Gizella Nemeth Papo – Adriano Papo
I turchi nell'Europa centrale Da Gallipoli a Passorowitz (secc. XIV-XVIII)
Carocci Editore, pagg.202, € 23,00
Il volume ricostruisce la storia del processo di espansione ottomana nei Balcani e nell'Europa centrale a partire dall'occupazione della penisola di Gallipoli, sulla costa europea dei Dardanelli, nel 1352-54 fino alla conquista dell'isola di Creta ("o Candia com'era chiamata allora dal nome della sua capitale"), "l'ultimo significativo successo delle armi ottomane" giunto al culmine della "lunga guerra condotta contro Venezia (1644-69)", dando conto anche della fase declinante dell'impero osmanico intervenuta tra il Seicento e il Settecento "con la cacciata dei turchi dall'Ungheria, grazie soprattutto alla capacità militare del principe Eugenio di Savoia".
Alla base dello sviluppo territoriale dello Stato ottomano ci fu senza dubbio l'ideologia della guerra santa. "Tuttavia – spiegano gli Autori -, l'espansione osmanica poggiava pure su motivazioni di carattere economico: con la conquista dell'Anatolia, di Costantinopoli, della Crimea, del Vicino Oriente e dell'Egitto, gli ottomani avrebbero potuto esercitare il controllo delle vie commerciali tra l'Asia, il mar Nero e il Mediterraneo orientale. Con la conquista dell'Egitto avrebbero controllato anche il mar Rosso e quindi il commercio delle spezie, che, provenienti dall'Oceano Indiano, erano destinate ai mercati europei. Gli ottomani si differenziavano dagli altri popoli turcomanni dell'Anatolia in quanto perseguivano prevalentemente una politica d'espansione territoriale anziché una politica volta solo all'accaparramento del bottino".
Mentre l'avanzata ottomana in Anatolia e nell'Europea sudorientale "fu all'inizio rapida e travolgente", la risalita della penisola balcanica conobbe un rallentamento dovuto allo scontro "con entità politiche sempre più importanti, potenti e agguerrite" come la Bulgaria, la Serbia e, soprattutto, l'Ungheria, "destinata a divenire l'antemurale della cristianità".
Un grande alfiere della lotta antiottomana fu Mattia detto il Corvino, re d'Ungheria dal 1458 al 1490 e figlio di Giovanni Hunyadi, che sconfisse l'esercito ottomano nella battaglia di Niš del 1443. "Mattia – si legge nel testo – fu un autentico sovrano nazionale, che si prefiggeva come obiettivo principale la creazione d'un grande regno magiaro, anziché la difesa della cristianità dai suoi nemici esterni".
Il XVI secolo, caratterizzato dal regno di Solimano il Legislatore (detto il Magnifico in Occidente), "rappresenta l'apogeo dell'impero ottomano, il periodo di massima espansione territoriale e sviluppo economico e culturale". Il 27 settembre 1529, "il sultano si accampò davanti alle mura di Vienna", ma, "dopo molti assalti e 12-14 battaglie, il 15 ottobre l'esercito ottomano dovette abbandonare l'impresa e ritirarsi" a causa della fame, delle malattie, del freddo.
Il 7 ottobre 1571 ebbe luogo la celebre battaglia di Lepanto, uno dei più cruenti scontri navali della storia marittima, culminata nella "vittoria netta dei crociati: 20-30.000 furono le perdite umane tra i turchi, 3.500 circa i prigionieri, circa 150 le navi ottomane catturate, una trentina quelle affondate". Pur non avendo sortito "alcun effetto sui rapporti veneto-ottomani", essa costituì un "importante segnale che avvertiva l'Occidente della vulnerabilità, specialmente in campo navale, dell'impero osmanico".
L'analisi si interrompe con la pace di Passorowitz, firmata il 21 luglio 1718 "tra l'imperatore Carlo VI e la repubblica di Venezia da una parte, il sultano Ahmed III dall'altra", che sancì "l'inizio della fine della potenza osmanica in Europa".
Secondo gli Autori, l'impero ottomano "può vantare almeno due grossi meriti" nei confronti della civiltà occidentale: il primo consiste nell'aver "favorito la nascita di una identità europea", il secondo nell'aver "garantito ai paesi dei Balcani, del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale secoli di stabilità politica". |