Crisi della civiltà liberale e destino dell’Occidente Stampa E-mail

Giampietro Berti

Crisi della civiltà liberale e destino dell'Occidente
nella coscienza europea fra le due guerre


Rubbettino Editore, pagg.625, € 28,00

 

berti crisi  L'analisi sviluppata in questo ampio volume di Giampietro Berti (professore emerito di Storia ordinaria presso l'Università di Padova) ruota attorno alla crisi della civiltà liberale fra le due guerre e mira a rintracciare, "sul piano della storia delle idee, le ragioni per cui, a fronte di visioni del mondo radicalmente avverse alle sue finalità ideali (come lo sono stati il comunismo, il fascismo e il nazismo), essa non è stata in grado di difendere il cuore stesso della sua ragion d'essere, ovvero la libertà".

  Il libro – dedicato alla memoria di Domenico Settembrini e Luciano Pellicani, "indimenticabili maestri del pensiero libero e critico" - è diviso in dieci sezioni in cui viene analizzato il pensiero di svariati autori: Bergson, Sorel, Pareto, Croce, Gentile, Mises, Hayek, Kelsen, Spengler, Weber, Heidegger e altri. L'appendice, invece, "riporta l'analisi di alcuni autori contemporanei – Augusto Del Noce, Eric Hobsbawm, Ernst Nolte, Domenico Settembrini, Luciano Pellicani -, i quali a vario titolo hanno indagato i temi relativi al liberalismo, all'anarchismo, alla democrazia, al socialismo, al comunismo, al fascismo e al nazismo sullo sfondo del problema generale del totalitarismo".

  Secondo l'Autore, "i totalitarismi generati dalla Grande Guerra – peraltro già latenti – hanno manifestato nel corso dei due decenni successivi un'obiettiva convergenza oppositiva. Fra la Prima e la Seconda guerra mondiale la vera divisione politica e ideale non è passata tra il fascismo-nazismo e il comunismo (con la conseguente appendice fascismo-antifascismo, Resistenza), o tra il fascismo-nazismo da una parte e il comunismo e la democrazia liberale dall'altra (l'alleanza antifascista contro il nazifascismo), ma tra la civiltà liberale e i nemici della "società aperta". In termini generali, essa è definibile dalla contrapposizione fra libertà e non libertà".

  Il passaggio dall'età liberale all'età dei totalitarismi è contrassegnato dai seguenti punti focali "che segnano la vittoria dell'antilibertà sulla libertà aprendo la strada ai totalitarismi": "l'affermazione delle ragioni della forza su quelle del diritto; il sopravanzare del mito sulla razionalità, e quindi del pathos sul logos; la divinizzazione della politica e il definitivo affermarsi dell'homo ideologicus; il trionfo del collettivo sull'individuale e del gregarismo di massa sulla volontà del singolo; il disprezzo per lo spirito e il vivere borghese".

  La crisi dell'Europa, intesa "come crisi dei regimi liberali e, più in generale, come crisi di civiltà", per Berti rappresenta "l'approdo di un processo iniziato nella seconda metà dell'Ottocento, che aveva visto i segni premonitori annuncianti il suo declino nell'affacciarsi della Russia come potenza euroasiatica evocante la mai sopita contrapposizione Europa-Asia (quasi a conferma del sarcasmo di Nietzsche, che segnalava il paradosso di un'Europa che, pur essendo una «penisoletta avanzata dell'Asia», vorrebbe rappresentare a tutti i costi «il progresso degli uomini»); nell'incipiente globalizzazione dell'economia, veicolo della crescente importanza mondiale degli Stati Uniti; nell'aumentato senso di insicurezza causato dalla volontà di potenza e dalle incrinature dell'equilibrio politico-diplomatico fra gli Stati, la cui definitiva rottura porterà alle tragiche decisioni dell'agosto 1914. L'Europa appare sempre più stretta fra le Russia, diventata dall'ottobre del '17 portatrice di una rivoluzione mondiale, e gli Stati Uniti, il cui protagonismo resta predominante, pur non aderendo alla Società delle Nazioni. A questo punto nel mondo intellettuale la consapevolezza del crepuscolo generale diventa senso comune: la Finis Europae è l'esito ineluttabile dell'evento bellico, grazie al quale l'Europa ha perso la propria centralità nella storia del mondo. Si spiega così la crisi dell'identità della sua coscienza, ovvero della sua «autorappresentazione come universalità» e come centro irradiante del pensiero filosofico e politico dell'Occidente".

  Nel Novecento, "secolo delle ideologie, precisamente della lotta fra ideocrazie, in seguito all'accentuarsi del passaggio dal trascendente all'immanente", si afferma la figura emblematica dell'intellettuale rivoluzionario, "forte della sua fede gnostico-manichea. Poiché la politica ha sostituito integralmente la religione (la politica è «la religione degli atei», Marc Bloch), diventando un'attività sacra, la sua morale si riduce all'identificazione fra etica e politica, secondo la stimmung propria del profetismo millenaristico e chiliastico, che esprime, allo stesso tempo, un sentire religioso e un'idea politico-sociale. È un'enfasi emozionale che lo porta a essere dominato da quella che Horkheimer chiamava la «nostalgia del Totalmente Altro». Ciò spiega l'estremismo autoreferenziale e la conseguente pratica della violenza rivoluzionaria che egli porrà in essere per dar seguito alle proprie finalità".