Paolo Morando
L'ergastolano La strage di Peteano e l'enigma Vinciguerra
Edizioni Laterza, pagg.304, € 18,00
Paolo Morando, giornalista e scrittore, ricostruisce in questo saggio la vicenda giudiziaria di Vincenzo Vinciguerra, uno degli autori dell'attentato di Peteano del 31 maggio 1972 in cui morirono tre carabinieri. Vinciguerra – che sta attualmente scontando l'ergastolo - si assunse la responsabilità di tale attentato nel 1984 e da allora ha offerto un decisivo contributo alla verità sugli anni della cosiddetta "strategia della tensione", facendo emergere la collusione tra l'estrema destra italiana, il Ministero dell'Interno e la Cia.
L'Autore spiega che "quella di Vinciguerra non è mai stata la collaborazione di un pentito in cambio di sconti di pena. Dal carcere infatti l'ergastolano non è mai uscito né – dice – mai uscirà, mai ha ottenuto premi o permessi né mai li chiederà. E pur senza disporre di registri e archivi del Dipartimento affari penitenziari, è ragionevole supporre che in Italia, oggi, nessuno sia ininterrottamente in carcere da più tempo di Vinciguerra. La sua autorevolezza in termini di conoscenza di uomini e malefatte dell'estrema destra, come ex componente prima di Ordine Nuovo e poi di Avanguardia Nazionale, è consacrata in numerose sentenze importanti. Ed è stata sancita anche in sede storiografica."
Secondo Morando, ciò che determinò Vinciguerra a "parlare" con il giudice istruttore veneziano Felice Casson nel 1984, a dodici anni di distanza dall'attentato di Peteano, è riconducibile "sostanzialmente a un fattore: il coinvolgimento nell'inchiesta del fratello e della sorella, in particolare del primo, concretamente indiziato in relazione agli attentati che precedettero Peteano. È a quel punto che in Vinciguerra scattò qualcosa, all'improvviso. E sarebbe stata una lunga estate di interrogatori: dopo la "confessione" in due tempi del 20 e 28 giugno, rieccolo davanti a Casson o ai suoi colleghi bolognesi il 29 giugno, il 7, 9, 14 e 19 luglio, il 2, 9, 10, 14 e 27 agosto, producendo sempre verbali fittissimi di nomi e circostanze. E tutto in gran segreto: nulla filtrò alla stampa, nessuno avrebbe saputo per settimane che per la prima volta un terrorista di estrema destra stava parlando, ammettendo la propria responsabilità per una strage. Fino a sabato 29 settembre, quando il quotidiano «La Nuova Venezia» (naturalmente ripreso il giorno dopo da tutta la stampa nazionale) titolò in prima pagina "Tutta la verità sulla strage di Peteano": i dettagli in realtà non c'erano, se non quello – importante – che Vinciguerra non aveva ancora fatto nomi di complici. Ma ciò che contava era la rivelazione che stava parlando con i magistrati".
L'attentato di Peteano aveva come obiettivo "militari e non civili" e – riconosce Morando – rappresenta "effettivamente un unicum nel tragico rosario di stragi neofasciste che hanno caratterizzato gli anni '70 italiani". La tesi da sempre sostenuta dall'ergastolano "è che quella strage costituiva appunto un attacco allo Stato, per via della manipolazione e strumentalizzazione dell'estrema destra che portava avanti per propri fini inconfessabili: la destabilizzazione dell'ordine pubblico come prodromo alla stabilizzazione dell'ordine politico".
Morando, tuttavia, esprime diversi dubbi a proposito della ricostruzione fornita dall'ergastolano: "e se quella del Vinciguerra soldato irriducibile, in guerra ancora oggi contro lo Stato, fosse tutta una autocostruzione successiva (e quindi non genuina) per "legittimare" un passo, quello della confessione/assunzione di responsabilità, che si è trovato costretto a compiere perché attorno a lui, e ai suoi più stretti familiari, il cerchio si stava inesorabilmente stringendo?". E ancora: "perché la telefonata ai carabinieri, per attirarli, non venne fatta già il 27? Perché lasciare un'autobomba pronta a esplodere per cinque intere giornate prima di decidersi a far scattare la trappola, visto che – parole di Vinciguerra – «volevo evitare in tutti i modi il coinvolgimento di civili, uomini, donne e bambini»? E quindi delle due l'una: o Vinciguerra e i suoi camerati erano inadeguati, diciamo così, alla formidabile determinazione che li muoveva, oppure ancora oggi qualcosa non torna".
Nel libro, vengono ricostruiti i depistaggi posti in essere "per tenere Vinciguerra e i suoi lontani dalle indagini. Ma non furono solo ufficiali dell'Arma a farlo: c'è tutto un capitolo che riguarda la polizia altrettanto incredibile. E una volta letto, capirete perché è davvero difficile dare completamente torto all'ergastolano quando afferma che apparati dello Stato agirono per occultare la verità".
Morando ha avuto modo di incontrare Vinciguerra nel carcere milanese di Opera il 27 gennaio 2022. Di tale interessante colloquio – durato "quasi tre ore" – offre un ampio resoconto nel capitolo intitolato "Faccia a faccia": "Vincenzo Vinciguerra si è appena seduto di fronte a me: la mascherina non è necessaria, ci divide un pannello trasparente".
Il libro non dà molto spazio agli aspetti biografici dell'ergastolano. D'altra parte, è stato lo stesso Vinciguerra a precisare all'Autore quanto segue: "non parli di me, perché lei non mi conosce e neanche gli altri con i quali ha parlato mi conoscono. Sono sempre stato riservato sulla mia privata e voglio continuare ad esserlo". |