Margherita Frare
Tribuno contro tribuno Tiberio Gracco versus Marco Ottavio Seconda edizione riveduta
Jovene editore, pagg.224, € 24,00
Questa monografia di Margherita Frare viene data alle stampe, nella collana "Abbrivi" di Jovene editore, nella seconda edizione riveduta e accresciuta nell'apparato bibliografico e ricostruisce "il retroterra giuridico e gli esiti costituzionali di un episodio cruciale della storia del tribunato della plebe e, in generale, della Roma repubblicana: la destituzione del tribuno Marco Ottavio, deliberata dai concili plebei dopo che questi si era rifiutato di ritirare il vero posto alla legge agraria di Tiberio Gracco, nel mal celato intento di favorire gli interessi dell'aristocrazia terriera".
Tra gli avversari che Tiberio Gracco ebbe modo di incrociare "lungo il suo breve percorso politico", Marco Ottavio fu quello che indubbiamente esercitò "il ruolo più ostativo". La gens Octavia era "una delle più antiche di Velletri" e "fu elevata al rango senatorio dal re Servio Tullio, ritornando plebea nei secoli successivi per essere infine reintegrata nella sua antica dignità da Giulio Cesare". Marco Ottavio proveniva "dal ramo più illustre della famiglia, quello discendente da Gneo Ottavio, pretore nel 205 a.C.", come riferisce Svetonio. L'ubicazione della casa paterna sul colle Palatino, "divenuto in età repubblicana il luogo di abitazione prediletto dalla classe politica e dai maggiorenti della città", testimonia l'"elevatezza del rango di cui godeva la famiglia".
"Al di là delle possibili ragioni personali alla base della loro conflittualità", l'Autrice ritiene che "dietro ai protagonisti dello scontro si nascondano le due anime della società repubblicana: da un lato il popolo, composto dai piccoli agricoltori e da un proletariato urbano in crescita; dall'altro i grandi proprietari terrieri, in prevalenza aristocratici, ma non solo. In altri termini, i poveri e i ricchi". Quindi, lo scontro ebbe luogo "tra ceti contraddistinti principalmente dalla diversa condizione economica più che dalla diversa genealogia, che continua a pesare ma su un piano secondario".
Utilizzando "le due principali fonti di riferimento, Appiano e Plutarco" (non del tutto attendibili, peraltro, e tra loro talvolta discordanti), la studiosa ricostruisce in maniera dettagliata la vicenda dell'approvazione della legge di Tiberio Gracco, suddividendola "in tre atti ed un epilogo: un primo tentativo di votazione della legge agraria, interrotto dal veto di Ottavio; un secondo tentativo interrotto, ancora una volta, dal veto di Ottavio; una terza votazione, andata a buon fine grazie alla destituzione, di poco precedente, di quest'ultimo e, infine, il discorso pronunciato da Tiberio al popolo per giustificare la sua presa di posizione nei confronti del collega".
Con la riforma agraria Tiberio intendeva "imprimere una scossa immediata al senato, sperando comprendesse che attraverso un più equanime accesso alla ricchezza, in primo luogo fondiaria, si sarebbe ottenuta anche una maggiore coesione sociale di cui Roma, aspirando a divenire un impero, aveva primario bisogno". Pertanto, aspirava "a una riforma sociale con cui appianare le sperequazioni economiche e dare nuovo vigore, anche politico, al popolo".
Dal canto suo, Ottavio, nell'opporre il veto alla Lex agraria, era animato dall'intento di agire "contro la palese volontà del popolo per favorire la nobiltà terriera, oltre che i propri interessi".
Secondo l'Autrice, "al di là del tragico epilogo delle riforme agrarie e dello scontro sociale che ne derivò, il vero successo politico di Tiberio" risiede "nell'aver influenzato, correndo sottotraccia nella Storia, la riflessione dell'occidente giuridico in molti ambiti del diritto pubblico". |