Leopardi e la scienza moderna. “Sott'altra luce che l'usata errando” |
Antimo Negri Leopardi e la scienza moderna. “Sott'altra luce che l'usata errando” Spirali, pagg.176, Euro 18,08
IL LIBRO – È difficile immaginare, nella nuova stagione critica in cui lo si legge, che il poeta Leopardi possa comprendersi senza la valutazione che egli fa delle moderne scienze della natura. Almeno fino al 1815, l’anno del Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, Leopardi mostra di avere una profonda fiducia nella verità e nell’esattezza di queste scienze. Questa fiducia cade, almeno a cominciare dal 1818, l’anno del Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica. Intanto, Leopardi, ha cominciato a stendere lo Zibaldone (1817). Attraverso le pagine di questo, è possibile seguire la critica di quelle scienze, i cui titolari, secondo Leopardi, costituiscono la “repubblica scientifica” europea, responsabile di avere offerto un “sistema semplicizzato e uniformato” del mondo. A questo sistema, contrappone il “sistema del bello”, cioè un mondo che può dirsi non con i “concetti” della scienza, ma con le “immagini” della poesia. Si tratta di una grande avventura dello spirito, che oggi si può percorrere alla luce del destino, sul quale riflette anche Nietzsche, della “visione del mondo” meccanicistica, senza dubbio in crisi profonda quando si mette in questione la “verità” in ogni proposizione scientifica. Tuttavia, non manca, nello stesso Leopardi, l’avvertimento del bisogno pratico di credere in questa “verità”. E il poeta? Il poeta si pone le grandi domande sull’“esistenza universale” che lo scienziato rischia di escludere o esclude di fatto dalla sua ricerca. Ma resta da vedere se l’uomo, anche l’uomo di Leopardi, possa vivere unicamente di queste domande, per di più lasciate senza risposta, oggi così care ai nullisti, ludici o tragici che si vogliano.
DAL TESTO – "Ai membri della "repubblica scientifica" europea, soprattutto di quella costituitasi tra l'epoca del Rinascimento e quella dell'Illuminismo, Leopardi rimprovera di essere stati "poco poeti" o di non esserlo stati affatto, con il risultato di offrire un "sistema semplicizzato e uniformizzato" del mondo, rimpicciolito nella "breve carta" di un sapere che non si apre alla considerazione dell'infinito, del quale può esserci solo "idea" e non "concetto". Fuori della "breve carta" di questo sapere restano le grandi domande sull'"esistenza universale". E, quando si tien conto di queste domande insopprimibili, quelle stesse che Leopardi finisce col rivolgere a se stesso, ci si accorge che l'all was light cantato dal Pope che elogia Newton non accenna a tutta la luce che si poteva, si può gettare sul mondo. È per questo che Leopardi può "sotto altra luce che l'usata errare"".
L’AUTORE – Antimo Negri, il grande pensatore italiano del novecento, nato a Mercato San Severino (Salerno) nel 1923, è deceduto a Roma il 28 aprile 2005. Ha percorso una brillante carriera universitaria che lo ha condotto all'insegnamento di Storia della filosofia all'Università di Roma Tor Vergata, pur mantenendosi lontano da impacci di scuola, obbedienze ideologiche o conformismi dell'epoca: si definiva "accademico di nulla accademia". Per cinquant'anni ha svolto un'intensa attività saggistica e pubblicistica, collaborando alle più importanti riviste di filosofia ("Giornale critico della filosofia italiana", "Rivista di estetica", "Il giornale di metafisica") e a quotidiani nazionali ("Il Sole-24 Ore", "il Giornale"), dirigendo riviste (fra cui "Studi di storia dell'educazione") e intervenendo come conferenziere in congressi e giornate di studio. Complesso e ricco il suo percorso filosofico scientifico. Sulla scia di Giovanni Gentile, che riteneva il suo vero maestro, Negri ha compiuto una monumentale opera di ricognizione della filosofia del lavoro e della tecnica, pubblicando un manuale, ormai classico, in sette volumi, "Filosofia del lavoro: storia antologica" (Marzorati 1981). Restano essenziali le sue ricognizioni storiche e teoretiche dell'idealismo e del neoidealismo: "La presenza di Hegel: ricerche e meditazioni hegeliane" (1961); "Hegel nel Novecento" (1987); "Giovanni Gentile", 2 voll., (1975); "L'inquietudine del divenire. Giovanni Gentile" (1992); "L'estetica di Giovanni Gentile. Esistenza e inesistenza dell'arte" (1994); "Gentile educatore: scuola di stato e autonomie scolastiche" (1996). A Negri si devono la cura e la traduzione di molte opere di pensatori classici: Hobbes, Kant, Schiller, d'Holbach, Smith, Hegel, Schelling, Nietzsche, Comte, e la direzione di numerose collane editoriali dedicate alla filosofia fra il XVIII e il XX secolo. Le sue ricerche hanno portato alla valorizzazione di alcune correnti "irrazionalistiche" della filosofia moderna, e in particolare alla riscoperta del pensiero di Julius Evola, "Julius Evola e la filosofia" (1988). Negri si è occupato anche di questioni di religione: lo attestano un'altra sua opera, "Con Dio e contro Dio. Novecento teologico" (Marzorati, 1995), e l'interesse per il pensiero di Giuseppe Capograssi e del problematicismo pedagogico cattolico. Tra i suoi allievi si annoverano, fra gli altri, i filosofi Massimo Cacciari e Giacomo Marramao.
INDICE DELL’OPERA – Prefazione - Introduzione - I. L'idea leopardiana di scienza nella Storia dell'astronomia (1813), tra le Dissertazioni filosofiche (1811-1812) e il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815) - II. L'"ultrafilosofia" come poesia. Contro il "dominio dell'intelletto", per la "libertà d'imaginare" - III. La crisi delle moderne scienze della natura nello Zibaldone - IV. La poesia e l'audacia della conoscenza umana - Indice dei nomi |