Luca Riccardi
Storiografia e diplomazia Storia delle relazioni internazionali e politica estera italiana
Società Editrice Dante Alighieri, pagg.263, € 19,50
In questo volume n.59 della Biblioteca della "Nuova Rivista Storica" pubblicata dalla Società Editrice Dante Alighieri, Luca Riccardi (professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali presso l'Università di Cassino e del Lazio meridionale) ha raccolto sette saggi usciti precedentemente in riviste e volumi collettanei su temi meritevoli di approfondimento e – come si legge nell'Introduzione – "decisivi per poter delineare in maniera più completa il profilo della politica estera italiana della seconda parte del tempo della Guerra fredda, in particolare degli anni Settanta e Ottanta".
La Storia delle relazioni internazionali ha assunto diversi aspetti nel corso dei decenni, offrendo "un contributo essenziale agli sviluppi della più vasta conoscenza storica. In Italia ha avuto un suo più che degno itinerario, anche se non privo di contraddizioni e contrasti. Ma è stato, come quello della storiografia più in generale, uno dei prodotti – anche se non il più popolare – dell'evoluzione della società da cui, nonostante ci sia chi lo pensi, non si è mai isolato. Tutti gli sviluppi, a questo punto, sono possibili, tutte le evoluzioni sono ipotizzabili e, in qualche caso, anche auspicabili. Rimane però la lezione di una disciplina che, non rifiutandosi di dialogare, con le sue peculiarità, con le altre branche del sapere, ha contribuito alla ricchezza della cultura italiana, ma anche europea, di cui è sempre stato parte più o meno rilevante, ma senz'altro integrante".
Nella storiografia italiana, è andata gradualmente affermandosi la tendenza "a una sempre maggiore compenetrazione tra la politica estera e altri altrettanto interessanti campi d'indagine come la politica interna, l'economia, le diverse istituzioni dello Stato o la cultura. Si sono visti progressivamente cadere steccati che vedevano gli storici delle relazioni internazionali – ma non solo – non tenere in debito conto aspetti reputati estranei che, in realtà, avevano profondamente influenzato gli eventi che stavano prendendo in esame. Tutto ciò ha rappresentato un progresso soprattutto perché ha consentito una rappresentazione del passato, in questo caso dell'azione internazionale dell'Italia, più vicina a ciò che veramente è accaduto".
Nella seconda parte del volume, l'Autore approfondisce alcuni aspetti particolari della politica estera italiana. Tra questi, l'atteggiamento dei comunisti italiani di fronte alla nascita dello Stato d'Israele. A tal proposito, Riccardi spiega che la Direzione del PCI, nel maggio 1948, "si affiancava, con una certa decisione, alla linea fino a quel momento espressa dall'Unione Sovietica: riconoscimento dello Stato d'Israele, in quanto espressione del manifesto desiderio di una popolazione mediorientale di affrancarsi dal dominio coloniale delle potenze europee capitaliste". Un ruolo importante rivestì il senatore comunista di origini ebraiche Umberto Terracini ("La personalità comunista più rappresentativa, che si occupò con maggiore intensità della questione di Israele", osserva Riccardi), che "presentò al ministro degli Esteri Sforza una decisa interrogazione parlamentare, richiedendo le motivazioni per cui l'esecutivo non avesse ancora deciso di avviare relazioni diplomatiche con il nuovo Stato ebraico".
Il 5 agosto 1969, Aldo Moro "veniva nominato ministro degli Esteri". L'azione dello statista democristiano alla Farnesina, secondo l'Autore, "potrebbe apparire oscillante tra un estremo pragmatismo e un irrealizzabile e utopico «oltre» che la politica estera italiana non ha mai raggiunto". Egli, in realtà, "era irrimediabilmente un gradualista. E dunque intendeva motivare ogni passo che compiva con il fine ultimo, anche se lontanissimo, della sua politica". Nonostante il difficile contesto della fine degli anni Sessanta, "Moro non rinunciò a costruire per l'Italia un profilo internazionale che fosse all'altezza dei passi in avanti che la società aveva compiuto nei trent'anni del dopoguerra".
Negli anni Settanta, fu Giulio Andreotti a ereditare i "complessi esiti dell'azione di Moro". Egli "continuò a sentire il richiamo della ricerca del dialogo in Medio Oriente: cominciò a intensificare le relazioni, anche personali, con il governo siriano, che poi sarebbero divenute, negli anni successivi, un cardine della sua azione internazionale".
In quel periodo, cominciò ad apparire prepotentemente il "fattore europeo", che "produsse importanti mutamenti della politica estera italiana", in particolare nei confronti del Medio Oriente. "La Comunità europea – scrive Riccardi – divenne non solo l'ambito dove affermare una certa linea politica; ma essa stessa si trasformò progressivamente in un luogo di formazione di una strategia verso il Medio Oriente che permise all'Italia di poter continuare in qualche modo a cercare di recitare quel ruolo di primo piano cui aveva sempre aspirato". |