Hamas. Che cos'è e cosa vuole il movimento radicale palestinese Stampa E-mail

Paola Caridi

Hamas. Che cos'è e cosa vuole il movimento radicale palestinese

Feltrinelli, pagg.286, Euro 15,00

 

caridi_hamas.gif  IL LIBRO - Nata nel 1987 come movimento di resistenza all’occupazione israeliana, Hamas è passata attraverso il terrorismo e gli attentati suicidi, ha sfidato l’autorità di Yasser Arafat, è sopravvissuta all’eliminazione fisica di gran parte dei suoi dirigenti. Nel 2006 è arrivata al governo dell’ANP, democraticamente eletta dalla maggioranza dei palestinesi.

  Che cosa si nasconde dietro il mistero Hamas? Perché un movimento islamista ha guadagnato così tanto consenso all’interno di una società ritenuta tendenzialmente laica come quella palestinese? E perché non si è sciolto come neve al sole quando tutta la comunità occidentale ha deciso di isolarlo dal resto del mondo? Gli eventi hanno dimostrato che l’islam politico palestinese non può essere considerato un fenomeno passeggero, né il prodotto di una sola causa: sia essa la nascita di Israele, l’occupazione o la mancanza di uno Stato palestinese. Chiedersi perché significa anche dare risposta a quello che la cronaca registra negli ultimi anni: la divisione tra i palestinesi, la vita disperata di Gaza, l’assenza di prospettive di pace a breve termine tra israeliani e palestinesi.

  Il libro di Paola Caridi scrive la storia di Hamas usando fonti a metà tra la cronaca e l’archivio. Fa vedere i luoghi e fa parlare i protagonisti. E cerca di svelare per la prima volta alcuni tratti sconosciuti di un movimento che per alcuni versi è ancora clandestino o che in clandestinità, negli ultimi anni, è in parte tornato. C’è il volto conosciuto del terrorismo. C’è quello molto meno noto del welfare, istituito ben prima che Hamas nascesse nelle strutture socioreligiose dei Fratelli musulmani palestinesi. C’è l’organizzazione politica, strutturata in modo simile ai partiti di massa europei. E poi ci sono i militanti, i leader, i sostenitori silenziosi e quei tanti palestinesi che hanno votato Hamas senza condividerne l’ideologia. Altrettante tessere che poste l’una accanto all’altra formano un quadro molto più complesso di quello che sinora la pubblicistica ha descritto.

 

  DAL TESTO - "Quelli di Hamas erano considerati persone serie, persone che non si erano arricchite alle spalle del popolo, anzi continuavano a vivere nei quartieri normali e nei campi profughi. Caso esemplare, Ismail Haniyeh nel campo di Shati, a Gaza, residenza peraltro di molti dei dirigenti della generazione di mezzo, nonché – per un lungo periodo – anche di sheykh Ahmed Yassin. E nonostante molti dirigenti di Hamas parlino con imbarazzo del Mithaq, la Carta stessa indica alcuni dei comportamenti di carattere morale che sono stati seguiti da almeno tre generazioni di attivisti e dirigenti. “È un dovere per tutti i membri del Movimento di resistenza islamica,” recita l’articolo 21, “condividere la felicità e il dolore del popolo, ed essi devono considerare un loro dovere esaudire le richieste del popolo e fare quello che sarà di loro giovamento.” Peraltro, è proprio questo mescolarsi nella società che fa mettere insieme la gestione della politica con l’appartenenza a una società, a ricomporre – paradossalmente – una realtà, quella palestinese, che i politologi hanno più volte descritto come spaccata tra stato e società civile, tra istituzione e network sociali, tra una struttura di potere gestita in maniera paternalistico-autoritaria da Arafat e una rete di organizzazioni che formava una realtà parallela. È Mussa Abu Marzuq, in una sorprendente uscita pubblica sul “Washington Post”, a neanche una settimana dalla vittoria decretata dalle urne in Cisgiordania e Gaza, a dare in casa islamista questo tipo di lettura, più compiuta e complessa, del voto. Definisce il risultato elettorale “un’alternativa della società civile cresciuta dall’urgenza della situazione”. Il numero due dell’ufficio politico all’estero conferma in questo modo la tesi del doppio binario in cui si è espressa la partecipazione politica in Cisgiordania e Gaza dopo l’entrata in vigore degli Accordi di Oslo. Dalla nascita dell’Autorità nazionale palestinese fino alle elezioni del gennaio 2006, vi sono stati due modi di partecipare alla res publica: dentro la struttura dell’Anp, e cioè dentro il sistema di potere creato da Yasser Arafat, oppure nella società civile. Intendendo per società civile quella complessa struttura di organizzazioni non governative, associazioni di beneficenza, sindacati, ordini professionali, associazioni di genere, comitati locali disseminati per tutto il territorio, organismi di ispirazione laica o religiosa, progressista o conservatrice, spesso nati durante la Prima Intifada e cresciuti nei due decenni successivi in un rapporto flessibile con l’Autorità nazionale. In alcune fasi, peraltro, questa dicotomia tra società civile e istituzioni dell’Anp ha rappresentato anche la divisione tra la società palestinese rimasta in Cisgiordania e Gaza dopo le guerre del 1948 e del 1967, da una parte, e dall’altra l’élite giunta dall’esilio per occupare le posizioni più importanti e direttive dentro l’Autorità nazionale, al seguito del rais Arafat."

 

  L'AUTRICE - Paola Caridi (1961), giornalista e storica, vive in Medio Oriente e nel mondo arabo dal 2001, prima al Cairo e poi a Gerusalemme, da dove ha seguito giorno per giorno le vicende palestinesi degli ultimi sei anni. È fondatrice e corrispondente di Lettera22, agenzia di stampa specializzata in politica estera. Collabora, tra gli altri, con “l’Espresso” e “il Sole24Ore”.

 

  INDICE DELL'OPERA - Prologo emotivo - 1. Tra welfare e resistenza - 2. Istantanee dal mondo di Hamas - 3. Gli anni del consolidamento - 4. Dallo sceicco-brigante agli uomini-bomba - 5. La svolta di marzo - 6. Il doppiopetto di Abul Abed - 7. Hamas versus Fatah - 8. Epilogo - Note - Dramatis personae - Ringraziamenti