Giudici e razza nell'Italia fascista |
Giuseppe Speciale Giudici e razza nell'Italia fascista Giappichelli, pagg.XI-296, Euro 25,00
IL LIBRO – 1938: l'Italia si dà una legislazione razziale che realizza la perfetta esclusione degli ebrei dalla comunità nazionale, la lesione della dignità della persona nei suoi fondamentali diritti, il completo annientamento della vita civile e di relazione, la mortificazione della identità sociale e culturale. I giudici sono chiamati a decidere questioni che riguardano la proprietà immobiliare e gli atti di disposizione patrimoniale, il trattamento previdenziale dei lavoratori ebrei, le limitazioni di status degli ebrei stranieri, la validità dei matrimoni celebrati tra ebrei e non ebrei, l'attribuzione della cognizione al giudice ordinario o all'autorità amministrativa. Giudici e giuristi in ogni processo sono costretti a fare i conti con una questione preliminare: in quale misura l'ordinamento giuridico italiano è stato modificato dall'introduzione della legislazione razziale, in quale misura ha opposto resistenza. Con i loro stratagemmi interpretativi e le loro invenzioni retoriche alcuni giuristi cercano di avvicinare il diritto alla giustizia. Ma in questa storia il diritto mostra tutti i suoi limiti. La dolorosa e scandalosa esperienza della legislazione razziale ci ammonisce a riflettere sul diritto e sulla legge: i due lembi di una ferita sempre aperta.
DAL TESTO – “In molte delle sentenze che ho esaminato sembra che il giudice voglia dare della legislazione italiana la lettura che valga a produrre effetti il più possibile limitati e ristretti all’ambito su cui direttamente essa incide. Per il giudice la legislazione razziale persegue scopi eminentemente politici e i suoi effetti non devono estendersi oltre quanto sia necessario per il raggiungimento dello scopo che le norme razziali perseguono: evitare una “pericolosa commistione”. I giudici assumono che legislazione razziale abbia una portata limitata, che non possa stravolgere l’ordinamento. Sostengono questa tesi anche quando interpretano norme la cui portata “rivoluzionaria” o, almeno, “eccezionale” è fin troppo evidente: si pensi alla lettera dell’art. 26 del decreto n. 1728/1938 che sottrae ad ogni forma di gravame amministrativo e giurisdizionale il provvedimento del Ministero dell’Interno con cui il ministro, in forza della competenza esclusiva che lo stesso decreto gli conferisce, risolve le questioni relative all’applicazione del decreto n. 1728/1938. Scegliere di attribuire alle questioni razziali una portata assai limitata consente ai giudici di non estenderne gli effetti oltre i limiti più ristretti, evitando così ripercussioni eversive sull’ordinamento. Il loro atteggiamento può riassumersi nell’espressione che talora essi usano: «rimane ferma la regola». Quasi che le norme razziali siano sentite come qualcosa di estraneo, totalmente estraneo, all’ordinamento giuridico”.
L’AUTORE – Giuseppe Speciale (1961) è professore di Storia del diritto medievale e moderno nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Catania. Tra i suoi interessi di ricerca: la formazione e la tradizione della cultura giuridica nelle scuole medievali; il diritto dei mercanti tra medioevo ed età moderna; la cultura giuridica italiana tra Ottocento e Novecento.
INDICE DELL’OPERA – 1. Introduzione – 2. 1938: l’Italia razzista – 3. Voci dalle sentenze – Postfazione – Appendici – I. Documenti e leggi – II. La giurisprudenza – Indice dei nomi |