Roberto Formigoni con Rodolfo Casadei
Una storia popolare Introduzione di Camillo Ruini
Edizioni Cantagalli, pagg.536, € 25,00
In questo libro, Roberto Formigoni ripercorre la propria vicenda umana e politica rispondendo alle domande del giornalista Rodolfo Casadei.
La prima parte del volume è dedicata al periodo compreso tra l'infanzia e l'incontro con CL. Parlando del decisivo e importante rapporto con don Giussani, Formigoni spiega che "a un certo punto mi è diventato chiaro che io dovevo seguire quell'uomo lì, obbedire a quell'uomo lì, immedesimarmi in quell'uomo lì. Lui era per me la via, l'unica via per raggiungere Cristo e insieme per realizzare me stesso. E così è stato, così è accaduto, al 100 per 100. Non è stato sempre un rapporto facile, anzi. Ma mi sono sentito molto amato da lui, che mi dedicava un'attenzione particolare, anche quando doveva richiamarmi con durezza. So benissimo che don Giussani ha dedicato un'attenzione particolare, personalizzata, a tante persone, e che cercava di averla per tutti: per nostra fortuna era fatto così! Nel mio caso l'attenzione particolare era dovuta anche alle responsabilità che mi erano state affidate: prima nella redazione culturale di CL, poi nel Movimento popolare, poi come parlamentare europeo e italiano, in¤ne come presidente di regione. Lui sentiva in sé la spinta ad aiutarmi a svolgere i miei compiti e a vigilare sulla coerenza del mio impegno rispetto all'educazione cristiana ricevuta. Giussani non entrò mai nelle questioni politiche speci¤che su cui mi trovavo a decidere, la sua fu un'attenzione alla persona di Roberto Formigoni, un aiuto alla mia crescita di fede. Ma proprio perché la fede non è qualcosa di disincarnato, aiutarmi a crescere nella fede signi¤cava anche aiutarmi ad essere più forte e più lucido nel giudicare gli avvenimenti del mondo e nel maturare dei criteri di fede per prendere decisioni in tutti gli ambiti della vita, compreso quello dell'impegno politico e delle responsabilità civili".
Nella seconda parte, vengono ricostruiti gli anni del Movimento Popolare, sodalizio politico gravitante attorno a CL e sorto a metà degli anni Settanta, dal cui gruppo dirigente Formigoni venne designato Presidente. "Volevamo dare vita a un movimento di cattolici – spiega l'Autore -. In noi era forte la memoria di quello che era stato il Movimento Cattolico in Italia a cavallo fra il XIX e il XX secolo, della presenza dei cattolici nella società italiana al tempo del "non expedit" attraverso l'Opera dei Congressi che aveva federato le mille iniziative sociali di quel tempo. L'esperienza di fede che stavamo vivendo ci portava ad esprimerci analogamente. In quegli anni erano nati in varie città, su iniziativa di nostri amici, numerosi centri culturali e varie librerie, che erano spesso diventate punto di riferimento e di animazione per l'intera società circostante".
"Trovammo due intelligenti sostenitori – aggiunge Formigoni - in due padri gesuiti del Centro San Fedele di Milano: padre Luigi Rosa e padre Angelo Macchi. Furono loro a consigliarci di non usare l'aggettivo "cattolico", in modo da essere più liberi di fronte alla gerarchia ecclesiastica e da non creare ad essa problemi. Inoltre col nome Movimento popolare avremmo chiamato al risveglio anche tanta parte dell'opinione pubblica democratica italiana che non accettava la nascente egemonia marxista sulla società e soffriva la debolezza culturale della Democrazia cristiana. Dall'interno della Dc si spese pubblicamente e ripetutamente in favore del nostro tentativo il senatore Vittorino Colombo, che era stato e sarebbe stato più volte ministro, e aveva un folto gruppo di seguaci soprattutto a Milano e provincia. Si decise dunque per il nome "Movimento Popolare", e la nascita ufficiale avvenne [...] il 21 dicembre 1975 a Milano, in un convegno che vedeva la relazione fondamentale di Rocco Buttiglione e alcuni altri interventi".
Molto interessanti sono le pagine del volume in cui Formigoni rievoca il viaggio che compì a Baghdad insieme con Aldo Brandirali nel dicembre 1990 per riportare a casa i nostri connazionali "rimasti bloccati in Iraq dopo che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu aveva condannato e sanzionato il governo di Baghdad per l'occupazione del Kuwait e gli Stati Uniti avevano cominciato a riunire la coalizione militare internazionale che poi avrebbe attaccato l'Iraq nel gennaio 1991".
"Consideravo sbagliato – spiega Formigoni - l'approccio degli Stati Uniti e dei loro alleati, subito minacciosi, che avrebbe portato a una nuova guerra con grandi distruzioni e perdite di vite umane. L'Iraq aveva certamente compiuto un'azione inaccettabile, ma non bisognava peggiorare le cose e soprattutto dimenticare le cause che avevano portato a quella situazione".
"Veniamo accompagnati in una saletta – ricorda a distanza di trent'anni l'Autore - e fatti sedere; dopo non troppo tempo arriva Saddam Hussein in persona, in divisa militare. Il suo primo gesto è quello di prendere la grossa pistola che teneva in una fondina e di deporla sul tavolo tra lui e noi. Prendo la parola in italiano, come previsto dal protocollo, e faccio un discorso articolato: non sono tenero con la linea della coalizione occidentale, ma non sono tenero nemmeno nei riguardi delle azioni del governo iracheno. Faccio un discorso molto equilibrato e, credo proprio, saggio. Dichiaro che andare alla guerra sarebbe irresponsabile, ricordo le parole di papa Giovanni Paolo II a questo riguardo, ricordo il legame speciale e di reciproco rispetto che esiste fra l'Italia e il mondo arabo, col quale condividiamo l'identità mediterranea".
Al periodo in cui Formigoni fu alla guida della Regione Lombardia (1995-2013) è dedicata la terza parte del libro, mentre nella quarta – intitolata "Gli ideali alla prova" - si trovano riflessioni sui "giorni difficili" della detenzione nel carcere di Bollate. Pur non entrando nel merito della vicenda giudiziaria (il processo Maugeri) in cui è stato condannato ("mentre in altre 16 sono stato assolto o prosciolto in istruttoria"), Formigoni ribadisce comunque la propria "assoluta innocenza riguardo alle accuse": "pur sapendomi innocente, ho accettato senza fiatare la pena dal punto di vista materiale, compreso quello che mi ha sempre fatto più male: il fango sulla mia persona, la mia reputazione offuscata. Ho accettato la condanna non come espressione di un'inesistente punizione divina, come qualcuno vuole pensare, ma come una prova a cui venivo sottoposto e che ho accettato con la massima serenità possibile, cercando di offrirla al Padreterno. Mi ha aiutato moltissimo la fede. «Se da Dio accettiamo il bene, dobbiamo accettare anche il male», dice la Scrittura. Non nel senso che Dio vuole il male e lo invia, ma nel senso che permette che ci accadano cose cattive in vista di un bene più grande. Quando meditavo, capivo che quella prova era permessa in vista di un bene superiore, anche se per me misterioso. Sono stato aiutato moltissimo dalle dimostrazioni di amicizia e di affetto di tantissime persone".
"Roberto Formigoni – scrive il Card. Camillo Ruini nell'Introduzione – è stato costretto a una conclusione traumatica e immeritata della sua esperienza politica. È stato un danno non solo per lui ma per quanti condividono con lui una certa visione dell'Italia e del suo futuro." |