Il concetto discriminatorio di guerra Stampa E-mail

Carl Schmitt

Il concetto discriminatorio di guerra

Laterza, pagg.128, Euro 15,00

 

schmitt_concetto.jpg  IL LIBRO - «Attraverso le dichiarazioni con cui il presidente Wilson, il 2 aprile 1917, ha deciso che il proprio paese partecipasse alla guerra mondiale contro la Germania, è entrato nella storia del moderno diritto internazionale il problema del concetto discriminatorio di guerra. Per le nazioni con una forma mentis chiaramente relativistica o agnostica, oggi non esiste più alcuna guerra santa, sebbene le esperienze della guerra mondiale contro la Germania abbiano mostrato come la propaganda bellica non abbia rinunciato a mobilitare quelle forze morali che sono comprensibili solo in una ‘crociata’. Ma per una guerra giusta la mentalità moderna esige determinati processi di ‘positivizzazione’ giuridica o morale.»

  In queste pagine, pubblicate per la prima volta nel 1938, Schmitt propone una interpretazione fortemente suggestiva delle relazioni fra la ‘vecchia Europa’ e il ‘nuovo mondo’ americano e offre una preziosa chiave di lettura degli imponenti successi che la vocazione messianica ed egemonica degli Stati Uniti ha conseguito nella seconda metà del Novecento.

 

  DAL TESTO - "Da molti anni sono in corso nelle più diverse parti della terra lotte sanguinose, di fronte alle quali, nel consenso più o meno generale, si evita prudentemente di usare il concetto e il termine di guerra. Su questo è sin troppo facile fare dell’ironia. In realtà, non emerge qui nient’altro che la pura e semplice verità, ovvero che vecchi ordinamenti si stanno dissolvendo e al loro posto non ne sono ancora subentrati di nuovi. Nella questione del concetto di guerra si rispecchia il disordine dell’attuale situazione mondiale. Si manifesta ciò che è sempre stato vero, e cioè che la storia del diritto internazionale è una storia del concetto di guerra. Il diritto internazionale altro non è che un “diritto di guerra e di pace”, uno jus belli ac pacis, e rimarrà tale finché sarà un diritto di popoli indipendenti, organizzati su base statuale, e questo significa: finché la guerra sarà una guerra fra Stati [Staatenkrieg] e non una guerra civile internazionale [internationaler Bürgerkrieg]. Ogni disgregazione di vecchi ordinamenti e ogni inizio di nuovi rapporti solleva questo problema. All’interno di un medesimo ordinamento giuridico internazionale non possono coesistere né due concetti di guerra contrapposti, né due nozioni di neutralità che si annullino a vicenda. Per questo il concetto di guerra è oggi un problema la cui discussione obiettiva serve a disperdere la nebbia delle attuali ingannevoli finzioni e a mostrare la reale situazione del diritto internazionale odierno.

  "Le grandi potenze hanno oggi molte buone ragioni per cercare nozioni e concetti intermedi tra guerra aperta e pace effettiva. Le situazioni di fatto che vengono denotate con la formula “guerra totale” si avvicinano in maniera particolare a certe nozioni intermedie. Ma queste sono solamente rimandi e rinvii, attraverso i quali il nuovo problema del concetto di guerra non può in alcun modo essere risolto. Decisivo è che nella totalità di una guerra rientra soprattutto la sua giustizia. Senza il riferimento alla giustizia ogni rivendicazione di totalità sarebbe una vana pretesa. Di conseguenza, la guerra giusta in grande stile è oggi di per sé la guerra totale.

  "Attraverso le dichiarazioni con cui il presidente Wilson, il 2 aprile 1917, ha deciso che il proprio paese partecipasse alla guerra mondiale contro la Germania, è entrato nella storia del moderno diritto internazionale il problema del concetto discriminatorio di guerra. Per questo la questione della guerra giusta si è posta in una maniera completamente diversa da come era stata intesa dai teologi scolastici o da Ugo Grozio. Per le nazioni con una forma mentis chiaramente relativistica o agnostica, oggi non esiste più alcuna guerra santa, sebbene le esperienze della guerra mondiale contro la Germania abbiano mostrato come la propaganda bellica non abbia affatto rinunciato a mobilitare quelle forze morali che sono comprensibili solo in una “crociata”. Ma per una guerra giusta la mentalità moderna esige determinati processi di “positivizzazione” giuridica o morale.

  "La Società delle Nazioni di Ginevra è, se proprio dev’essere qualcosa degno di nota, fondamentalmente un sistema di legalizzazione. Essa non può che monopolizzare il giudizio sulla guerra giusta e mettere nelle mani di certe potenze la decisione sulla giustizia o ingiustizia della guerra, una decisione che è gravida di conseguenze e che è correlata alla svolta verso il concetto discriminatorio di guerra. La Società delle Nazioni è dunque, finché conserva questa forma, solo un mezzo per la preparazione di una guerra “totale” in sommo grado, e cioè una guerra “giusta” condotta con pretese sovrastatali e sovranazionali".

 

  L'AUTORE - Nato nel 1888 da una famiglia operaia cattolica, Carl Schmitt studiò giurisprudenza a Berlino, Monaco e Strasburgo. La sua idea politica centrale risale al periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale: la legittimità dello stato è determinata dal modo in cui agisce di fronte al 'pericolo concreto' o nella 'situazione concreta', piuttosto che da qualsivoglia scopo morale. Il sovrano o il dittatore legittimo è colui che decide lo 'stato di eccezione' per preservare l'ordine e proteggere la costituzione. Seguace delle idee di G.W.F. Hegel e Thomas Hobbes, secondo cui l'uomo è 'caduto' e 'cattivo', Schmitt sostiene che tutta la vita politica si riduce ai rapporti tra “amici e nemici”. Nella teoria di Schmitt, le democrazie fondate sulle 'norme', sulle regole giuridiche, e sulla separazione dei poteri, perdono ogni potere quando debbono affrontare delle grandi minacce religiose carismatiche, o politiche, come quella bolscevica della sua epoca. L'esistenza di “situazioni eccezionali”, come gli stati d'emergenza, va ad infrangere le fondamenta stesse dei sistemi politici liberali che si basano su leggi prestabilite e su norme che in teoria dovrebbero essere applicabili a tutte le situazioni possibili. Schmitt si fece beffe dell'idea che un dibattito razionale possa portare alla verità, affermando che se si chiedesse ad un socialdemocratico del suo tempo chi volesse, “Barabba o Gesù?”, egli convocherebbe subito delle consultazioni e stabilirebbe una commissione per studiare il caso. Dal 1921 Schmitt si dedicò all'insegnamento e produsse trattati polemici che furono attentamente studiati soprattutto in quegli ambienti bancari sinarchisti che alimentavano l'esperimento fascista in Europa. Poi, come consigliere dei governi Brüning (1930-1932) e von Papen (1932), Schmitt fu impegnato a criticare e a minare la Costituzione di Weimar. In «Teologia politica», già nel 1922 Schmitt sosteneva che il vero sovrano è l'individuo o il gruppo che prende le decisioni in una situazione eccezionale. Questo individuo, o gruppo, e non la Costituzione, è il sovrano. Tutto ciò che una Costituzione può contribuire al proposito è stipulare a chi compete prendere l'iniziativa quando la situazione diventa eccezionale. Nello scritto «Il concetto del politico» del 1927, Schmitt sostenne che l'esistenza e l'identità stesse dello stato si fondano sulla realtà più profonda ed essenziale del rapporto “amico e nemico”, e che la sovranità è determinata dall'individuo o dall'entità che è capace di definire e proteggere la società dai nemici nelle situazioni di minaccia esistenziale. Piuttosto che ricorrere alle norme, sostiene Schmitt, il sovrano ricorre alla legge del campo di battaglia o “al decisionismo concreto”. Fino alla sua scomparsa, nel 1985, Schmitt rimase un devoto ammiratore del Fascismo mussoliniano, al quale egli riconobbe la capacità di unire la chiesa, lo stato autoritario, un'economia libera, e i miti forti che motivano la popolazione.

 

  INDICE DELL'OPERA - Prefazione - La profezia della guerra globale, di Danilo Zolo - Nota al testo, di Stefano Pietropaoli - Introduzione - I. Discussione di due opere di teoria del diritto internazionale - II. Discussione di due saggi tratti da The British Yearbook of International Law - III. Discussione critica sulla svolta verso il concetto discriminatorio di guerra nel diritto internazionale - Conclusione