Esporre l'Italia coloniale |
Giuliana Tomasella
IL LIBRO – Qual è stato il ruolo dell'arte nella definizione di un'identità coloniale italiana? L'espansionismo coloniale italiano, iniziato negli anni ottanta del XIX secolo, procedette fra avanzamenti, arretramenti e riprese fino alla Seconda Guerra mondiale, includendo l'Eritrea, la Somalia, la Libia e l'Etiopia. Massiccia in quegli anni fu la produzione di immagini che dovevano promuovere e rendere popolare l'Africa e gli africani, nell'ambito di un battage mediatico che toccò stampa, editoria, istituzioni e soprattutto le numerose esposizioni coloniali che ebbero luogo durante il sessantennio dell'avventura italiana d'oltremare. Queste esposizioni vengono qui ricostruite - con l'ausilio di cataloghi, riviste, fotografie e documenti dell'epoca - per valutare dipinti, sculture e allestimenti: l'analisi dei soggetti, dei mutamenti di gusto, la maggiore o minore incidenza a livello statistico delle opere esposte mostrano come l'arte sia entrata organicamente a far parte di questa speciale macchina propagandistica e come si sia precisato nel corso del tempo il concetto di "arte coloniale". DAL TESTO – "Il primo caso italiano di rassegna coloniale, esemplarmente studiato da Guido Abbattista, fu rappresentato dall'Esposizione Nazionale di Torino del 1884, al cui interno venne ricreato un Villaggio "abitato" da sei Assabesi o danakil (tre uomini, una donna e due bambini). Furono inoltre previsti tre padiglioni coloniali: nel più grande, curato dal Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio, vennero esposti prodotti abissini e scioani, con accurato catalogo commerciale; il secondo fu allestito dalla Società Africana di Napoli, che era stata fondata nel 1882 e aveva dato vita al periodico «Africa», poi «Bollettino della Società Africana d'Italia»; nel padiglione più piccolo vennero ospitati una serie di oggetti di provenienza abissina e assabese portati in Italia da Pietro Antonelli e Gustavo Bianchi. Nelle capanne destinate agli africani fu collocato materiale etnografico di vario tipo: vestiario, otri in pelle, pipe, armi, coltelli, archi, frecce, scudi, faretre. È per noi di un certo interesse ricordare che quando la mostra fu smontata e i materiali restituiti, risultavano presenti anche altri pezzi, fra cui «dodici quadri rappresentanti quattro tipi assabesi e paesaggi di quella colonia, che da persona intelligente sono stati giudicati di pregevole lavoro»." L'AUTRICE – Giuliana Tomasella insegna Storia della critica d'arte e Museologia presso il Dipartimento dei Beni Culturali dell'Università di Padova; è attualmente direttore del Centro di Ateneo per i Musei. Le sue ricerche si sono concentrate sulla revisione del concetto di modernità all'indomani del primo conflitto mondiale e sulla politica espositiva negli anni del fascismo. Si è inoltre dedicata allo studio del dibattito artistico sulle riviste italiane e straniere fra Otto e Novecento e all'analisi degli scritti di alcuni importanti critici, come Diego Valeri, Rodolfo Pallucchini, Lionello Venturi, Giuseppe Fiocco, Max Jacob Friedländer. Negli ultimi anni si è aperta alla riflessione sugli esperimenti di museografia sociale e partecipativa, con particolare riferimento a progetti in corso in Brasile e in generale in America Latina. Fra i suoi lavori: "Biennali di guerra. Arte e propaganda negli anni del conflitto" (Padova, 2001); Diego Valeri, "Scritti sull'arte" (a cura e con introduzione di G. Tomasella, Venezia, 2005); Rodolfo Pallucchini, "Scritti sull'arte contemporanea" (a cura e con introduzione di G. Tomasella, Venezia, 2011); "Lionello Venturi e l'arte veneta (1907-1915)" («Annali di Critica d'Arte», 2015). INDICE DELL'OPERA - Quali immagini? - Una storia rimossa - Orientalismo e/o arte coloniale - Attraverso le esposizioni. Da Assab ad Adua (1884-1898) - Nuovo secolo, nuove prospettive - Dopo la Prima guerra mondiale - Verso una definizione di arte coloniale - I nuovi scenari degli anni Trenta - Regesto delle esposizioni (1884-1940) - Nota introduttiva, di Priscilla Manfren, Chiara Marin |