Gli ultimi giorni di Giangiacomo Feltrinelli Stampa E-mail

Aldo Grandi

Gli ultimi giorni di Giangiacomo Feltrinelli

Chiarelettere, pagg.242, € 18,00

 

grandi ultimi  Il 15 marzo 1972, intorno alle 15.15, in località Cascina Nuova di Segrate, un agricoltore rinveniva nel proprio terreno ("coltivato a grano germogliato alto una ventina di centimetri") "il cadavere di un uomo disteso a terra sotto un traliccio dell'alta tensione", "il numero 71 della linea elettrica dell'Azienda elettrica municipale milanese". Quel cadavere "dilaniato dallo scoppio di un ordigno, presumibilmente candelotti di dinamite" apparteneva a Giangiacomo Feltrinelli, "uomo tra i più ricchi d'Italia, fondatore di un istituto storico e di una casa editrice di straordinario successo, più volte alla ribalta della cronaca mondana, culturale e politica".

  "Molti dissero e scrissero – ricorda Aldo Grandi -, sin da quando fu identificato il cadavere e nei mesi e anni a venire, che Giangiacomo Feltrinelli era stato assassinato. Accade ancora oggi, a cinquant'anni di distanza. Su quali basi abbiano potuto sostenere questa tesi non è dato saperlo, se non ricorrendo alla solita dietrologia, tanto cara alla sinistra". Nelle ore successive alla scoperta del cadavere, infatti, Camilla Cederna lanciò un appello – sottoscritto da numerosi intellettuali – in cui si sosteneva esplicitamente la tesi dell'assassinio.

  Grandi, in questo bel saggio da poco in libreria, spiega in maniera precisa e sulla base di documenti e testimonianze inedite come avvenne in realtà quel tragico evento di cinquant'anni or sono "anche al di là di recenti tentativi non tanto di studiare e riscrivere la storia, quanto di inventarsela di sana pianta. Non ci furono personaggi misteriosi, agenti segreti e spie infiltrate chissà come chissà perché. Nessuno le ha incontrate, nessuno le ricorda, nessuno, soprattutto, ne ha mai sentito parlare tra coloro che furono i protagonisti diretti e indiscutibili di questa tragedia tutta italiana, è bene precisarlo".

  Ma che cosa ci faceva quel giorno Feltrinelli in località Cascina Nuova di Segrate? "L'idea di far saltare i tralicci – scrive l'Autore – era una sua costante. Lo hanno raccontato diversi tra coloro che gli erano vicini. Feltrinelli era rimasto profondamente colpito da quello che era stato il più grande blackout nella storia degli Stati Uniti", quello del novembre 1965 a New York che intrappolò nella metropolitana decine di migliaia di persone.

  "Quando decise di provare a minare i tralicci alla periferia di Milano – aggiunge Grandi -, l'obiettivo di Feltrinelli era senza dubbio ricreare il clima di caos che era stato provocato in quella notte americana".

  Già in precedenza l'editore milanese aveva partecipato ad altri attentati con l'esplosivo, ma "non era stato lui di persona a installare le cariche". A Cascina Nuova di Segrate, invece, Feltrinelli "voleva dimostrare di essere capace di fare da sé" e "rispondere con i fatti alla critica delle parole e ai suoi stessi fantasmi". Doveva essere una sorta di "battesimo del fuoco, e probabilmente per questo si portò dietro due neofiti, che non avevano mai preso parte ad azioni del genere".

  "Come al solito" però, osserva Grandi, "si era preparato male e in fretta. La sua irruenza andava a braccetto con l'improvvisazione e con l'assoluta assenza di manualità".