Cesare deve morire Stampa E-mail

Orazio Licandro

Cesare deve morire
L'enigma delle Idi di marzo


Baldini+Castoldi, pagg.352, € 20,00

 

licandro cesare  Orazio Licandro, professore ordinario all'Università di Catania, riapre con questo interessante saggio il dibattito sull'assassinio di Giulio Cesare, analizzando, "da altre angolazioni e con occhi diversi, le vicende istituzionali e le oscure trame che condussero a uno degli omicidi politici per eccellenza della storia occidentale e precipitarono ancora una volta Roma nella spirale della violenza e delle guerre civili".

  Due sono gli elementi che caratterizzano la ricostruzione dei fatti offerta dall'Autore: la "demistificazione delle ragioni dei cospiratori" e "l'analisi in profondità della forte influenza esercitata sulla storiografia antica e moderna".

  In "nuovo documento epigrafico rinvenuto nel corso di campagne di scavo condotte nel sito dell'antica Privernum, e in particolare nel sito della cattedrale alto medievale" è contenuto "l'elenco delle liste magistratuali dei turbolenti e cruciali anni del 45 e del 43 a.C., in cui maturò e si consumò la congiura cesariana delle Idi di marzo".

  Secondo l'Autore, la Tavola di Privernum in marmo bianco "forse lunense", attualmente conservata nel Museo della cittadina, "s'impone all'attenzione per le rilevanti novità del suo contenuto": "le notizie incise su quella tavola di marmo, oltre a fare della revisione della vicenda un passaggio obbligato, svelano sorprendentemente e sino in fondo cosa sia stata la dictatura perpetua e indicano una strada diversa per mettere in fila una serie di eventi e ricostruire con maggior precisione gli ultimi mesi di vita del dittatore".

  Licandro analizza in maniera scrupolosa dati, indizi e testimonianze riferibili "soprattutto a un tempo compreso tra la tarda estate del 45 a.C., quando cominciarono a mostrarsi le prime avvisaglie della congiura, e i mesi dell'inverno che precedette la primavera del 44 a.C.".

  Osserva ancora l'Autore: "Se è vero che Cesare ottenne la dictatura perpetua, cioè vitalizia come solitamente si interpreta, in spregio al mos, è lecito chiedersi come mai non ci furono opposizioni di sorta". In questo caso, il silenzio è "così assordante da apparire molto sospetto tanto da far pensare fortemente che sulla sbandierata, presunta, illegittimità costituzionale della carica i conti non tornino affatto".

  "La colpa più grave di Cesare – scrive Licandro -, e al tempo stesso l'errore micidiale che condusse alla sua uccisione, stette nella riluttanza ad avviare quel processo riformatore atteso da tanti, messo nero su bianco da Cicerone, e perseguito invece in ogni segmento con fredda e sagace determinazione da Augusto nei suoi lunghi quarant'anni di permanenza al potere. Cesare, rispetto ad Augusto, fu essenzialmente un uomo d'azione: consapevole dell'inadeguatezza delle istituzioni politiche del tempo, pensò di poter condurre la res publica fuori dalla crisi attraverso i successi militari. L'espansionismo era l'unica cura da lui immaginata e somministrata, e per molti anni il gioco funzionò e lui si convinse della giustezza della prospettiva delineata dalla sua azione. I giochi, le tortuosità, gli intrighi della politica romana non lo avevano mai catturato. Non riforme istituzionali, non un nuovo assetto della res publica, né tantomeno una monarchia di stampo ellenistico furono suoi obiettivi, perché la crisi istituzionale continuò a restar del tutto fuori della coscienza e della sua azione politica".

  La vita di Giulio Cesare fu troncata dalle "ventitré pugnalate vibrate nelle Idi di marzo del 44 a.C. (trentacinque secondo Nicolao Damasceno, ma soltanto una, la seconda, quella mortale inferta in pieno petto, secondo l'autopsia eseguita dal medico Antistio)". Quel tragico evento vanificò "il grande sogno romano di conquista dell'estremo Oriente, un sogno invano perseguito dai più valenti generali per tutto l'ultimo secolo repubblicano. La Storia aveva imboccato una strada diversa, non meno gloriosa e di straordinaria fecondità per i secoli a venire, certamente diversa, perché i pugnali dei congiurati paradossalmente non difesero le istituzioni repubblicane ma ne svelarono l'irreversibile debolezza e accelerarono la corsa verso una nuova, diversa res publica".