Giovanni Fasanella - Mario Josè Cereghino - Rosario Priore
Il libro nero della Repubblica italiana La guerra clandestina e la strategia della tensione dalla fine del fascismo all'omicidio di Aldo Moro
Chiarelettere, pagg.984, € 26,00
Nel "libro nero della Repubblica italiana", sono raccolti quattro volumi ("Intrigo internazionale", "Il golpe inglese", "Il puzzle Moro", "Le menti del doppio Stato") usciti tra il 2010 e il 2020 e tra loro correlati, dai quali emerge la ricostruzione della strategia della tensione e degli anni di piombo in Italia.
Nel "decennio orribile 1969-1978", il nostro Paese venne investito "da un'ondata di violenza senza precedenti che provocò centinaia di morti e migliaia di feriti e portò all'assassinio di Moro e alla fine del suo progetto".
Ciò che spesso sfugge all'opinione pubblica "è la connessione tra i vari episodi e, soprattutto, il legame tra la crescita della conflittualità interna e il contesto internazionale". Il giudice Rosario Priore ha parlato di "contesti internazionali", in quanto, "a partire dal 1969, questione comunista e politica mediterranea si intrecciarono a tal punto da confondersi, finendo la prima per sopravanzare la seconda nella pubblicistica e nelle vulgate ideologiche, tanto da oscurarla del tutto".
Il 1969 è un anno decisivo che vede l'Italia tornare "al centro dell'attenzione mondiale e delle preoccupazioni delle grandi potenze. E ancora una volta, per la sua posizione geografica in un'area che si stava surriscaldando, diventò la chiave di volta degli equilibri mondiali. I principali punti di osservazione esterna sulle questioni italiane – con relative modalità operative, diciamo così – furono almeno tre: americano, sovietico e anglofrancese. Ognuno con un interesse specifico, ma tutti con obiettivi convergenti. Per gli Usa, il problema era costituito da una Dc ritenuta incapace di contenere il pericolo comunista. Per l'Urss, l'assillo era un Pci che si stava allontanando dalla casa madre. Per gli anglofrancesi, la principale fonte di preoccupazione era la politica mediterranea morotea, che minacciava di farsi ancora più aggressiva perché grazie all'intesa con il Pci stava consolidando la base di consenso. E per tutti, l'imperativo categorico era rimettere l'Italia in riga".
L'Italia – spiegano gli Autori – "era al centro di una gigantesca operazione di guerra psicologica – passata alla storia come «strategia della tensione» - che si prefiggeva obiettivi molto precisi". In particolare, "la deterrenza nei confronti della politica morotea e lo spostamento a destra dell'asse della politica italiana. Il primo risultato non fu raggiunto, perché Moro restò comunque alla Farnesina. Il secondo fu ottenuto solo parzialmente attraverso una serie di governi monocolore Dc o senza i socialisti. Ma fu una stagione effimera, perché durò pochissimi anni tra il 1969 e primi del 1974".
Ma la «strategia della tensione» ebbe un ulteriore obiettivo che gli Autori deducono "dagli effetti che provocò sul fronte della sinistra estrema. La «psicosi» del golpe fascista indusse uno stato d'animo diffuso nell'area della rivolta giovanile e nei settori insurrezionalisti della Resistenza comunista. Dove cominciò ad affermarsi l'idea che la nuova dirigenza berlingueriana non fosse all'altezza della situazione, e che fosse necessario costruire una nuova leadership rivoluzionaria e una forza armata alla sinistra del Pci. Si realizzò proprio lo scenario che i capi comunisti avevano previsto e temuto come una spina nel fianco della loro politica innovativa. Un nuovo soggetto stava per fare la sua comparsa nel panorama dell'eversione italiana, le Brigate rosse".
Il 16 marzo 1978, in via Fani, le Br realizzarono "un'azione sovversiva diversa nella forma da un colpo di stato classico, ma identica dal punto di vista del risultato politico e geopolitico. Il sequestro di Aldo Moro e il suo assassinio, dopo cinquantacinque giorni di detenzione nelle «prigioni del popolo», ebbero due effetti rilevanti per la storia del nostro paese. Il primo, nel breve tempo: provocarono la fine dei governi di solidarietà nazionale e bloccarono il «compromesso storico», ritardando il compimento dell'evoluzione comunista. Il secondo, conseguenza del primo, nel tempo più lungo: innescarono una crisi delle classi dirigenti italiane, un deterioramento progressivo della loro qualità, l'incapacità del sistema di autoriformarsi nella fase di passaggio dal regime bloccato della Guerra fredda al regime dell'alternanza del post Guerra fredda, la rottura del patto costituzionale, lo smantellamento dell'industria pubblica, la caduta di prestigio e la perdita di ruolo internazionale dell'Italia. Tutto quello che era stato così faticosamente costruito nel dopoguerra andò in frantumi. Compresa la nozione stessa dell'interesse nazionale. E il nostro paese, che era entrato nell'empireo delle economie mondiali e si era conquistato un ruolo di primissimo piano nel Mediterraneo, in Africa e nel Medio Oriente, alla fine si ritrovò retrocesso al rango di «potenza di terza classe», per dirla con le parole di Alan Campbell", un alto funzionario del Foreign Office.
Campbell, il 14 aprile 1976, aveva presieduto al ministero degli Esteri britannico "una riunione estremamente delicata e, naturalmente, top secret" in cui venne approvato "un documento di diciannove pagine con le proposte per impedire al Pci l'accesso al governo" senza escludere «un possibile colpo di stato».
Nelle pagine del "Golpe inglese", gli Autori ricostruiscono "quel filo rosso che nel Novecento, fino all'assassinio di Moro, ha sempre caratterizzato la politica britannica e le sue azioni «coperte» in Italia. Si riscontrano così delle costanti storiche che si ripresentano di continuo, nonostante i contesti mutino radicalmente, determinate dall'unica vera stella polare che ha sempre orientato l'impero britannico: il proprio interesse nazionale". |