Teoria generale dello spirito come atto puro Stampa E-mail

Giovanni Gentile

Teoria generale dello spirito come atto puro

Le Lettere, pagg.278, Euro 18,00

 

gentile_teoria  Pubblicata per la prima volta nel 1916, quest’opera di Giovanni Gentile “vuol essere una semplice introduzione a quel pieno concetto dell'atto spirituale, in cui consiste […] il nucleo vivo della filosofia”.
  L’Autore concepisce il pensiero “non come atto compiuto, ma, per così dire, quasi atto in atto. Atto, che non si può assolutamente trascendere, poichè esso è la nostra stessa soggettività, cioè noi stessi; atto, che non si può mai e in nessun modo oggettivare. Il punto di vista nuovo, infatti, a cui conviene collocarsi, è questo dell'attualità dell'Io, per cui non è possibile mai che si concepisca l'Io come oggetto di se medesimo. Ogni tentativo che si faccia, si può avvertirlo fin da ora, di oggettivare l'Io, il pensare, l'attività nostra interiore, in cui consiste la nostra spiritualità, è un tentativo destinato a fallire, che lascerà sempre fuori di sé quello appunto che vorrà contenere; poichè nel definire come oggetto determinato di un nostro pensiero la nostra stessa attività pensante, dobbiamo sempre ricordare che la definizione è resa possibile dal rimanere la nostra attività pensante, non come oggetto, ma come soggetto della nostra stessa definizione, in qualunque modo noi si concepisca questo concetto della nostra attività pensante. La vera attività pensante non è quella che definiamo, ma lo stesso pensiero che definisce”.
  Sebbene possa apparire astruso, questo “è il concetto di cui noi viviamo, sempre che si abbia un certo senso della vita spirituale. È osservazione comune che ogni volta che noi dobbiamo intendere qualche cosa che abbia valore spirituale e che si possa dire un fatto spirituale, abbiamo bisogno di guardare a un siffatto oggetto della nostra ricerca non come a qualche cosa di opposto a noi che cerchiamo di intenderlo, anzi come a tal cosa che s'immedesimi con la nostra attività spirituale. Non importa che talora noi intendiamo gli animi con cui non consentiamo: il nostro intendimento si può realizzare e consentendo e dissentendo; ma queste non sono due possibilità parallele, delle quali possa realizzarsi or l'una or l'altra, indifferentemente: esse piuttosto sono due possibilità coordinate e successive; una delle quali necessariamente dev’essere grado all'altra. Il primo grado evidentemente è l'assentimento, l'approvazione. E perciò si dice che prima di giudicare bisogna intendere; e la verità è che quando s'intende e non ancora si giudica, non si giudica bensì per riprovare, ma si giudica intanto, provvisoriamente, per consentire. Condizione, perciò, fondamentale per intendere gli altri è quella di penetrare nella loro realtà spirituale; e la prima adesione spirituale è la fiducia, senza di cui non c' è penetrazione spirituale, non c'è intendimento di vita morale e mentale”.
  Aggiunge l’Autore: “Senza il consenso, senza l'unificazione del nostro spirito, di questa nostra attività pensante che deve sforzarsi di intendere, con l'altra anima, con cui essa vuol entrare in rapporto, non è possibile aver nessuna intelligenza, e nè anche cominciare ad avvertire o scorgere qualche cosa che avvenga in un'altra anima. Ogni rapporto spirituale, ogni comunicazione tra la nostra e l'altrui realtà interiore, è essenzialmente unità. Questa unità profonda noi sentiamo ogni volta che possiamo dire di comprendere il nostro prossimo: in tutti quei momenti, in cui non siamo più semplice intelligenza, e abbiamo bisogno di amare; non ci si contenta di quell'attività astratta che si chiama mente, ma ci occorre, si dice, la buona disposizione spirituale, quello che si chiama comunemente cuore, buona volontà, carità, simpatia, apertura d'anima, calore di affetto”.
  Tale unità è “la condizione essenziale d'ogni comunicazione spirituale, cioè della conoscenza dello spirito […].  Noi abbiamo bisogno di unificarci coll'anima che vogliamo conoscere, perché la realtà di quell'anima consiste nella nostra anima medesima; e quell'anima non si può né anche incontrare dentro alla nostra anima stessa se non come la nostra propria soggettività: vita della nostra vita, la dove, dentro la nostra anima, non distinguiamo niente che le si opponga. Giacché, si badi, anche dentro all'anima nostra noi ci possiamo trovare in quella situazione spirituale, in cui ci troviamo di fronte a un'altra anima quando la dobbiamo intendere e ancora non l'intendiamo; possiamo cioè trovare questa sproporzione e incongruenza non pure tra l'anima nostra e le altre (quando le altre anime ci appariscono talora mute e impenetrabili, come i sassi e le forze cieche della natura), ma anche tra l'anima nostra e la nostra anima stessa, o quello che fu anima nostra, o che noi possiamo pensarne (ma non quello che noi possiamo realizzare nell'anima nostra): quello che è uno stato nostro, […] non l'atto”.