Enrica Perucchietti
La censura nelle «democrazie» del XXI secolo Criminalizzazione del dissenso e inquisizione digitale Prefazione di Alain de Benoist, Carlo Freccero e Daniela Strumia
Arianna Editrice, pagg.240, € 19,90
Il tema della censura ha sempre avuto un ruolo centrale nelle riflessioni politiche e filosofiche fin dalle prime teorizzazioni sulla libertà di espressione. Le democrazie moderne, pur dichiarando di tutelare la libertà individuale, si sono spesso trovate a dover bilanciare tale libertà con la necessità di preservare l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale e la coesione sociale. Sebbene la censura nel senso classico – come repressione dei dissidenti, dell'opposizione e delle idee pericolose per il regime – abbia assunto molte forme nel corso della storia, dalla censura dei libri nel Medioevo fino alle repressioni politiche delle dittature del Novecento, nel XXI secolo essa ha assunto una nuova forma, ben più insidiosa e complessa: la "censura digitale".
Con l'avvento di internet e delle piattaforme social, la censura ha subito una trasformazione radicale, passando da un controllo diretto e centralizzato a un sistema di "filtraggio informatico", sempre più opaco e difficile da monitorare. Il controllo delle informazioni è ora mediato da algoritmi e Big Data, che influenzano il nostro accesso alla conoscenza, al dibattito pubblico e alla libertà di espressione. In questa nuova era digitale, l'idea di "pensiero unico" si è radicata sempre più, soprattutto nei contesti sociali e politici in cui la libertà di parola si scontra con un "censurismo strutturale" che mina la possibilità di esprimere opinioni divergenti, relegate a una forma di "ostracismo sociale" piuttosto che a una repressione fisica.
Enrica Perucchietti si inserisce in questo dibattito, offrendo una visione articolata e dettagliata della censura che pervade le "democrazie" contemporanee, trattando la sua dimensione tanto più inquietante quanto più si avvicina alla figura di una "inquisizione digitale" che riscrive la storia e sopprime il dissenso. Il volume analizza la crescente diffusione di narrazioni ufficiali imposte dai grandi poteri tecnologici e dalla politica, con un'attenzione particolare al fenomeno della "cancel culture", che non solo sfocia nella censura delle idee, ma genera anche un pensiero liberticida dove la dissonanza viene trattata come un crimine.
Nel testo, Perucchietti non si limita a denunciare i meccanismi di controllo dell'informazione, ma esplora anche le cause strutturali di questo fenomeno, avvalendosi di un linguaggio preciso e delle esperienze dirette di chi, come giornalisti, attivisti o semplici utenti, ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze della censura. Un elemento centrale dell'analisi è il concetto di "totalitarismo morbido", utilizzato da Alain de Benoist nella prefazione, che descrive un sistema di controllo che, pur non ricorrendo alla violenza diretta o alla repressione fisica, crea una sorta di "prigione invisibile" attraverso il controllo delle informazioni, la manipolazione dei fatti e l'imposizione di narrazioni che ostacolano il pensiero critico.
Secondo Perucchietti, il fenomeno della censura 2.0 non si limita più a oscurare opinioni sgradite o critiche: esso è diventato una strumentalizzazione politica e sociale che si attua tramite il controllo algoritmico delle piattaforme digitali. In particolare, le Big Tech, come Facebook, Twitter e Google, sono diventate i principali attori in grado di modificare e influenzare la percezione pubblica, grazie a sistemi di moderazione che non solo rimuovono contenuti, ma alterano anche le dinamiche di discussione, rendendo invisibili le voci dissidenti.
Il concetto di "inquisizione digitale" è un altro dei temi che Perucchietti analizza nel libro. La rete e i social media sono diventati il nuovo tribunale dell'opinione, dove le voci non conformi vengono emarginate, oscurate o stigmatizzate come "complottiste" o "disinformate". Con l'avvento degli algoritmi di fact-checking, la verità è ora certificata dalle piattaforme stesse, che decidono quali narrazioni sono lecite e quali devono essere soppresse. In questo scenario, il dissenso si trasforma in un reato di opinione, perseguibile sia online che offline. Le nuove forme di criminalizzazione del pensiero sono spesso legate a etichettature che dipingono come pericolosi chi sfida la narrativa ufficiale, rendendo il dissenso una forma di "psicoreato", come suggerito dall'autrice, evocando la memoria del controllo orwelliano della "Storia".
La democrazia, quindi, appare sempre più come una facciata, dietro la quale si cela un controllo pervasivo che si esprime attraverso la sorveglianza digitale e la limitazione delle libertà individuali. Il volume riflette sull'uso politico e ideologico delle nuove tecnologie da parte dei governi, delle agenzie di intelligence e delle multinazionali, che sono i veri artefici di un regime di censura globale, volto a garantire l'omologazione e a sopprimere la critica.
Le tecnologie non sono neutre, ma piuttosto strumenti che, sotto il controllo delle potenze dominanti, diventano veicoli di manipolazione delle masse. La denuncia di Perucchietti è diretta e precisa: l'uso delle Big Data e degli algoritmi per monitorare e controllare il dissenso è il nuovo strumento di guerra psicologica utilizzato dai poteri dominanti, i quali, grazie all'interconnessione globale, riescono a censurare opinioni e idee che non si allineano alla narrazione ufficiale. Come affermano Carlo Freccero e Daniela Strumia nella prefazione, oggi viviamo in una società dove, pur mantenendo le forme democratiche, il potere ha a disposizione strumenti molto più sofisticati per manipolare l'opinione pubblica.
"La censura nelle «democrazie» del XXI secolo" di Enrica Perucchietti è un'opera fondamentale per comprendere le dinamiche di controllo sociale che caratterizzano il nostro tempo. Attraverso una scrittura lucida e ben documentata, l'autrice ci guida nell'esplorazione di un fenomeno che, pur sotto la superficie della libertà apparente, minaccia costantemente i principi di democrazia e libertà di pensiero. Il libro rappresenta, quindi, un potente strumento di denuncia contro il crescente controllo delle narrazioni pubbliche, l'omologazione del pensiero e la progressiva criminalizzazione del dissenso.
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