Testimoni di un secolo Stampa E-mail

Ugo Intini

Testimoni di un secolo
48 protagonisti e centinaia di comprimari raccontano il secolo breve


Baldini+Castoldi, pagg.652, € 25,00

 

intini testimoni  Ugo Intini, già direttore del quotidiano "Avanti!" ed esponente di punta del Partito socialista all'epoca di Craxi, ha raccolto in questo ampio volume 48 ritratti di uomini politici, giornalisti e Capi di Stato che ebbe modo di conoscere personalmente, raccontando aneddoti, curiosità, impressioni relativi agli stessi.

  Giulio Andreotti, definito la "quintessenza dei democristiani" ("o almeno di quelli più «papalini»"), è stato tra gli esponenti della Dc quello maggiormente frequentato dall'Autore. Tale frequentazione ebbe inizio all'inizio degli anni Ottanta e proseguì a lungo. Intini ricorda il primo incontro con il Divo Giulio a Montecitorio nell'estate del 1983: "mi si è avvicinato, mi ha dato la mano e mi ha detto: «Ciao, sono Giulio»". "Nei decenni non ha mai cambiato look: tra il grigio scuro e il nero. Era impassibile, i muscoli della faccia sembravano assenti. Non l'ho mai visto ridere apertamente. Dietro le spesse lenti, ridevano però gli occhi e proprio loro (soltanto loro) rivelavano talvolta tracce di emozioni. Mai alzava la voce (che era un po' nasale) e mai neppure cambiava il tono. Né sembrava arrabbiarsi né rallegrarsi: qualunque cosa accadesse. Mi colpiva positivamente l'assoluta mancanza di enfasi e di retorica: esponeva in estrema sintesi lo stretto necessario, con semplicità e concretezza. Ma proprio qui talvolta mi irritava".
Indro Montanelli "era un toscanaccio, ruvido e franco sino alla villania. La sua durezza mi sembrava frutto dei tempi in cui si è formato (non certo soft come i nostri). Però a volte mi esasperava", racconta Intini. "La maldicenza – aggiunge – era il suo stile letterario preferito", ma "è stato un maestro di professionalità. Anche per me. Il suo anarchismo a volte apparentemente confusionario e improvvisatore nascondeva un rigore, un sacrificio e una attenzione ai particolari senza pari, che nulla lasciava al caso. Una volta, quando già era molto anziano, gli ho detto che ammiravo la sua lucidità straordinaria e che sarei stato felice, un giorno, di invecchiare come lui. «No», mi rispose improvvisamente incupito, «sai, a volte, mi accorgo che mi manca una virgola»".

  Riguardo al generale Wojcieh Jaruzelski, che nel 1981 guidò il colpo di Stato in Polonia, l'Autore scrive che "era un patriota: aveva capito che i russi avrebbero invaso" il suo Paese per "liquidare Solidarnosc e la nuova classe dirigente democratica. Perciò aveva deciso di fare lui, da patriota, in modo il più possibile indolore, quello che avrebbero fatto, con ben altra brutalità, i russi". Il generale nulla aveva di marziale, a parte "la postura rigida e severa. Sembrava avesse mangiato una sbarra di ferro, ma qualcuno diceva che indossava un busto per seri problemi alla schiena, acquisiti quando, giovanissimo, nel 1939, era stato deportato con la famiglia dai russi in Kazakistan e costretto ai lavori forzati in miniera. Dicevano che anche gli occhi erano diventati evanescenti per le sofferenze di quel periodo: a causa dei riflessi sulla neve".

  Nel 1978 "e poi ancora nel novembre 1981", Intini accompagnò Craxi a Bucarest in visita da Nicolae Ceausescu. "Grigi erano gli edifici corrosi dal carbone e dallo smog, grigia la neve nelle strade, vestiti di grigio gli abitanti. Anche Ceausescu (con il quale avemmo tre ore di discussione serrata) e anche la moglie Elena". Il Conducator era "un omino piccolo e magro, dagli abiti (appunto grigi), troppo larghi, con un sorriso triste". Egli – riconosce l'Autore – aveva "certo molte colpe", ma "il processo farsa durato un'ora il giorno di Natale del 1989 e la immediata fucilazione furono un'infamia".

  A Pyongyang, nell'estate 1982, Intini trovò un'atmosfera "surreale, ma non sinistra, anzi: da operetta". Il centro della Capitale nordcoreana "ricordava per la sua architettura l'EUR, ma il traffico era quello che a Roma si trova alle tre di notte". Kim Il-sung, il Grande Leader, "avrebbe accettato una intervista (soltanto Le Monde l'aveva in precedenza ottenuta), ma non di persona e a voce, bensì con domande scritte. Kim aveva appena compiuto settant'anni, con feste incredibili ancora in corso: era un mito e una entità quasi sovrannaturale, che pertanto non si poteva vedere a quattr'occhi".

  Svariati invece sono stati gli incontri con Yasser Arafat. Il leader palestinese – nel ricordo di Intini - "non era bello" e "neppure particolarmente simpatico. Piccolino, abito "finto militare", immancabile kafia, naso prominente, labbra troppo spesse, pochi peli di barba e baffi (grigi e bianchi), ti guardava con occhietti che sprizzavano furbizia, un poco prominenti, talvolta brillanti e quasi allucinati". "Ti prendeva sottobraccio come un vecchio amico, si spostava con te tenendoti per mano, come i bambini (con una mano stranamente piccola, anch'essa quasi da bambino). Ma era un fascinatore soprattutto verso i giovani. E questo era inquietante, perché avrebbero fatto per lui qualunque cosa".