H. James Burgwyn
Mussolini e la Repubblica di Salò Il fallimento di un regime fantoccio
Castelvecchi Editore, pagg.420, € 29,00
Con il sottotitolo assegnato a questo volume - "Il fallimento di un regime fantoccio" – H. James Burgwyn (professore emerito di Storia presso la West Chester University di Philadelphia, in Pennsylvania) intende manifestare in maniera inequivocabile il proprio giudizio riguardo alla Repubblica sociale italiana, evitando tuttavia di utilizzare nel testo l'appellativo di "repubblichini" per designare i sostenitori della RSI "in favore del più neutro "repubblicano"". Spiega, infatti, che il primo è "un termine dispregiativo che li denota come seguaci passivi della RSI e biechi "servi di Hitler"".
In realtà, molti italiani che scelsero di aderire alla RSI "furono mossi fondamentalmente dagli stessi motivi che avevano spinto i loro concittadini a unirsi al Regno del Sud o alla Resistenza: creare una "Italia nuova" e portare avanti elementi patriottici e di onore nazionale, dove la patria era il vero fine, al di là della visione politica e ideologica".
Segretario del Partito Fascista Repubblicano venne nominato Alessandro Pavolini, "esile e istruito", "un vero intellettuale fascista": "Per preservare la purezza del fascismo – scrive l'Autore – era pronto a offrire la propria vita". Il PFR "avrebbe guidato il Paese contro i barbari Alleati e contro quel doppiogiochista di Badoglio che rispondeva ai bombardamenti alleati lasciando a terra i propri aerei, in un silenzio assordante e complice".
Il segretario del PFR diede vita alle "Brigate Nere, BN, il Corpo Ausiliario delle Squadre d'azione delle Camicie Nere, un ritorno allo squadrismo dei primi anni Venti, la "primavera" del fascismo". "Un fascismo militarizzato (un esercito politico) – aggiunge l'Autore - avrebbe sostituito il fascismo come partito. Si spalancava così una porta per i radicali che, grazie agli squadristi delle BN, intendevano trasformare il pachidermico apparato burocratico e l'inefficiente GNR in un'arma in grado di costringere con la forza la popolazione ad accettare un governo nuovo a base allargata. Le BN di Pavolini sarebbero state gli "anti-Carabinieri", pronte a una guerra di religione contro l'Italia di Badoglio e il comunista Palmiro Togliatti".
Dal canto suo, Mussolini "voleva essere considerato come il "deus ex machina" della Repubblica, l'uomo in grado di superare la crisi. Il 15 settembre 1943 fece un passo cruciale emanando una direttiva che dava al PFR la responsabilità di intraprendere punizioni esemplari verso i tesserati del partito colpevoli di "comportamento vile" o considerati traditori dopo il crollo del regime. Questa misura piacque ai seguaci del Duce, a chi non era per i compromessi, a chi voleva punire i buoni a nulla, i fannulloni e i falsi alleati".
Dedicando un capitolo al rapporto tra la Repubblica sociale (che non venne mai riconosciuta ufficialmente dalla Santa Sede) e il mondo cattolico italiano, Burgwyn ricorda la figura di monsignor Borgongini Duca, "il nunzio apostolico presso la RSI, che il 15 ottobre 1943 si unì a Graziani in un appello per chiedere ai cattolici di fare il proprio dovere nel sostenere i fedeli combattenti di Salò, i difensori del Paese e della religione. A lui si unirono altre figure di spicco quali monsignor Nasalli Rocca, vescovo di Bologna, monsignor Boccoleri di Modena e monsignor Colli, vescovo di Parma". Viene pure rievocato don Tullio Calcagno, fondatore di «Crociata italica», definito "fomentatore d'odio".
Secondo l'Autore, la personalità di Mussolini fu in grado di imprimere "un forte segno nella RSI", consentendo al regime repubblicano di "rimanere in piedi" e di "avere una vita propria".
"Certamente – si legge ancora nel testo -, la RSI fu impegnata in una guerra contro nemici interni al fascismo e contro gli Alleati, in un sodalizio con il Terzo Reich. La percentuale di persone che volontariamente e apertamente, a tutti i livelli del regime di Salò, offrirono la propria collaborazione ai nazisti fu molto elevata". |