l'abbigliamento del re unno appariva più dimesso e modesto di quello dei suoi subalterni, dato che, a differenza degli altri, non indossava scarpe tempestate d'oro e di preziosi".

  "Attila – aggiunge Rizzotto -, fin da giovane, aveva sofferto di una forma di epistassi, che però, a parte la noia di alcune gocce di sangue dal naso, non gli aveva mai causato particolari pensieri o preoccupazioni". Dopo una notte di bagordi, l'epistassi fu fatale al re degli Unni: "Durante il sonno che ne seguì ebbe, come conseguenza del troppo cibo e vino trangugiato, un'emorragia violenta che gli riempì narici e bocca di sangue, tanto da farlo morire soffocato".

  Alla notizia della morte di Attila grande fu la costernazione degli Unni, che presagivano lo smembramento della loro nazione, "la guerra civile per il conseguimento del potere ed infine la dissoluzione del loro potente impero, cose che non tardarono puntualmente a verificarsi".

  Rizzotto ridimensiona il ruolo di Attila a quello di un "predatore", non certo paragonabile a dominatori del calibro di Alessandro Magno, Giulio Cesare o Napoleone. Fu, tuttavia, "un ottimo condottiero, un caparbio espugnatore di fortezze, un razziatore spietato e un trascinatore, la cui idea politica politica di fondo era costituita dall'accentramento del potere e sul controllo totale dei suoi Unni. Era un uomo padrone di sé, i cui scoppi d'ira erano finalizzati al raggiungimento di un obiettivo, come dimostra l'intera ambasceria di Prisco alla sua corte".