Pontefici e vestali nella Roma repubblicana Stampa E-mail

Mariangela Ravizza

Pontefici e vestali nella Roma repubblicana

LED Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto, pagg.266, € 35,00

 

ravizza vestali  Mariangela Ravizza (studiosa di Diritto romano e docente di Storia della Costituzione romana presso l'Università di Firenze) compie, in questo saggio, un'indagine volta a far emergere la relazione sussistente tra il Pontefice massimo, la più importante autorità religiosa romana, e le vergini Vestali, "sacerdotesse funzionali all'esistenza e al benessere di Roma".

  "Il sacerdozio romano – avverte l'Autrice – diverge profondamente dal sacerdozio cristiano. Al contempo, la religiosità arcaica, rispetto a quella moderna, non ha nulla a che vedere con l'anelito personale, con l'idea di fede, di vocazione. Non rilevano le emozioni, i sentimenti interiori, la «credenza». La religio si identifica nel culto reso agli dei, in ciò che lega gli uomini alle divinità, nel rispetto rituale che garantisce la purezza dell'individuo e la salvezza della respublica. Questo tipo di religiosità implica il dovere di ottemperare meticolosamente a una serie di obblighi, connaturati allo stato sociale degli individui, quali preghiere, sacrifici, offerte, dunque prescrizioni rituali necessarie per assicurarsi la benevolenza divina e scongiurare la collera celeste, causa di effetti terrificanti sull'intera comunità. La religione dei Romani era infatti la religione del timore, timore verso quegli dei innumerevoli e invisibili perché celati dietro le forze della natura".

  I sacerdoti erano i "«depositari» del diritto sacro, di quel diritto sul quale esercitavano un forte potere d'iniziativa e di controllo, la cui conoscenza consentiva loro di assistere gli uomini nella loro difficile convivenza con le forze soprannaturali". Provvisti di "uno straordinario prestigio", essi "venivano spesso consultati dal senato su questioni controverse in materia religiosa, erano responsabili del rapporto tra la civitas e gli dei, interrogavano questi ultimi e in alcuni casi li «rappresentavano»".

  Il compito principale dei pontefici – che "venivano eletti in gran parte per cooptazione o dal popolo, senza che fosse necessaria alcuna operazione preliminare" - risiedeva nell'"assicurare la pax deorum, la relazione di pace e di amicizia che doveva sempre intercorrere tra gli dei e gli uomini".

  Vi era anche un collegio sacerdotale femminili, quello delle vergini Vestali, le quali, consacrate a Vesta, "dea della terra e del fuoco, protettrice dell'Urbe, ne riproducevano il nome e la personalità e ne incarnavano l'immagine vivente".

  "Alle Vestali – spiega la prof.ssa Ravizza – non competeva conoscere, così come i pontefici, le procedure rituali necessarie ad evitare la collera divina o a ristabilire la pax deorum, né interpretare i segnali inviati dagli dei. Tuttavia, più degli altri sacerdoti e al pari del flamen Dialis, stabilivano un contatto con la divinità che rappresentavano. Intrise di grande fascino e venerate dalla comunità romana, le Vestali erano indubbiamente donne speciali, dalla personalità complessa, ambivalente e contraddittoria. I numerosi privilegi loro riconosciuti inducevano molti a considerarle esseri ambigui, con caratteristiche proprie sia delle matrone, sia degli uomini. Il velo, l'acconciatura nuziale, la lunga veste, ma soprattutto lo svolgimento di compiti domestici quali la pulizia o la preparazione di alcuni cibi, avvicinavano le sacre vergini alle figlie o alle matrone".

  Le Vestali erano le sole donne cui era riconosciuto "il diritto di partecipare agli spettacoli dei gladiatori", privilegio "funzionale alla loro sacralità, ad onorare pienamente il loro sacerdozio, che non poteva essere condizionato dai limiti posti alle donne comuni. Erano sacerdotesse pubbliche e la loro collocazione privilegiata in teatro, ad esempio, confermava la posizione ufficiale da esse rivestita all'interno della comunità".

  Nell'età repubblicana, il pontefice massimo acquisì "nei confronti della sacerdotessa tutti i vecchi poteri regi", subentrando "nello stesso rapporto che il suo predecessore aveva intrattenuto con la vergine, occupandone esattamente la medesima posizione e assumendone i medesimi poteri, come quello di punire la Vestale incestuosa a fini espiatori. Il provvedimento emanato nei confronti della vergine colpevole costituiva l'epilogo di un procedimento di carattere esclusivamente sacrale che mirava, soprattutto, a far ritrovare alla comunità la pace con gli dei e si fondava nella captio per la Vestale e nella lex per il complice. Il pontefice massimo esercitava unicamente una sorta di sorveglianza spirituale sulla Vestale e ciò escludeva che il suo ruolo potesse essere ricondotto allo schema privatistico della patria potestas o del ius vitae ac necis del pater verso il figlio o lo schiavo, ai quali sarebbe stata applicata la iurisdictio da parte degli organi della civitas".