I cognomi d'Italia. Dizionario storico ed etimologico Stampa E-mail

Enzo Caffarelli - Carla Marcato

I cognomi d'Italia. Dizionario storico ed etimologico

Utet, 2 volumi, pagg.1.822, Euro 350,00

 

utet.jpg  L'OPERA - "A lungo considerata un parente povero degli studi di lingua, buona per elucubrazioni aneddotiche al limite della peregrina curiosità, l'onomastica – studio insieme storico e linguistico dei nomi propri – ha conosciuto in Italia un'affermazione tardiva ma precipitosa. È un peccato, perché nei nomi che portiamo non sta scritto solo il ricordo di antichi culti ormai dimenticati, di mestieri tramontati o di soprannomi scherzosi, ma anche la storia e la geografia della nostra cultura. Dopo che per anni quasi nessuno ci aveva fatto caso, se ne sono accorti simultaneamente in molti. Forse in troppi: raccolte di materiali, sintesi più o meno accurate e addirittura intere riviste dedicate all'argomento si sono affollate deliziando o affliggendo perlopiù il pubblico degli addetti ai lavori. E raggiungendo platee più vaste solo in pochi casi fortunati, come i Dizionari dei Nomi e dei Cognomi che Emidio De Felice pubblicò trent'anni fa facendo breccia tra i curiosi e regalando un vademecum a chi manchi di inventiva nella scelta del nome di un bebè (ma non è più il tempo in cui i figli erano così abbondanti da spingere i genitori a numerarli, fino a Nono e Decimo).

  "Un paio d'anni or sono due volumi curati egregiamente da Alda Rossebastiano ed Elena Papa (I nomi di persona in Italia) hanno aggiornato il quadro sul versante dei primi nomi. Nella stessa serie un nuovo parto gemellare – milleottocento e passa pagine – fa ora il punto sui cognomi. Gli autori, Enzo Caffarelli e Carla Marcato, affrontano un corpus ricavato dagli elenchi telefonici con cui si arriva a 20 milioni e 133mila unità, il 35% circa degli italiani residenti. Mole impressionante, che rende meno grave un difetto oggettivo: le utenze telefoniche rappresentano, notoriamente, un campione meno significativo e più distorto rispetto ai dati forniti dal l'anagrafe tributaria; e proprio nel fondarsi su quest'ultima stava uno dei salti di qualità di Rossebastiano e Papa (ma pare che nel caso dei cognomi si sia frapposta la legislazione vigente, col suo «malinteso senso della privacy»).

  "Sessantamila cognomi (dal piemontese Abà «abate», al friulano Zuzzi, forse da zuz «cacio») bastano ad appannare questo neo: per ciascuno di essi gli autori illustrano la diffusione geografica e cercano di quantificare la presenza, ne documentano (quando possibile) l'attestazione storica e naturalmente ne spiegano il significato. Se, insomma, tutti sanno che il napoletano Esposito significa «esposto» ed è affine al romano Proietti e al panitaliano Trovato, cognomi attribuiti ai trovatelli, o che Rossi (il quale fa gruppo non solo con Bianchi e Neri, ma anche con Bisio «grigio» e Biava «azzurra») è il più diffuso d'Italia e allude al colore dei capelli o della carnagione, meno banale è spiegare il significato di cognomi pur diffusi come, poniamo, i lombardi Locatelli (dal toponimo Locatello, Bergamo) e Berlusconi (forse da berluesch «strabico»), i veneti Vianello (da Viviano) e Boscolo (da una località il cui nome è connesso a bosco), i toscani Pecchioli (da pecchia «ape») o Cioni (da un nome di persona come Bellincione o simili), i campani Coviello (da Iacovo Giacomo) o Russo (nulla a che vedere, naturalmente, con la Russia: equivale a «rosso»), i calabresi Nisticò e Piromalli (entrambi ovviamente d'origine greca), i sardi Ruggiu (che equivale esattamente al Russo appena citato) o Melis (che ha a che fare col miele, come Mele e Meli).

  "Per non parlare del caso, piuttosto noto tra i dialettologi, del «cognome siciliano Ficarotta assolutamente innocuo essendo diminutivo della voce dialettale ficara "albero del fico"»: emigrati al nord, alcuni suoi titolari se lo fecero a ogni buon conto mutare in Fecarotta o Fegarotti. Si tratta, perlopiù, di appellativi formatisi nel Medioevo, quando cioè si costituì, lentamente e disordinatamente, il sistema cognominale moderno, e ciò spiega, tra l'altro, il forte peso che i tratti dialettali hanno in un repertorio originatosi molto prima dell'affermazione di una lingua nazionale unificata, che solo marginalmente o parzialmente riuscì a "italianizzare" forme locali, trasformando i veneti Bonato in Bonatto e i friulani Ciabòt in Chiabotto. Raramente, poi, i cognomi sono stati «creati» in epoca moderna. Se appunto gli appellativi dei bambini abbandonati si rinnovano, purtroppo, in continuazione, a quelli consueti se ne aggiungono di più caratteristici, come il Dògali che fu imposto, in varie regioni italiane, ai trovatelli nati in prossimità della strage africana del 1887. Caso raro di cognome ottocentesco, che però conferma ciò che per nomi più antichi possiamo solo ipotizzare: il peso, cioè, e il riflesso imprevedibile che la grande storia ha nelle vite e nelle esperienze individuali di milioni di persone: che cosa c'è di più intimo e di più familiare del proprio Familienname?" (Lorenzo Tomasin)

 

  "Il primo volume comincia con Abà: «La forma deriva da Abate, con acopope della sillaba finale. Il cognome è raro e si registra in Piemonte e nel Basso Lazio»; e termina con Guzzonato: «Da un suffissato con -one da collegare al tipo Guzzon; è cognome di Vicenza - Carré, Marano Vicentino, il capoluogo - con altre presenze nel Veneto». Il secondo volume incomincia con Haller: «Si tratta del cognome tedesco Haller (dal toponimo Halle); occupa il rango 20 nella provincia di Bolzano/Bozen e il rango 64 nel Trentino-Alto Adige»; e termina con Zuzzi: «Il cognome è poco diffuso e s' incontra nelle province di Udine e di Pordenone, a Milano e sparso; le formazioni di area nord-orientale sono di origine incerta per quanto vi sia l' ipotesi di un' origine slovena da Zuz - e varianti che si ritrova in vari cognomi, ma può concorrere anche il friulano zuz "formaggio, cacio"...». In mezzo ci sono i due volumi e le quasi duemila pagine di un' opera monumentale sui cognomi italiani, che va a integrare gli altri due volumi sui nomi, pure riediti, con copertina rinnovata, già usciti nel 2005 (Enzo Caffarelli e Carla Marcato, I cognomi d' Italia Dizionario storico ed etimologico, Utet, 2008 I vol. pagg. L-908; II. vol. 909-1822): ora i palchetti più spaziosi della libreria contengono l' intera serie dei quattro volumi di Tutta l' Italia per nome e cognome. La mole dei due volumi sui cognomi equivale alla mole di quelli sui nomi: ma questo non deve far pensare che i due emisferi in cui si divide la sfera della nostra identità onomastica siano altrettanto equivalenti. Al contrario, la sproporzione è notevole. L' opera sui nomi ne censiva ventottomila; quella sui cognomi ne censisce più del doppio, sessantamila: solo che le possibilità lasciate alla ricerca linguistica dai cognomi sono molto inferiori a quelle, rigogliose di dati statistici ed etimologici, consentite dai nomi. E dato che il cognome viene tramandato, mentre il nome viene scelto, le oscillazioni nella frequenza dei cognomi sono dovute quasi soltanto a ragioni demografiche, mentre quelle nella frequenza dei nomi (vero, Teodolinda? vero, Kevin?) dipendono dalla leopardiana sorella della Morte: la Moda. Quella dei cognomi è in realtà una ricchezza italiana poco conosciuta: ne abbiamo 330.000 (il dizionario tratta quelli portati da almeno duecento persone), molti più che nelle altre nazioni a noi vicine. I motivi di tale ricchezza non sono lusinghieri, stanno nella frantumazione sociale e culturale italiana e nella tardiva unificazione linguistica. In Italia si considera molto diffuso un cognome che ha almeno 3000 utenti, e questi cognomi sono 226, fra cui il più frequente è Rossi (0,39 per cento della popolazione). Solo 86 dei 226 cognomi più diffusi compaiono in tutto il territorio italiano (fra questi, in ordine di diffusione decrescente, dopo Rossi vengono Ferrari, Ricci, Conti, Cosa, Gallo, Mancini, Marino e Bruno); 123 sono diffusi o al Centro o al Nord o al Sud. Il quinto e il sesto cognome più diffuso, Esposito e Colombo, riguardano rispettivamente la sola regione Campania e la sola parte nord-occidentale della Lombardia. Molte sono le galassie di varianti, dovute alla differenza di dialetti, come quella che ruota attorno al terzo cognome per diffusione, che è Ferrari: Ferraro, Ferrero, Ferrario, Ferraris, Ferrai, Ferreri, Ferreli, Ferieri, Ferré, Feré, Faré, De Ferràri e in parte anche Ferrara (che più spesso dipende dal toponimo), senza contare gli altri cognomi dalla medesima provenienza (Ferrarin, Ferrarotti...) o quelli di pari origine semantica (Fabbri, ma anche il cognome dell' amata Magnani, e quello di Padre Pio, Forgione). Le ricerche sui cognomi sono difficoltose, sia sul piano storico e diacronico - per l' assenza di documenti - sia su quello sincronico e statistico. Non è facile sapere da dove un cognome derivi. Il cognome Bergamino, per esempio, apparentemente ha una diretta derivazione etnica, legata alla città di Bergamo; ma potrebbe avere anche un' origine invece professionale (bergamini venivano chiamati gli addetti all' allevamento di vacche da latte). A causa di tante difficoltà, non ha precedenti il lavoro dei linguisti Enzo Caffarelli (variante siciliana - particolarmente a San Piero Patti, Messina, e Palermo - di Cafarella, che deriva da un nome medievale e potrebbe dipendere da caffo, che significa numero dispari, e ancor più anticamente «senza pari, unico») e di Carla Marcato («dal nome di persona Marco, con il suffisso -ato; Marcato è veneto, attestato a ranghi abbastanza alti a Padova e in particolare in alcuni comuni della provincia, come Camposampiero e Campodarsego; numeroso anche a Venezia e dintorni. Cognomina 2800 persone»): a parte altre opere, meritorie ma scientificamente non garantite, la linguistica si è occupata di cognomi solo in una prospettiva locale e non nazionale, con l' eccezione pionieristica, negli anni Ottanta, degli studi di Emidio De Felice («Rinvia al tipo Felice. E' meridionale, di Napoli e del Napoletano...»). Cosa sono, poi, i cognomi? Il termine cognome, nel suo uso moderno, è attestato dal Boccaccio, e deriva dalla formula onomastica romana a tre membri («Caio Giulio Cesare»), che va poi in crisi con la diffusione del cristianesimo e l' estensione della cittadinanza romana, che favorirono l' adozione di un nome unico. Un secondo nome incomincerà a diffondersi in Italia nel XII secolo, usato in modo inizialmente oscillante, fino alla sua cristallizzazione con il Rinascimento e con il Concilio di Trento, che fra le altre norme stabilì il mantenimento di registri battesimali (probabilmente per evitare i matrimoni fra consanguinei), fino ad allora sporadico e discontinuo. Come ogni tipo di nome proprio, anche il cognome è riferito a un individuo, si dice: se all' inizio aveva un significato, ora l' ha perduto; molto spesso, anzi, l' eventuale significato linguistico di un cognome non viene avvertito dai parlanti, e i giochi di parole sul cognome Bush, che significa «cespuglio», non sempre sono compresi o ritenuti dagli anglofoni. Il «senso» di un cognome quindi non è qualcosa che possa essere definito con rigore da un vocabolario. Salvo nel caso in cui sia stato imposto o alterato da un' autorità - per i trovatelli o per chi ne ha fatto richiesta a termini di legge - il cognome è la sequenza di lettere, la parola a statuto speciale, che segna la nostra derivazione da un famiglia, e in cui è possibile - ma non sempre, e spesso in modo malcerto - recuperare la memoria storica di un evento: una professione esercitata in antico, una provenienza geografica, una caratteristica fissatasi in soprannome. Il signor Abà e la signora Zuzzi oggi possono soddisfare qualche curiosità autobiografica, ma soprattutto inquadrarla nella giusta prospettiva sociologica e storica: la vastità e la varietà delle etichette che ci fanno riconoscere, e lo faranno ancora sino a che non prevarranno codici alfanumerici senza memoria. Pensarci è il miglior apprezzamento possibile per il lavoro di Enzo Caffarelli, di Carla Marcato e del loro meritorio editore." (Stefano Bartezzaghi)

 

  GLI AUTORI - Enzo Caffarelli, linguista di fama internazionale, è docente di Onomastica all'università Tor Vergata di Roma.

  Carla Marcato è docente di Linguistica italiana all'Università di Udine