Alessio de Giglio
Lo Stato interiore Il destino di Evola dopo Evola
Edizioni Solfanelli, pagg.299, € 16,00
Questo recente saggio di Alessio de Giglio (ricercatore della Fondazione Julius Evola) offre un originale contributo critico e interpretativo alla conoscenza del pensiero evoliano nella sua complessità, un "pensiero insofferente, inquieto e insoddisfatto, anche perché incapace di aderire al proprio tempo, se non nella presa di una distanza". "Suo intento – spiega Giovanni Sessa nella Presentazione – è togliere la maschera, meglio le "maschere" con le quali i rapsodici "cursori" dell'opera di Evola, vale a dire coloro che, senza particolare qualificazione esistenziale e intellettuale, hanno discettato del filosofo, hanno celato l'ubi consistam dell'evolismo, per mostrarne, finalmente, il volto reale".
Secondo l'Autore, "Evola è stato per molti l'alibi della propria insufficienza durante e dopo il fascismo, in cui aveva vissuto, bisogna dirlo con forza, persino da antifascista, ma sempre pronto a frenare la barbarie imminente".
Lo Stato concepito da Evola "si rivela, nel suo carattere originario di stabilità e nella sua dimensione intemporale, l'immagine adatta per esorcizzare un "male", ormai eterno ospite dei cuori e standard educativo delle generazioni". In particolare, il Barone "esaltava, su tutto, l'idea di una guida spirituale dello Stato. Un messaggio che differenzia profondamente gli individui (e le virtù) secondo dignità e gerarchia". Lo Stato evoliano "si specchia nell'antropologia del singolo individuo, come per Platone (dottrina dell'anima) e per Aristotele (politica macrocosmo dell'etica)".
L'Autore non vede nella filosofia evoliana una "filosofia della libertà", bensì una "filosofia della liberazione", che "è rimessa integralmente all'individuo, il quale la rende "possibile", in un processo che è continua tensione e intenzione d'assoluto".
Tra Individuo Assoluto e uomo della Tradizione (che il Barone comincerà a scrivere con la lettera maiuscola a partire dal 1961), de Giglio ravvisa "una precisa omologia": "L'Individuo assoluto e l'uomo compiuto della tradizione [...] sono lo stesso schiaffo alla deformità e mostruosità del moderno nel segno della forma interiore. La "solitudine" della potenza seduce, aduna ed evoca lo spirito della comunità, come fiamma che si comunica ad altra fiamma. L'uomo è all'interno dell'Io (non il contrario) come lo specchio della propria responsabilità. L'io conosce l'altro perché già compreso nella sua potenza".
"Teoria dell'Individuo Assoluto – osserva de Giglio – è un libro che non legge quasi nessuno. È forse l'unico libro di Evola che tutti dovrebbero leggere. E sarà sempre uno dei più grandi capolavori della storia del pensiero, come pensiero che si fa storia. C'è una tale tensione in questa opera, che il pensiero sembra raggiungere un punto di fusione e cambiare stato, reagire con la mente, come in un processo alchemico, un precipitato".
Il Barone "urlava ai pochi in pieno mercato. Il messaggio evoliana era di una semplicità disarmata e di disarmante purezza. Il suo "essere" totalitario è irrimediabilmente distante dal totalitarismo idealistico-romantico di marca germanica. Filosofia trascendentale, immanente all'individuo e non "immanentismo"".
Ai percoli rappresentati dalla civiltà "quantitativa, omologante e cosmopolita" Evola contrappone "una dottrina imperniata sulla forma la differenza e la qualità dell'individuo".
È la comunità dello spirito quella "vera" agognata da Evola, "nell'unione di anima e corpo fortificata da una eroica abnegazione": "La "comunità di Soli" è politica, etica, spirituale".
Sulla questione della razza l'Autore invita a rileggere gli articoli che "il filosofo romano ha dedicato al tema, più che le opere istituzionali" (come "Il mito del sangue", "Sintesi di dottrina della razza" e "Indirizzi per un'educazione razziale"). Infatti, la produzione giornalistica evoliana "è ancora una terra libera, poiché in parte misconosciuta e non colonizzata dalla critica, dove è possibile chiarire e in parte superare le acquisizioni del volume, che nel passare vorticoso delle sue vicende speculative, se ne sta come masso erratico contro cui è ormai vano ostinarsi".
Evola, che "non è stato un maestro ma un cercatore", sarebbe "più a sinistra di quanto non si creda": "il travestimento reazionario del suo pensiero occulta una pulsazione anarchica".
"Dobbiamo tornare ad avere paura di Evola – è la conclusione cui giunge de Giglio – e non trattarlo come un oggetto mansueto, sia pure uno dei suoi libri, tra le nostre mani. Evola non è stato capito. E questo Evola lo aveva capito benissimo". |