Pindaro, Tutte le opere |
Pindaro Tutte le opere. Testo greco a fronte Bompiani, pagg.704, Euro 30,00
IL LIBRO - Nella presente edizione vengono pubblicate tutte le opere di Pindaro (520-518 a.C.), il più grande esponente della lirica corale arcaica. Nell’edizione alessandrina, la produzione di Pindaro, eccezionalmente ampia, occupava 17 libri ordinati per generi: Inni, Peani, Prosodi, Parteni, Iporchemi, Encomi, Treni, Epinici. Sopravvivono integralmente solo quattro libri degli Epinici, divisi secondo le gare panelleniche di cui celebravano i vincitori: essi contengono rispettivamente 14 odi Olimpiche, 12 Pitiche, 11 Nemee, 8 Istmiche. Le altre opere sono note solo da numerosi frammenti in cui appaiono grandiose descrizioni del mondo divino, racconti mitici, solenni enunciati etici e anche tratti di arguta grazia e voci d’amore. L’epinicio di Pindaro si articola secondo tre linee tematiche svolte con grande varietà di motivi: l’elogio, che contiene un succinto riferimento al vincitore e all’occasione sportiva; il mito, collegato sovente con la famiglia o con la patria del celebrato, che costituisce la parte di maggiore ampiezza e impegno poetico; e la gnome, ossia l’enunciazione di sentenze religiose e morali. Enzo Mandruzzato ci restituisce con la sua traduzione un “Pindaro arcaico” in tutta la sua lontananza: considerato per tutta l’antichità di gran lunga il maggiore dei lirici, come diceva Quintiliano, parrebbe infatti inassimilabile al mondo moderno. Eppure il soggiorno nel suo mondo arcaico – è la tesi del saggio introduttivo – non è meno attraente di quelle civiltà lontane che proprio oggi si cerca di conoscere e di non lasciar perire. Ma con la luce del mondo greco, l’energia dell’intelligenza e il gusto del gratuito, che sono il seme di tutte le conquiste della civiltà occidentale.
DAL TESTO - "Oltre i monti c'erano due sacri richiami: la sacra Delfi e la più intelligente, la già nemica Atene. Quando vi andasse Pindaro e quanto e come vi stesse è problematico, perché la guerra era scoppiata subito dopo le riforme democratiche di Clistene del 508 e durò incattivita per un numero di anni e con una conclusione che Erodoto si dimenticò di precisare. Ma non si può credere che Pindaro ci andasse prima, in età infantile; dovettero esserci schiarite che aprirono, almeno eccezionalmente, quei confini pieni di rancore comunale. Certo ad Atene ebbe il suo principale maestro, Laso di Ermione, riformatore del ditirambo, ricordato da Pindaro con considerazione. Vi conobbe forse Simonide e certo Eschilo, di cui ammirò «il linguaggio grande». Molte cose avrà ammirato ad Atene, e soprattutto gli ateniesi, la loro cultura acerba e pia, già protetta dai Pisistratidi, la loro «agorà tutta arte», come la evocò dopo la distruzione quando non poteva essere in gran parte che un indimenticabile ricordo".
L'AUTORE - Pindaro nacque a Cinocefale, vicino a Tebe, intorno al 520-518 a.C., dalla nobile famiglia degli Egidi, originari di Sparta e fondatori del culto gentilizio di Apollo Carneo, secondo quanto il poeta stesso afferma nella sua Pitica V. Sarebbe stato avviato alla poesia dalle due poetesse beotiche Mirtide e Corinna, ma avrebbe poi cercato ad Atene altri insegnanti, alla scuola dei quali avrebbe appreso la sapiente tecnica che lo contraddistingue. Nel 498 a.C. cantò nella Pitica X la vittoria del tessalo Ippocle, conquistata a Delfi nella corsa dei ragazzi, e - celebrando questo discendente della nobile stirpe tessala degli Alevadi - Pindaro iniziava così la sua illustre carriera di poeta aristocratico, cantore dei trionfi agonali degli atleti e degli epigoni delle più antiche famiglie. Preso dalla volontà di celebrare il passato, si sentiva estraneo al presente delle Guerre Persiane e degli ideali panellenici che esse avevano reso predominanti nella cultura del tempo. Quando, nel 480 a.C., la politica di Tebe divenne apertamente filopersiana e la città, governata da un gruppo di aristocratici, accolse pacificamente gli inviati di Serse, mandando perfino un contingente militare, che combatté a Platea (479 a.C.) a fianco dell’armata persiana, Pindaro faceva parte della classe aristocratica che era venuta a patti col nemico. I motivi che lo spingevano, tuttavia, non erano di tipo politico: si sentiva infatti ispirato dall’ideale di vita eroico, remoto e in stridente contrasto con i regimi democratici che in quegli anni si diffondevano sempre più nelle città dell’Ellade. I miti eroici aristocratici erano i medesimi che rivedeva nelle figure degli atleti, vincitori delle gare olimpiche e pitiche, nemee ed istmiche, che avevano luogo in festività solenni, capaci di attirare ancora l’attenzione di tutta l’Ellade, in un superamento completo, anche se momentaneo, degli innumerevoli contrasti interni. Dopo la fine del conflitto, tuttavia, volle ripensare il suo iniziale giudizio e si dedicò a celebrare con uguale slancio la vittoria di Salamina (Istmica V) ed il ruolo di Atene, “baluardo dell’Ellade” (Fr. 77). Pindaro visse gli anni fra il 476 e il 460 a.C. in Sicilia. Le grandi città sicule erano una presenza costante ed attiva nei giochi e inviavano i loro campioni soprattutto a quelle gare che erano sinonimo di nobiltà e dimostrazione di ricchezza: le corse dei cavalli e quelle dei carri. Il poeta volle esaltare i tiranni della Sicilia, ponendoli sullo stesso piano degli antichi monarchi, il cui potere discendeva direttamente da Zeus. Con Terone di Agrigento, a cui dedicò la II e la III Olimpica, Pindaro instaurò anche un rapporto di amicizia. Fra gli altri illustri committenti di Pindaro possiamo citare il tiranno di Siracusa, Ierone, per il quale il poeta compose, nel periodo fra il 476 e il 470, l’Olimpica I e la Pitica I. L’amicizia fra Pindaro e Ierone, tuttavia, non durò a lungo, a causa della simpatia che egli accordò a due poeti di Ceo, Simonide e Bacchilide: Ierone, infatti, affidò proprio a quest'ultimo l’incarico di celebrare la sua vittoria nella corsa delle quadrighe, riportata alle Olimpiadi del 468 a.C. Pindaro, lasciata quindi la Sicilia, visse in molti luoghi: Egina, Rodi, Corinto e Ceo, sempre presso corti e famiglie aristocratiche. Dopo il 460, tuttavia, la produzione di Pindaro si fece meno intensa e più pessimistica. La democrazia ateniese aveva assunto la funzione di polo politico dell’Ellade, e Tebe era stata sottomessa per circa un decennio, mentre il santuario di Delfi, con il suo culto così legato agli antichi ideali aristocratici, era finito sotto il dominio dei Focesi. Di fronte al crollo progressivo ed irreversibile di tutti i valori che erano stati la sua ragione di vita e di poesia, Pindaro non poteva sottrarsi ad una visione sempre più triste e delusa dell’esistenza. Sull’ultima fase della vita di Pindaro non disponiamo di notizie sicure: secondo la tradizione antica, il poeta ottantenne morì ad Argo, verso il 438 a.C.. (Fonte: http://www.antiqvitas.it/personaggi/g.pind.htm)
INDICE DELL'OPERA - Introduzione, di Enzo Mandruzzato - Nota bibliografica - Nota editoriale - Olimpiche - Note alle Olimpiche - Pitiche - Note alle Pitiche - Nemee - Note alle Nemee - Istmiche - Note alle Istmiche - Frammenti - Note ai Frammenti - Indice generale |